«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

venerdì 27 aprile 2012

Gandhi per la decrescita



La civiltà 

«Ora mi racconteresti qualcosa di quello che hai letto e pensato riguardo a questa civiltà? 

Innanzitutto, consideriamo quale stato di cose è descritto con la parola “civiltà”. La sua vera prova risiede nel fatto che le persone che vivono in essa fanno del benessere materiale lo scopo della loro vita. Prendiamo alcuni esempi. La gente europea vive oggi in case meglio costruire di quelle di cent’anni fa. Questo è considerato un emblema della civiltà ed anche un modo per promuovere la felicità del corpo. In passato si vestivano di pelli e la lancia era la loro arma. Ora indossano pantaloni lunghi e per abbellire i propri corpi indossano una vasta gamma di vestiti. Invece delle lance portano con loro rivoltelle contenenti cinque o più caricatori. Se la gente di un certo paese, fino ad ora non abituata ad indossare molte vesti, stivali, ecc., adotta l’abbigliamento europeo, viene considerata civile e non più selvaggia. In passato, in Europa, la gente arava i campi principalmente col lavoro manuale. Oggi si può arare un vasto terreno per mezzo di macchine a vapore e così accumulare grandi ricchezze. Questo è considerato un segno di civiltà. In passato, pochissimi uomini scrivevano libri che erano di grandissimo valore. Oggi, chiunque scrive e stampa qualsiasi cosa gli piaccia, e avvelena, così, le menti delle persone. In passato gli uomini viaggiavano su carri, oggi sfrecciano su treni ad una velocità di quattrocento e più miglia al giorno. Questo viene considerato l’apice della civiltà. È stato detto che col progresso l’uomo potrà viaggiare con aerei e raggiungere qualsiasi parte del mondo in poche ore. L’uomo non avrà più bisogno di mani e di piedi. Si premerà un altro bottone e arriverà il giornale. Un terzo e un’automobile sarà pronta che aspetta. Ci sarà una gran varietà di raffinati cibi pronti all’uso. Tutto sarà fatto da macchinari. Un tempo, quando la gente voleva combattere, misurava la propria forza fisica; oggi un solo uomo, con un’arma da fuoco, può da una collina togliere la vita a migliaia di persone. Questa è la civiltà. In passato gli uomini lavoravano all’aria aperta quanto volevano. Ora, migliaia di lavoratori si riuniscono insieme e, per mantenersi, lavorano in fabbriche e miniere. La loro condizione è peggiore di quella delle bestie. Sono obbligati a lavorare, a rischio della propria vita, in attività molto pericolose, per il solo vantaggio dei ricchi capitalisti. In passato gli uomini erano ridotti in schiavitù con la violenza fisica, ora sono resi schiavi dalla tentazione del denaro e dai lussi che il denaro può comprare. Ci sono malattie mai immaginate prima e un esercito di medici sono impegnati a trovarvi rimedio. Quindi sono aumentati gli ospedali. Questo è un test di civiltà. In passato erano necessari speciali messaggeri e si andava incontro a ingenti spese per inviare lettere, oggi chiunque può importunare un suo simile per mezzo di una lettere spendendo solo un penny. In verità, con la stessa spesa, uno può spedire anche i suoi ringraziamenti. In passato la gente faceva due o tre pasti che consistevano di pane fatto in casa e ortaggi; oggi ha bisogno di mangiare ogni due ore, così da non avere tempo libero per altre cose. Cos’altro devo dire? Tutto questo puoi trovarlo documentato su molti libri autorevoli. Questi sono veri test di civiltà. E se qualcuno afferma il contrario, sappi che è incosciente. Questa civiltà non tiene in alcun conto né la morale, né la religione. I suoi sostenitori affermano in tutta tranquillità che non è loro affare insegnare la religione. Alcuni, addirittura, la considerano essere uno sviluppo della superstizione. Altri, invece, si rivestono col manto della religione e blaterano di moralità. Ma, dopo vent’anni di esperienza, sono giunto alla conclusione che l’immoralità è spesso insegnata in nome della morale. Anche un bambino può capire che, in tutto ciò che ho descritto prima, non c’è nessuna tensione morale. La civiltà tenta di incrementare i piaceri del corpo, e fallisce miseramente anche in quello. 

Questa civiltà è irreligione, ed ha avuto una tale presa sulla gente europea che coloro che vi sono immersi sembrano essere mezzi pazzi. Mancano di vera forza fisica o di coraggio. Tengono alta la loro energia intossicandosi. Riescono difficilmente ad essere felici in solitudine. Le donne, che dovrebbero essere le regine della casa, vagano per le strade o sono ridotte in schiavitù nelle fabbriche. Per un magro salario, mezzo milione di donne in Inghilterra lavorano in condizioni estremamente faticose nelle fabbriche o in istituzioni simili. Questo orribile fatto è una delle cause del movimento crescente delle suffragette. 

Questa civiltà è tale che con un po’ di pazienza si distruggerà da sola» 

 Mahatma Gandhi, Hind Swaraj, 1909   

lunedì 23 aprile 2012

La politica della decrescita imposta e la politica della decrescita felice



È importante in questo momento storico capire bene la differenza tra recessione (o decrescita imposta) e decrescita felice. La recessione infatti è sostanzialmente una decrescita del PIL, una diminuzione imposta, data da un’impossibilità strutturale di crescere, quindi diventa una decrescita forzata, che indistintamente va a colpire ogni aspetto della società e non a caso spesso colpisce le fasce più deboli. Così con la recessione, diminuisce tutto, o meglio quasi tutto, diminuiscono gli stipendi, la produzione, quindi i consumi, diminuiscono i posti di lavoro e l’assistenza pubblica. Aumentano però le tasse, le difficoltà delle famiglie, i disoccupati, i precari, i cassaintegrati, i disagi, le differenze sociali, le insicurezze, le tensioni. Perciò la recessione diminuisce ciò che va diminuito ma anche ciò che non andrebbe diminuito indistintamente, è una decrescita non consapevole, non deliberata, ma imposta dal sistema stesso, che volendo crescere decresce, quindi fallisce il suo stesso motivo di esistere, non funziona e per questo non ha più scopo di essere. 

La decrescita felice (l’aggettivo felice non è casuale e non ha una funzione ornamentale) è una decrescita intelligente, una decrescita per scelta, non ha niente a che fare con la recessione né tanto meno con la rinuncia, piuttosto con la consapevolezza e il buon senso. Come scrive Pallante: “La rinuncia a qualcosa per nobili motivi implica una valutazione positiva di ciò di cui si decide di fare a meno. Si rinuncia a qualcosa che si ritiene utile, o quanto meno piacevole. Ma se si decide di fare a meno di qualcosa che si valuta negativamente si fa una scelta razionale”. Decrescere felicemente significa creare un nuovo modello economico-sociale che non si basi sulla crescita del PIL, che non tenga in considerazione i flussi monetari per valutare la qualità della vita e il benessere di un paese, ma che scelga di aumentare ciò che vale la pena aumentare (i beni che non sono merci) e diminuisca ciò che vale la pena diminuire (le merci che non sono beni, cioè che costano soldi ma non soddisfano nessun bisogno). Oltre a ciò la decrescita felice è strettamente legata a una rivoluzione culturale basata su stili di vita differenti, sulla sobrietà, come profonda consapevolezza di ciò che davvero conta per essere felice e a proprio agio in questa vita. Per questi motivi la politica della decrescita felice investe sulle tecnologie della decrescita che aumentano la produzione e l’uso di beni che non sono merci e diminuiscono quello di merci che non sono beni, aumentando il benessere e la qualità della vita, a differenza del sistema attuale che inseguendo affannosamente la crescita del PIL non può far altro che investire su tecnologie che aumentino la produttività, senza porsi limiti e deregolamentando sempre più il mercato globale, a discapito del benessere, della qualità della vita, dell’ambiente, dell’occupazione, dei diritti umani, della vita stessa in tutti i suoi fenomeni. 

È servita la politica della recessione, cioè la decrescita forzata, per far diminuire l’uso delle automobili e l’aumento dell’uso dei trasporti pubblici. Non potevamo farlo attraverso una consapevole politica di decrescita felice? Lo stesso vale per i rifiuti, gli sprechi, l’inquinamento, il traffico, lo stress, le emissioni di CO2. Possiamo ancora scegliere in che direzione andare. 

Adesso è arrivato il momento ideale per fare un cambiamento, per mettere in discussione la società moderna fin dalle sue fondamenta e costruire un futuro diverso basato sull’essenza profonda della vita e di tutte le sue manifestazioni.


venerdì 20 aprile 2012

Sobrietà, secondo Maurizio Pallante

More about Felicità sostenibile

«Nelle società fondate sulla crescita del PIL la sobrietà non ha diritto di cittadinanza. Deve essere espunta dal sistema dei valori. Detto fatto: è stata trasformata nel vizio della taccagneria. Chi non cambia il suo guardaroba tutte le stagioni, fa durare gli oggetti a lungo, non getta il cibo avanzato nei rifiuti ma lo mangia il giorno dopo, invece di riscaldare la sua casa a 22 gradi aprendo le finestre quando ha troppo caldo, mette il termostato a non più di 18 gradi e indossa un maglione, viene considerato uno spilorcio, un poveretto che non ha i mezzi sufficienti per vivere allo standard medio. Poichè ogni grado di temperatura in più fa crescere i consumi di gasolio o di metano dell'8 per cento, chi riscalda la sua casa a 22 gradi manda nell'atmosfera il 32 per cento di anidride carbonica in più di chi la riscalda a 18 gradi, aumenta le possibilità di ammalarsi in conseguenza degli sbalzi termici che il suo corpo subisce quando esce e per ottonere questi bei risultati paga anche dei soldi in più di chi si comporta con sobrietà. Pardon, con taccagneria»

«Chi saprà recuperare la saggezza della sobrietà e riscoprirà le conoscenze e le tecniche per ridurre al minimo gli sprechi, non soltanto non subirà limitazioni dalla diminuzione della produzione di merci, non soltanto riuscirà a compensare la riduzione del suo potere d'acquisto, ma riscoprirà modi più soddisfacenti di lavorare e di vivere, di rapportarsi con sè, con gli altri e con i luoghi in cui vive. Perchè la sobrietà è un modo responsabile di agire nei confronti di se stessi oltre che della terra. Riduce lo spazio occupato dalla cura delle cose nella propria vita, consente di dedicare meno tempo al lavoro e al consumo, e di dedicarne di più a se stessi, alle proprie relazioni affettive, alla propria creatività, alla contemplazione. A ciò che dà senso alla vita. La sobrietà è l'atteggiamento che consente di sfuggire a quella mutazione antropologica che secondo Pasolini ha indotto a "privilegiare, come solo atto esistenziale possibile, il consumo e la soddisfazione delle sue esigenze edonistiche", comportando una "riduzione degradante dell'uomo a automa - spesso sgradevole e ridicolo"»

Maurizio Pallante, La felicità sostenibile, 2009

mercoledì 18 aprile 2012

La fede cieca nella crescita eterna


Le tecnologie della decrescita

More about Felicità sostenibile

«E' una pericolosa illusione ipotizzare che si possa uscire dalla recessione riprendendo a fare quello che si è sempre fatto. Occorre aprire una fase nuova, esplorare una nuova frontiera. Non ci si può limitare a misure di politica economica e finanziaria finalizzate ad accrescere la domanda di merci in una logica esclusivamente quantitativa. Non ci si può limitare ad abbassare il costo del denaro per rilanciare investimenti e consumi. Occorre decidere cosa si ritiene utile incentivare a produrre e cosa si ritiene opportuno diminuire di produrre. Non ci si può limitare a spendere grandi somme di denaro pubblico, che tra l'altro non ci sono, per finanziare grandi opere, di cui a priori si conosce l'inutilità, solo perchè si ritiene che possano fare da volano alla ripresa economica, ma occorre finanziare opere pubbliche che consentono di migliorare la qualità ambientale e la vita degli esseri umani. Non i treni ad alta velocità - che hanno un impatto ambientale devastante, aumentano i consumi energetici e non risolvono il problema degli spostamenti quotidiani sui tragitti casa-lavoro - ma una rete efficiente di treni locali per ridurre l'inquinamento ambientale e lo stress da traffico automobilistico che assorbe anni di vita e mina la salute di milioni di pendolari. Non feste esagerate per attirare l'arrivo di un numero di consumatori più ampio di quelli che vivono nei luoghi in cui si organizzano, perchè sono fuochi di paglia che lasciano pesanti eredità di edifici destinati a degradarsi progressivamente e assorbire quote crescenti dei bilanci pubblici per le spese di gestione e manutenzione. Non lo stadio del curling (il curling!), ma ospedali efficienti e scuole che non crollino in testa agli studenti. Non piani regolatori espansivi che autorizzano a cementificare progressivamente i terreni agricoli, ma un programma di ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente per ridurre i consumi da 200 chilowattora per metro quadrato all'anno al valore massimo di 70 vigente nella provincia di Bolzano. Non l'incredibile miopia di puntare sulla produzione automobilistica per rilanciare il ciclo economico, come se fossimo ancora negli anni Sessanta quando iniziò la motorizzazione di massa e non in una situazione in cui ogni famiglia possiede almeno due automobili, ma la parziale riconversione dell'industria autmobolistica alla produzione di micro-cogeneratori e tri-gnereatori per dimezzare i consumi di fonti fossili ricavando il riscaldamento e il raffrescamento come sottoprodotti della produzione decentrata di energia elettrica, a partire dagli ospedali e dalle strutture con grandi consumi di elettricità e calore continuativi nel corso dell'anno.

Lo sviluppo delle tecnologie della decrescita è la strada maestra per uscire dalla recessione e accrescere l'occupazione, non come obiettivo in sè, ma come conseguenza di lavori che hanno un senso perchè consentono di migliorare la qualità della vita riducendo l'impronta ecologica, il consumo di risorse, l'impatto ambientale e la produzione di rifiuti delle attività con cui gli esseri umani ricavano dalla natura le risorse da trasformare in beni e in merci che sono beni. Se le tecnologie finalizzate ad aumentare la produttività finalizzano il fare umano a fare sempre di più, le tecnologie della decrescita connotano il fare umano come un fare bene e lo finalizzano alla possibilità di contemplare ciò che si è fatto»


Maurizio Pallante, La felicità sostenibile, 2009

lunedì 16 aprile 2012

Quando attraverso la strada non ringrazio mai



Quando attraverso la strada non ringrazio mai l'automobilista che si è gentilmente fermato per farmi passare. E non lo faccio per mancanza di educazione, per arroganza, per pigrizia o per dimenticanza. Lo faccio esclusivamente come espressione di una disobbedienza civile, come gesto sovversivo. Allo stesso modo il mio andare in bicicletta a lavoro è identificabile maggiormente come atto rivoluzionario in termini culturali-politici piuttosto che con motivazioni prettamente ecologiche ed economiche.

In altri paesi europei, anche in paesi latini di bassa latitudine come il Portogallo, quando un pedone si avvicina alle strisce pedonali (vale a dire quando è ancora a uno-due metri di distanza) le automobli rallentano immediatamente e si fermano, consentendo al pedone di passare celermente e in completa sicurezza. Tutti si comportano così, è parte della cultura del luogo. Le rare eccezioni sono quegli automobilisti che filano dritto pur vedendo qualcuno sulle strisce che attende di passare. Nessun pedone ringrazia il gentile autista, perchè non è necessario, perchè non vi è motivo. Sarebbe come ringraziare un'auto che si è fermata ad uno stop o a un semaforo rosso per lasciarci passare. Ringraziare fa sempre bene, oltre ad essere un gesto di cortesia, dovrebbe essere una pratica da adottare quotidianamente in ogni aspetto della vita. Ma il punto su cui voglio focalizzarmi adesso è un altro.

In Italia, siamo abituati ormai, culturalmente, a considerare il pedone un essere inferiore, che non ha bisogno di tanto spazio (molte strade pur avendo macchine parcheggiate, non hanno marciapiede), non ha bisogno di rispetto, perchè lo spostamento è concepito solo su mezzi motorizzati: loro hanno la precedenza sempre e comunque, loro delineano i tratti caratteristici delle città, a loro sono sacrificati le strade, le piazze, i monumenti, i giardini, a loro viene dato immenso rilievo nelle campagne pubblicitarie. L'uomo sta diventando un'appendice dell'automobile quando si sposta e della televisione o del computer quando è fermo a lavoro o a riposo. Le grandi invenzioni tecnologiche dell'uomo lo stanno disumanizzando.

Non mi stupisce perciò che per le strade non ci sia nessuno a camminare, che le piste ciclabili siano interrotte da macchine parcheggiate, che i marciapiedi siano inesisteni o devastati, che le piazze invece di essere spazi sociali e culturali siano parcheggi stracolmi, che sulle strisce pedonali si rischi di morire dato che le auto non solo non si fermano per farti passare ma una volta che sei nel mezzo della strada fanno slalom del tuo corpo pur di non fermarsi o rallentare.

C'è qualcosa che non va in questa società moderna, osservare le piccole cose della vita quotidiana certe volte ci rende più consapevoli di ciò piuttosto che leggere giornali o sentire notizie dal mondo sulle grandi questioni che lo agitano. C'è tanto lavoro da fare, culturalmente in primo luogo, dobbiamo riprenderci da un incubo fatto di illusioni e superificialità e riscoprire la semplicità e la banalità della vita.


giovedì 12 aprile 2012

Programma bioeconomico minimale

More about Energia e miti economici

di Nicholas Georgescu-Roegen


«Un’economia basata essenzialmente sul flusso di energia solare eliminerà anche il monopolio della generazione presente sulle future. Questo non avverrà completamente, perché anche un’economia del genere dovrà attingere al patrimonio terrestre, soprattutto per quanto riguarda i materiali: si tratta di rendere minore possibile il consumo di tali risorse critiche. Le innovazioni tecnologiche avranno certamente un peso in tale direzione. Ma è l’ora di smettere di insistere esclusivamente – come a quanto pare hanno fatto finora tutte le piattaforme – su un aumento dell’offerta. Anche la domanda può svolgere un compito, in ultima analisi perfino maggiore e più efficiente.

Sarebbe sciocco proporre di rinunciare completamente alle comodità industriali dell’evoluzione esosomatica. Il genere umano non tornerà alla caverna, o meglio, all’albero. Ma in un programma bioeconomico minimale si possono includere alcuni punti.

Primo, la produzione di tutti i mezzi bellici, non solo la guerra, dovrebbe essere completamente proibita. È assolutamente assurdo (e ipocrita) continuare a coltivare tabacco se per ammissione generale nessuno intende fumare. Le nazioni così sviluppate da essere le maggiori produttrici di armamenti dovrebbero riuscire senza difficoltà a raggiungere un accordo su questa proibizione se, come sostengono, hanno abbastanza saggezza da guidare il genere umano. L’interruzione della produzione di tutti i mezzi bellici non solo eliminerebbe almeno le uccisioni di massa con armi sofisticate, ma renderebbe anche disponibili forze immensamente produttive senza far abbassare il tenore di vita nei paesi corrispondenti.

Secondo, utilizzando queste forze produttive e con ulteriori misure ben pianificate e franche, bisogna aiutare le nazioni in via di sviluppo ad arrivare più velocemente possibile a un tenore di vita buono (non lussuoso). Tanto nei paesi ricchi quanto quelli poveri devono effettivamente partecipare agli sforzi richiesti da questa trasformazione e accettare la necessità di un cambiamento radicale nelle loro visioni polarizzate della vita.

Terzo, il genere umano dovrebbe gradualmente ridurre la propria popolazione portandola a un livello in cui l’alimentazione possa essere adeguatamente fornita dalla sola agricoltura organica. Naturalmente le nazioni che adesso hanno un notevole tasso di sviluppo demografico dovranno impegnarsi duramente per raggiungere risultati in tal senso il più rapidamente possibile.

Quarto, finché l’uso diretto dell’energia solare non diventa un bene generale o non si ottiene la fusione controllata, ogni spreco di energia per surriscaldamento, superraffreddamento, superaccelerazione, superilluminazione ecc. dovrebbe essere attentamente evitato e, se necessario, rigidamente regolato.

Quinto, dobbiamo curarci dalla passione morbosa per i congegni stravaganti, splendidamente illustrata da un oggetto contraddittorio come l’automobilina per il golf, e per splendori pachidermici come le automobili che non entrano nel garage. Se non riusciremo, i costruttori smetteranno di produrre simili “beni”.

Sesto, dobbiamo liberarci anche della moda, quella “malattia della mente umana”, come la chiamò l’abate Fernando Galiani nel suo famoso Della moneta (1750). È veramente una malattia della mente gettar via una giacca o un mobile quando possono ancora servire al loro scopo specifico. Acquistare una macchina “nuova” ogni anno e arredare la casa ogni due è un crimine bioeconomico. Altri autori hanno già proposto di fabbricare gli oggetti in modo che durino più a lungo. Ma è ancor più importante che i consumatori si rieduchino da sé così da disprezzare la moda. I produttori dovrebbero allora concentrarsi sulla durabilità.

Settimo (strettamente collegato al punto precedente), i beni devono essere resi più durevoli tramite una progettazione che consenta poi di ripararli. (Per fare un esempio pratico, al giorno d’oggi molte volte dobbiamo buttar via un paio di scarpe solo perché si è rotto un laccio).

Ottavo (in assoluta armonia con tutte le considerazioni precedenti), dovremmo curarci per liberarci di quella che chiamo “la circumdrome del rasoio”, che consiste nel radersi più in fretta per poi aver tempo per lavorare a una macchina che rada più in fretta per poi aver più tempo per lavorare a una macchina che rada ancora più in fretta, e così via, ad infinitum. Questo cambiamento richiederà un gran numero di ripudi da parte di tutti quegli ambienti professionali che hanno attirato l’uomo in questa vuota regressione senza limiti. Dobbiamo renderci conto che un prerequisito importante per una buona vita è una quantità considerevole di tempo libero trascorso in modo intelligente.

Esaminate su carta, in astratto, queste esortazioni sembrerebbero, nel loro insieme, ragionevoli a chiunque fosse disposto a esaminare la logica su cui poggiano. Ma da quando ho cominciato a interessarmi della natura entropica del processo economico, non riesco a liberarmi da un’idea: è disposto il genere umano a prendere in considerazione un programma che implichi una limitazione della sua assuefazione alle comodità esosomatiche? Forse il destino dell’uomo è quello di avere una vita breve, ma ardente, eccitante e stravagante piuttosto che un’esistenza lunga, monotona e vegetativa. Siano le altre specie – le amebe, per esempio – che non hanno ambizioni spirituali, a ereditare una Terra ancora immersa in un oceano di luce solare.»

Nicholas Georgescu-Roegen, Energia e miti economici, 1972

martedì 10 aprile 2012

Grazie a Dio c'è la crisi !

Dipinto di Simone Madiai

A volte mi viene da pensare che questa recessione sia una maledizione e che forse sarebbe meglio non si fosse mai presentata, che dopotutto l'avremmo potuta evitare o rimandare, che se la crisi economica, ambientale, energetica, sociale, alimentare, climatica, occupazionale non si fossero tutte aggravate contemporaneamente forse ce la saremmo potuta cavare senza troppi problemi.

E allora mi accorgo immediatamente che la crisi attuale è veramente la nostra benedizione, perché soltanto attraverso una crisi di tale dimensioni l'uomo sarà capace di attivare un cambiamento in se stesso che rivoluzionerà il suo modo di pensare, di agire, di vivere. Perciò questa crisi sistemica non è solo una grande occasione per noi, è il fattore determinante e indispensabile per intraprendere una nuova fase dell'evoluzione umana. Una fase del tutto inedita in cui molte convinzioni e certezze si sgretoleranno e dove la condizione dell'uomo, giunto all'apice del suo dominio del mondo, si risveglierà a una consapevolezza profonda del suo ruolo e della sua identità nel suo Universo.

Comprendere ciò significa quindi utilizzare a favore del “progresso reale”, vale a dire quello basato sul ben-essere e sulla felicità di tutte le persone, una situazione solo apparentemente svantaggiosa. In poche parole, per fare quel salto qualitativo a livello culturale e spirituale, l’essere umano necessita di una condizione esterna che lo faccia reagire in tal senso. Sono convinto che osservando a fondo la società moderna possiamo individuare con estrema chiarezza e lungimiranza la strada migliore da percorrere, tutti assieme.

«Del resto la storia dimostra che i cambiamenti profondi degli stili di vita e dei valori sociali condivisi sono stati effettuati dagli esseri umani e dai popoli soltanto sotto costrizione. Se, come diceva Heidegger “solo un Dio ci può salvare”, la crisi in corso è forse il segnale che si è mosso a compassione di noi» Maurizio Pallante

giovedì 5 aprile 2012

Dal carbonio fossile al carbonio vivo

More about Ritorno alla Terra. La fine dell'ecoimperialismo

Riporto alcuni brani interessanti tratti dal libro "Ritorno alla terra" di Vandana Shiva.

«Il problema non è il carbonio di per sé, quanto l’uso progressivo che facciamo del carbonio fossile che si è formato in milioni di anni. Oggi il mondo brucia ogni anno il corrispondente di 400 anni di questa materia biologica accumulata, vale a dire dalle tre alle quattro volte di più di quanta ne bruciava nel 1956. Al contrario delle piante, che sono una risorsa rinnovabile, il carbonio fossile non lo è: ci vorranno milioni di anni per rinnovare le scorte carbonifere e petroliere della Terra.
Prima della rivoluzione industriale nell’atmosfera c’erano 580 miliardi di tonnellate di carbonio, oggi ce ne sono 750. L’accumulo – il risultato della combustione dei carburanti fossili – sta causando la crisi climatica. Se l’umanità vuole sopravvivere, deve risolvere questo problema. la soluzione è offerta da un’altra economia del carbonio, quella del carbonio rinnovabile previsto dalla biodiversità.
La nostra assuefazione ai combustibili fossili ci ha escluso dal ciclo naturale del carbonio rinnovabile. La nostra dipendenza da essi ha fossilizzato anche la nostra mente.
La biodiversità è l’alternativa al carbonio fossile. In essa tutto ciò che deriva dall’industria petrolchimica trova un’alternativa: i fertilizzanti e i pesticidi sintetici, le colorazioni chimiche e le fonti di mobilità e di energia hanno delle alternative sostenibili nel mondo vegetale e animale. Invece di fertilizzanti all’azoto, possiamo utilizzare le colture di leguminose che fissano l’azoto e la biomassa riciclata dai lombrichi o dai microorganismi. Al posto dei coloranti artificiali, possiamo usare le tinture vegetali. Invece dell’automobile, possiamo utilizzare i cammelli, i cavalli, i buoi, gli asini, gli elefanti e le biciclette»

«L’umanità sta prendendo in giro se stessa e il pianeta perché è intrappolata nel modello industriale. Il nostro concetto di vita “degna di essere vissuta” si basa sugli schemi di produzione e di consumo che ebbe inizio con l’uso dei combustibili fossili. Ci aggrappiamo a questi schemi senza riflettere sul fatto che sono diventati una necessità solo negli ultimi cinquant’anni e che mantenere tale livello di vita, non sostenibile e a breve termine, per altri cinquant’anni comporta il rischio di estinzione per milioni di specie e minaccia di distruggere le condizioni stesse della sopravvivenza dell’uomo sul pianeta»

«Il carbonio rinnovabile e la biodiversità ridefiniscono il concetto stesso di “progresso” e quelli di “sviluppo”, “in via di sviluppo” e “sottosviluppato”. Nel modello del combustibile fossile, “sviluppato” è sinonimo di industrializzato: possedere alimenti, indumenti, abitazioni e mezzi di trasporto, indifferenti ai costi sociali dello sradicamento degli individui dal loro lavoro e ai costi ecologici dell’inquinamento atmosferico e delle variazioni climatiche. Secondo tale modello, essere sottosviluppati significa utilizzare sistemi produttivi non industriali, privi di combustibili fossili per avere cibo e vestiario e per garantire il trasporto e la casa.
Per il modello propugnato dalla biodiversità essere sviluppato vuol dire poter salvaguardare lo spazio ecologico delle altre specie, di tutti gli esseri umani e delle generazioni future. Essere sottosviluppati significa usurpare lo spazio ecologico delle altre specie e comunità, inquinare l’atmosfera e minacciare il pianeta.
Dobbiamo cambiare la nostra mente prima di poter cambiare il mondo. Questo foraggio culturale è il nucleo della transizione energetica all’era senza petrolio. Ciò che la impedisce è un modello culturale che percepisce ancora l’industrializzazione come progresso associandolo ai falsi concetti della produttività e dell’efficienza. Ci è stato fatto credere che l’industrializzazione dell’agricoltura
fosse essenziale per una maggiore produzione di generi alimentari. Ma non è affatto vero, come abbiamo visto. Siamo stati erroneamente convinti che le città progettate per le automobili permettano una maggiore mobilità ed efficienza per le nostre esigenze quotidiane, rispetto alle strade progettate per i ciclisti e i pedoni»

«Possiamo continuare a camminare sonnambuli verso l’estinzione o possiamo divenire consapevoli delle nostre potenzialità e di quelle del pianeta»

Vandana Shiva, da “Ritorno alla terra”

martedì 3 aprile 2012

Rinasce il Circolo Fiorentino della Decrescita Felice !!



Domenica 1 Aprile 2012 è ri-nato ufficialmente il Circolo Fiorentino per la Decrescita Felice. L'attività del gruppo sarà organizzata in 4 gruppi principali:

1- Gruppo del saper fare
Recuperare il saper fare, praticare l'autoproduzione, riscoprire tecniche e pratiche andate in disuso, riparare, riusare, costruire creare, praticare la permacultura.

2 - Gruppo di studio
Approfondimento delle tematiche relative alla decrescita e alla sua filosofia, tramite lo studio, il confronto, il dibattito, la preparazione di seminari, l'ideazione di progetti e di proposte.

3 - Gruppo Transition Town
Come all'interno delle città si possa creare una vita alternativa, costituita da sostenibilità, socialità, convivialità, orti cittadini, risparmio energetico, uso consapevole delle risorse.

4 - Gruppo educazione
La decrescita attraverso l'insegnamento ai più giovani, l'educazione come atto creativo di una nuova cultura. Attività con i più piccoli e i ragazzi delle scuole.

Per maggiori informazioni scrivete a: decrescita.firenze@gmail.com

lunedì 2 aprile 2012

Aspettando che le auto comincino a volare


Era il 2015 nel secondo episodio della trilogia di Ritorno al Futuro, quando le automobili potevano essere aereotrasformate rendendole capaci di volare e così intasare di traffico anche le vie aeree.
Oggi non manca poi molto al 2015 e, seppur la probabilità di vedere automobili volanti per quell'anno è molto ridotta, l'aspettativa e l'ottimismo riposto nel progresso tecnico-scientifico forse non è mai stata così alta.
Le situazioni critiche e tutte le problematiche che ne derivano sono in aumento giorno dopo giorno. Il sistema funziono solo creando maggiori costi e maggiori disagi alle persone e al loro ambiente. Di tutto questo non ce ne rendiamo conto e siamo convinti di poter risolvere ogni situazione critica con lo stesso metodo che l'ha generata.
Crediamo quindi che il traffico urbano e extraurbano possa essere risolto con strade più grandi, che lo smog si possa eliminare con auto elettriche o all'idrogeno, che la crisi economica si possa superare con la crescita forzata, che non esistano limiti a ciò che l'uomo può raggiungere e realizzare. Allora ci sono promettenti invocazioni a soluzioni geniali e sconvolgenti che permetteranno non solo di portare avanti l'attuale sistema senza nessun cambiamento di base ma anche di ottenere miglioramenti effettivi del nostro stile di vita eliminando perciò ogni disagio e costo da sostenere.
In attesa che ciò avvenga, aspettando che le automobili comincino a volare, che l'energia possa essere prodotta in abbondanza e senza costi economici, ambientali o sociali, aspettando che venga scoperta una cura dimagrante talmente efficace da permetterci di mangiare tutto ciò che vogliamo senza aumentare mai di peso, in attesa di avere tutto ciò che desideriamo così facilmente e velocemente da non desiderarlo più, io preferisco ricercare la ricchezza nelle piccole cose che si manifestano attorno a me, consolidando la consapevolezza che tutto ciò di cui ho bisogno per essere felice e a mio agio è da sempre esistito dentro me.