«Nelle società fondate sulla crescita del PIL la sobrietà non ha diritto di cittadinanza. Deve essere espunta dal sistema dei valori. Detto fatto: è stata trasformata nel vizio della taccagneria. Chi non cambia il suo guardaroba tutte le stagioni, fa durare gli oggetti a lungo, non getta il cibo avanzato nei rifiuti ma lo mangia il giorno dopo, invece di riscaldare la sua casa a 22 gradi aprendo le finestre quando ha troppo caldo, mette il termostato a non più di 18 gradi e indossa un maglione, viene considerato uno spilorcio, un poveretto che non ha i mezzi sufficienti per vivere allo standard medio. Poichè ogni grado di temperatura in più fa crescere i consumi di gasolio o di metano dell'8 per cento, chi riscalda la sua casa a 22 gradi manda nell'atmosfera il 32 per cento di anidride carbonica in più di chi la riscalda a 18 gradi, aumenta le possibilità di ammalarsi in conseguenza degli sbalzi termici che il suo corpo subisce quando esce e per ottonere questi bei risultati paga anche dei soldi in più di chi si comporta con sobrietà. Pardon, con taccagneria»
«Chi saprà recuperare la saggezza della sobrietà e riscoprirà le conoscenze e le tecniche per ridurre al minimo gli sprechi, non soltanto non subirà limitazioni dalla diminuzione della produzione di merci, non soltanto riuscirà a compensare la riduzione del suo potere d'acquisto, ma riscoprirà modi più soddisfacenti di lavorare e di vivere, di rapportarsi con sè, con gli altri e con i luoghi in cui vive. Perchè la sobrietà è un modo responsabile di agire nei confronti di se stessi oltre che della terra. Riduce lo spazio occupato dalla cura delle cose nella propria vita, consente di dedicare meno tempo al lavoro e al consumo, e di dedicarne di più a se stessi, alle proprie relazioni affettive, alla propria creatività, alla contemplazione. A ciò che dà senso alla vita. La sobrietà è l'atteggiamento che consente di sfuggire a quella mutazione antropologica che secondo Pasolini ha indotto a "privilegiare, come solo atto esistenziale possibile, il consumo e la soddisfazione delle sue esigenze edonistiche", comportando una "riduzione degradante dell'uomo a automa - spesso sgradevole e ridicolo"»
Maurizio Pallante, La felicità sostenibile, 2009
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