«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

giovedì 30 novembre 2017

Il cambiamento spetta a tutti




Non ho mai creduto, e non lo credo tuttora, che nel cambiamento di paradigma culturale la scuola debba avere un ruolo primario, di traino, o quanto meno un ruolo chiave. 

Facile puntare il dito contro la scuola, accusandola di omologare e istruire i giovani al conformismo e all’obbedienza culturale. Niente di più vero. Ma altrettanto vero è che la scuola svolge alla meglio il suo compito. Ovvero prepara i giovani ad affrontare una società basata sulla competizione, su valori materiali, sul progresso eterno e la crescita infinita. Altro non può fare, e non dovrebbe fare. 

La scuola riflette un tipo di società fondata su una monocultura dominante, imposta in tutto il pianeta da anni e anni di violenze fisiche e sempre più avanzate propagande, fino a giungere a un tipo subdolo di schiavitù, quella culturale, di cui siamo tutti inconsapevoli vittime. 

Se la scuola facesse davvero un lavoro basato su fondamenti totalmente differenti, su valori che riguardano il rispetto di ogni forma vivente, sulla collaborazione piuttosto che la competizione, sulla ricerca e lo sviluppo dei propri talenti e dei propri sogni, quelli che ti fanno vibrare di passione, se coltivasse la generosità, la spiritualità, l’empatia, l’equilibrio, la solidarietà, la creatività in ogni singolo alunno creerebbe non dei cittadini-consumatori pronti a entrare in una società competitiva, pronti a fare di tutto per ottenere un buon lavoro, un’auto bellissima e una casa da invidia e pronti a consumare e a obbedire a tutti i dettami culturali, bensì degli esseri umani del tutto incapaci di vivere in una società come quella odierna, creerebbe, in altre parole, degli emarginati e dei perdenti. Questi esseri umani sarebbero quindi costretti a diseducarsi, se mai ne fossero in grado, e a rieducarsi alla monocultura in modo da non soccombere e poter in qualche modo sopravvivere. 

Gli esseri umani, capolavori della vita, sono capaci di sognare in concreto, di creare valore per tutti, di essere felici e a proprio agio nelle proprie particolari condizioni e di apprezzare e rispettare quelle altrui, sono capaci di vivere una vita pienamente solo se le basi di una società nuova li sostengono e permettono il loro sviluppo.

Oltretutto non abbiamo tempo per educare i giovani al cambiamento, e attendere sereni i suoi frutti, mentre noi adulti continuiamo a pensarla e a comportarci allo stesso modo e a credere nei soliti valori degradanti. 

Gettare le basi di una nuova società, di un nuovo paradigma culturale, in grado di sostituire la monocultura, non tocca in primo luogo alla scuola. Sarebbe un po’ come mettere il carro davanti ai buoi. 

Il cambiamento deve partire dalle persone, dai cittadini-consumatori fedeli e obbedienti, dal loro risveglio, dall’apertura dei loro occhi. Questo può avvenire in differenti modi, con differenti stimoli, a seconda delle caratteristiche di ogni persona. L’importante, però, è che avvenga e alla svelta. 

Il cambiamento deve essere imminente, e riguardare tutti, piccoli e grandi, nessuno escluso.


fonte immagine: pixabay


lunedì 4 settembre 2017

Manifesto per una Economia Buddista

Introduzione


«L’uomo ormai è succube dell’economia. Tutta la sua vita è determinata dall’economia. Questa, secondo me, sarà la grande battaglia del futuro: la battaglia contro l’economia che domina le nostre vite, la battaglia per il ritorno a una forma di spiritualità – che puoi chiamare anche religiosità – a cui la gente possa ricorrere. Perché è una costante della storia umana, questo voler sapere cosa ci sei a fare al mondo».

Tiziano Terzani [1]


Un'epoca, iniziata secoli fa con la prima rivoluzione industriale, si sta per chiudere. La società umana è stata ingurgitata dal mito del progresso materiale e della crescita infinita ideato e imposto, prima a fuoco e poi a ferro, dalla cultura occidentale in tutto il pianeta.

Adesso la crisi globale che tocca tutti gli ambiti, economico, ecologico e umano, è arrivata a un livello tale da rendere il cambiamento strettamente necessario e urgente.

Non staremo a ripetere per l'ennesima volta i motivi di tale necessità e urgenza: dovrebbero oramai essere chiari ed evidenti a tutti.

In questo Manifesto vogliamo contribuire, anche se minimamente, alla corrente di cambiamento culturale e sociale che è già in atto, anche se in forma embrionale.

Si propone quindi una riflessione attorno ai principi di un'economia diversa da quella che a cui siamo abituati: localizzazione piuttosto che globalizzazione, collaborazione e relazioni umane piuttosto che competizione e isolamento, armonia con la natura piuttosto che distruzione della natura, sobrietà e semplicità volontaria piuttosto che ostentazione e consumismo, piccole e utili opere piuttosto che grandi e impattanti opere.


[1] Tiziano Terzani – La fine è il mio inizio


martedì 25 luglio 2017

Il fondamento del monopensiero



La deriva progressista è oggi sorretta dall’abbandono del senso del limite. Questo è uno dei nodi nevralgici più importanti della monocultura odierna. Non accettare i limiti ci sta conducendo a un’economia che pur di crescere miete sempre più vittime e a una tecnologia sempre più abbondante e avanzata che non è possibile mettere in discussione. Tutto questo perché il più è sempre meglio, non importa più di cosa o più come. La quantità conduce alla qualità, non c’è altra via. Questo è il dogma. 

Ma il limite più importante di tutti, sul quale la cultura occidentale sta imperniando tutta la sua capacità di presa, è il limite della vita stessa, ovvero la morte. Noi non accettiamo la nostra morte, non la capiamo, non le diamo un significato che non sia prettamente scientifico. La vogliamo sconfiggere, abbattere. La morte è il nemico più grande del monopensiero, perché è di fatto il limite più evidente e difficile da valicare. Non si sente più l’espressione “morto di vecchiaia”, si muore sempre per qualcosa, perché dare la colpa della morte a qualcosa che sia circoscrivibile e attaccabile ci conforta, ci fa sperare che un giorno questo qualcosa possa essere definitivamente sconfitto. Non accettiamo che la morte sia un fatto intrinseco alla vita che non potrà mai, mai e poi mai, essere sconfitta. 

La monocultura occidentale, come sta pensando di conquistare il cosmo per depredare e distruggere altri pianeti (altro limite d’abbattere è quello della nostra Terra, oramai troppo piccola per le ambizioni umane) allo stesso modo pensa a come eliminare la morte e vincere una battaglia insensata contro la natura delle cose.


martedì 18 luglio 2017

L'applicazione della scienza DEVE essere democratica



In questi giorni sta andando in voga la frase “la scienza non è democratica”, lo slogan più gettonato dei sostenitori dell’obbligo vaccinale. 
Senza entrare nel merito della questione vaccini, che è solo un piccolo aspetto del fenomeno che riguarda una concezione culturale della vita e del mondo, mi soffermerei semplicemente su questa affermazione e sulle sue implicazioni.
Precisiamo subito, la fede cieca e assoluta nella scienza e nella tecnologia è, a mio modo di vedere, la causa di molte delle nostre più grandi problematiche attuali. 
Detto questo, è bene fare una distinzione fondamentale tra scienza, ovvero la conoscenza del mondo fenomenico basata su prove sperimentali ripetute, e la scienza applicata attraverso la tecnologia.

Partiamo dal primo aspetto, la conoscenza scientifica. 
La scienza è in continua evoluzione e probabilmente non smetterà mai di evolversi, non troveremo mai un punto fermo di arrivo alle nostre scoperte. In ogni caso, porre la scienza come baluardo d’assolutismo e d’obiettività, ossia ciò su cui non è ammessa alcuna discussione, è rischiosissimo dato che la stessa scienza, come ogni altra cosa creata dall’uomo, è di per sé limitata e imperfetta. Dopo la fisica dell’ultimo secolo e le recenti scoperte in campo quantistico, pare che di assoluto e indiscutibile ci sia ben poco.
Questo non significa certo mettere in discussioni le teorie scientifiche dimostrate e sperimentate, piuttosto non permettere alla scienza e alla razionalità umana di prendere il sopravvento e di diventare l’unico determinante su cui creare una visione del mondo e della vita e su cui costruire una società. Cosa che di fatto sta già accadendo.
La deriva materialistica, progressista, neoliberista è figlia della fede cieca e assoluta nella scienza che la civiltà occidentale ha coltivato sempre più intensamente in questi ultimi secoli. La fisica moderna in realtà ci sta dicendo cose ben diverse, che si legano forse più alle tradizioni e culture antiche piuttosto che alla scienza newtoniana, ma nonostante questo noi, presi dalla rapida evoluzione tecnologica, continuiamo a seguire questa deriva. La società umana non può basarsi soltanto sulla scienza, deve prendere riferimenti etici e spirituali da altre fonti di conoscenza non scientifiche. 
Trovo che la frase “la scienza non è democratica” sia molto pericolosa, soprattutto in una società come quella di oggi nettamente sbilanciata verso gli aspetti materiali. Sento la necessità di condannare ogni sorta di assolutismo, persino quello della scienza. 

Veniamo all’altro aspetto, la scienza applicata, la tecnologia. 
Certo, è vero, ci sono delle teorie dimostrate che devono essere prese per valide, almeno fino a che non vengono confutate scientificamente, ma senza dubbio l’applicazione concreta della conoscenza scientifica resta, e dovrà restare anche in futuro, una scelta democratica non imposta con la forza. 
Vado oltre, l’applicazione delle conoscenze scientifiche alla società, e quindi l’utilizzo delle tecnologie, non solo deve essere democratica, quindi suscettibile dell’opinione informata di tutti, ma deve pure essere unita agli aspetti etici, culturali e spirituali che ogni individuo libero deve essere in grado di coltivare autonomamente.
Le decisioni che riguardano la società nel suo insieme, a maggior ragione in un mondo sempre più interconnesso come quello di oggi, dovrebbero essere prese considerando le scelte consapevoli e informate delle singole persone. Scelte che siano basate su conoscenze scientifiche, ma non solo, che siano anche accompagnate da una serie di valori etici, spesso non razionali o dimostrabili, come la solidarietà, la non violenza, il senso di comunione con gli altri e con la natura, l’affetto, la pace interiore, la felicità. Privarci di questi determinanti contribuirà alla costruzione di una società sempre più colma di tecnologie, sempre meno utili all’uomo, e sempre più prevaricanti su di esso e sulla vita in generale. 
Fare una scelta consapevole e informata potrebbe anche non seguire alla lettera i dettami scientifici se questo significa preservare i nostri incommensurabili valori etici. Non è affatto detto che tutto quello che conosciamo e che sappiamo fare, lo si debba per forza fare. Per questo, date per certe alcune conoscenze scientifiche, spetta sempre alla singola persona fare la propria scelta, una scelta che, se effettivamente informata e consapevole, è di estremo valore per il bene di tutta la società.




lunedì 26 giugno 2017

Darsi dei principi etici per la felicità di tutti



Non c'è vera felicità se non attraverso scelte e comportamenti consapevoli, che non siano imposti dall'esterno, ma siano il risultato di una propria presa di coscienza profonda, basata su informazioni, confronti e riflessioni. Darsi dei principi etici da seguire non significa limitare la propria libertà, tutt'altro, non significa neanche fare delle rinunce o dei sacrifici. Scegliere e adottare dei chiari e motivati principi di comportamento significa essere davvero liberi: liberi di poterli scegliere secondo coscienza, liberi di poterli modificare nel tempo e liberi pure di poterli trasgredire nelle modalità che noi stessi riteniamo opportune. 

Perciò è fondamentale approfondire sempre ogni tematica, tecnica, scientifica o spirituale che sia. Approfondire attraverso lo studio, il confronto, la meditazione, l'esperienza. Approfondire e mettersi nelle condizioni di poter scegliere il comportamento da tenere. Un comportamento che sia etico, in quanto conduca alla creazione di valore per sé e per gli altri, nessuno escluso: noi stessi e tutto l'ambiente che ci circonda. 

Soltanto attraverso un approfondimento costante e una presa di coscienza profonda saremo in grado di scegliere dei principi etici da seguire in modo scrupoloso, che siano nostri, non imposti da altri, né imponibili agli altri. Dei principi di comportamento etico, in costante evoluzione, che ci guidino ininterrottamente nella direzione della felicità di tutti, nessuno escluso. 

Ecco alcuni principi che ho scelto di seguire in piena libertà e coscienza. Come già detto si tratta di principi liberamente scelti, perciò personali, e in continua evoluzione.


1. Non avere in casa la televisione;
2. Utilizzare l'automobile solo quando strettamente necessario;
3. Non prendere mai sacchetti di plastica per fare la spesa;
4. Non usare mai stoviglie di plastica usa e getta;
5. Evitare sempre e comunque tutti gli oggetti usa e getta;
6. Mangiare la carne al massimo una volta a settimana;
7. Non usare mai sale e zucchero in cucina e limitare al massimo alimenti che li contengono;
8. Non comprare mai acqua in bottiglie di plastica;
9. Non utilizzare mai in casa o in auto impianti di condizionamento dell'aria;
10. Non regolare il termostato di casa sopra i 20 gradi in inverno;
11. Non acquistare frutta e verdura con imballaggi;
12. Acquistare soltanto frutta e verdura biologica;
13. Utilizzare detergenti e cosmetici di origine naturale;
14. Evitare l'uso dei prodotti surgelati;
15. Utilizzare solo farine integrali o semi-integrali;
16. Fare la raccolta differenziata di tutti i rifiuti, separando attentamente i materiali di cui è composto ogni singolo oggetto;
17. Preferire in ogni caso fare regali immateriali o crearne di originali;
18. In casa spegnere le luci che non si usano e tutti gli apparecchi elettronici evitando sempre gli stand-by;
19. Fare della sobrietà oltre che uno stile anche una filosofia di vita;



foto: pixabay

martedì 23 maggio 2017

La fobia del dissenso



«Così come nella biologia ci deve essere la biodiversità perché la vita continui, nella cultura ci deve essere la diversità culturale perché ci sia la cultura»

(Parole di Tiziano Terzani da: Gloria Germani – Tiziano Terzani: la rivoluzione dentro di noi)



Credo che molti di voi che leggeranno queste mie parole non mi capiranno. Non certo per mancanza di intelligenza. Quanto forse per colonizzazione mentale. 

Una colonizzazione mentale che tutti abbiamo subito, istruiti o meno, talentuosi o meno. La monocultura è forte oggi come non mai. Sembra quasi che si muova e si evolva a suo modo, come fosse dotata di vita propria. Si è formata in secoli e secoli di storia, oramai ha conquistato il globo ed è pronta a espandersi nel cosmo. 

Certo mi direte che in Cina, in Belgio e in Cile si hanno tutt’oggi lingue, costumi e tradizioni differenti. Ovvio. Ma il pensiero di fondo è uno, e unica è la visione del mondo che ne risulta. Una visione basata sul dominio dell’uomo su tutto, sull’abbattimento di ogni limite e sulla soddisfazione di necessità materiali a scapito dell’altro, che sia un consimile, un animale o un intero ecosistema. 

La monocultura è talmente radicata nelle nostre menti, e probabilmente anche nei nostri subconsci, che non ci rendiamo conto di non pensare più con la nostra mente, ma con la mente di un sistema invisibile più grande di noi. Siamo del tutto incapaci di pensare con la nostra mente, di vedere con i nostri occhi e di esprimerci coerentemente perché perdendo l'abitudine a farlo ci siamo dimenticati come si fa. 

Anche se qualcuno di noi prova a cominciare a pensare con la propria testa ci sono mille reazioni e condizionamenti pronti a riportarci sulla retta via, l’unica possibile. È molto difficile solo azzardarsi a sviluppare un singolo pensiero in contrasto col sistema, figuriamoci a sviluppare una serie di pensieri, per non parlare di tentare di esprimerli o ancor più di metterli in atto. Ciò è possibile solo in situazioni di emarginazione sociale, non sempre possibile o auspicabile. 

La monocultura ci vuole tutti ben pensanti, tutti in disaccordo per questioni frivole, la partita di calcio, il gossip, le finte opposizioni politiche tra destra e sinistra, ma tutti in perfetto accordo e sintonia su ciò che conta veramente: sulla visione della realtà, su quali sono i valori, i principi, la filosofia che sottendono tutto il nostro operato. 

Riteniamo di vivere nella cultura più evoluta della storia (perché la storia si evolve migliorando in senso lineare): la cultura che ci ha dato i nostri diritti a condizione di pagare coi nostri doveri, donandoci finalmente la piena libertà. Quando poi, andando ad analizzarla bene, questa libertà non c’è proprio, anzi. La libertà di scegliere tra centinaia di marche di dentifricio e tra decine e decine di varianti della stessa marca, questa libertà l’abbiamo acquisita in pieno. Ma per il resto la nostra libertà intellettuale non è mai stata così ridotta e incanalata. 

La monocultura è una forma di dittatura. Infatti, detesta il dissenso, anche se ragionato e pacato. La monocultura non ama essere disturbata, perché di fatto è una cultura autoreferenziale e molto povera, dato che è unica non ha nessuna varietà. 

Non ci credete? Provate a fare un test, provate una volta tanto a esprimere un’opinione vostra che sapete non essere un’opinione standard. Non pensate subito a temi complessi o questioni serie e importanti. È sufficiente sperimentarlo su fatti banali, quotidiani. 

A me capita spesso, anzi, capitava, perché adesso non ci provo più a confrontarmi. È come se parlassimo due lingue differenti, molto differenti. È come se la società volesse per forza convincerti, come se non accettasse la tua divergenza, la tua disobbedienza: questo perché la monocultura non prevede altre culture, non riesce nemmeno a concepirle. Osserverete nella reazione delle persone, forse non tutte, ma molte, un senso di agitazione e di rigetto verso il vostro dissenso. Faranno di tutto, prima di emarginarvi, per ricondurvi alla ragione, tenteranno in tutti i modi di convincervi, anche se voi volevate semplicemente esprimere un’opinione e non imporla agli altri. Be’, a differenza gli altri non accetteranno la vostra ma vorranno distruggerla. Se cederete, l'anomalia rientra e il sistema si rimargina, altrimenti verrete etichettato ed emarginato come estremista, pessimista, allarmista, terrorista, fanatico, demente. Molte altre persone non vi risponderanno neanche, vi ignoreranno e passeranno direttamente alla vostra esclusione. 

Ho già avuto modo di scrivere di ciò, e le cose da allora non si sono evolute. La monocultura si sta espandendo a grande ritmo e sta colonizzando ogni anfratto della nostra coscienza. Probabilmente occorrerà una grossa singolarità per liberarcene del tutto. 

Non resta che attendere e resistere. Nel frattempo godiamoci, quando possiamo, qualche momento di libertà intellettuale, anche senza esternarla. Formuliamo dentro di noi un pensiero di dissenso culturale: assaporiamolo, gustiamocelo e respiriamo a pieni polmoni in questa piccola oasi di libertà da noi creata, prima di ritornare a sopravvivere nella massa uniforme del pensiero unico. Ci farà bene. 


fonte foto: pixabay


venerdì 31 marzo 2017

Racconti Etici: dove trovare il libro



Ho raccolto dieci racconti, molti dei quali del tutto inediti, in un piccolo volume che è appena stato stampato. 
I Racconti Etici sono brevi storie per grandi e per piccini, leggeri ma profondi, semplici ma emozionanti. 
Leggeteli e scopriteli con gli occhi di un bimbo, per tornare all'essenza delle cose, alla parte più pura e intima della nostra natura.

POTETE TROVARE IL LIBRO:

Online: al seguente link

In negozio: da Collezionando in via Lunga 46a - Firenze - zona Isolotto - vicino alla fermata Federiga della tramvia (orario e contatti)


lunedì 20 febbraio 2017

Un'economia buddista: un manifesto da sottoscrivere


Pubblico e rendo disponibile liberamente questo manifesto con cui intendo prendere una posizione chiara riguardo al sistema economico e sociale che è attualmente in vigore e che sta inesorabilmente conducendo la società a una deriva post-industriale che consacra in modo definitivo il dominio degli aspetti materiali ed distruttivi sulle coscienze di tutti, nessuno escluso. 

Il manifesto, volutamente sintetico, è strutturato in una parte introduttiva e una parte enunciativa dei dieci principi su cui può essere fondata una nuova economia, denominata appunto buddista per lo stretto legame con i principi della filosofia buddista. 

Chiunque si rispecchi e si riconosca in tali principi e si auspichi una loro più celere applicazione concreta nella società, scarichi e diffonda liberamente il manifesto e lo sottoscriva, scrivendoci e lasciandoci il proprio nome e cognome.



I firmatari del manifesto saranno qui sotto elencati in ordine di adesione: 


Luca Madiai
Cinzia Mattana
Laura Magni
Maira Accorsi
Franco Braccini
Luca Sguerri
Silvia Braccini
Davide Casanova

lunedì 13 febbraio 2017

Non è un paese per perdenti

Riflessioni sulla lettera di Michele





Dopo aver letto le ultime parole di Michele non ho potuto non prendere un momento per riflettere. 

La prima cosa che ho pensato è stata a quanto la sua situazione, quella di un giovane di trent’anni stanco di tentare di ritagliarsi un ruolo in una società che non lo vuole, sia in realtà molto vicina alla condizione che molti, specie tra i giovani, vivono in questo momento storico più che in ogni altro. 

Non voglio soffermarmi sul suo gesto, ovvero sull’effetto della sua crisi personale. Credo profondamente che la vita sia il massimo dei valori e che abbia sempre e comunque un senso vivere. Considero il suicidio una delle azioni più gravi che si possa compiere, ma non mi permetterei mai di condannare la sua decisione, né di giudicarlo. Piuttosto vorrei, in queste poche righe, riflettere su quelle che sono le cause della sua condizione.

Viviamo oramai da secoli in una società basata sulla competizione. Oggi la deriva progressista e materialista ci ha condotto a uno squilibrio e a una degenerazione che non solo stanno minacciando la vita dell’intero pianeta sotto il punto di vista climatico ed ecologico, ma stanno letteralmente degradando e demolendo la nostra felicità e la nostra solidarietà di esseri umani, di esseri, appunto, sociali. 

In una società basata sulla competizione quello che conta è il prodotto, il risultato: che sia il proprio lavoro, la propria fidanzata o il proprio figlio, tutto deve essere efficiente e performante, tutto deve essere al massimo per poter sopraffare, sbalordire, vincere e convincere. 

In una società basata sulla competizione contano la quantità più della qualità, l’apparenza più della sostanza, l’utile più del dilettevole, il calcolo più del sogno, l’astuzia più dell’ingenuità, la superficialità più della profondità, l’arroganza più della sensibilità. L’amicizia, l’affetto e persino l’amore sono mezzi per raggiungere un fine, per essere soddisfatti e vincenti. 

In una società basata sulla competizione occorrono perdenti perché ci siano vincenti. Qualcuno deve perdere perché si possa vincere: altrimenti il gioco non vale la candela, altrimenti il sistema non funziona. 

Il sogno americano è proprio basato su questo principio fondamentale: il principio dell’ ”uno su mille ce la fa”. E su questo principio si basa la società dei consumi. La speranza, se pur misera, di vincere convince ogni singolo individuo ad accettare ogni privazione e a lottare con tutte le forze per poter ambire al meglio, a discapito di tanti altri che non ce la faranno. La stessa logica regge il gioco d’azzardo che, non a caso un fenomeno dilagante negli ultimi anni. La stessa logica sta dietro ai fenomeni di immigrazione fuori controllo che oggi come mai spingono milioni di persone a lasciare paesi devastati in cerca di una vita migliore o, quanto meno, della sua illusione. 

In questa deriva sociale, è ovvio che la legge del più forte diventi la legge cardine del sistema. Occorre che chi non è forte lo diventi se vuole sopravvivere, o che comunque cerchi con qualche espediente di farlo. Con l’aggravarsi della situazione, dal punto di vista sociale, economico e ambientale, tutto si fa più instabile, incerto, e la competizione diventa più sfrenata che mai. 

Michele non solo non è stato fortunato, ma non è stato sufficientemente forte e sicuro, non è riuscito a vincere nelle sfide quotidiane, non è stato sufficientemente produttivo, efficiente, dinamico, flessibile, arrogante. La sua sensibilità e la sua insicurezza lo hanno condannato a perdere su tutti i fronti, a rientrare a pieno titolo nella gran massa dei perdenti alla precoce età di trent’anni. 

L’Italia di oggi si sta delineando sempre più un paese per soli vincenti in cui chi non ce la fa è debole ed è giusto abbandonarlo. È il mercato, dei beni e dei servizi come quello del lavoro e degli affetti, ad essere sommo giudice di ogni sfida: il mercato decide se hai successo o no, se tu vali qualcosa o no. 

Non è un paese per perdenti. Anche se, dopotutto, i perdenti sono essenziali al sistema e perciò sono preziosi, ma è bene che questo loro non lo sappiano. È bene che si sentano dei falliti, degli sconfitti e degli inetti. È bene che continuino a soffrire, a invidiare, a osannare, a bramare: questo è il loro insostituibile ruolo sociale. 

Michele è stato debole e ha perso. Ma è stato abbastanza forte da non accettare il suo ruolo di perdente. Ha semplicemente tolto il disturbo, facendo pacatamente notare a tutti il suo atto di coraggiosa disobbedienza.


fonte foto: pixabay

mercoledì 4 gennaio 2017

Tutto a post. - Raccolta di tutti i post del blog


Ho raccolto tutti i post che ho scritto da quando ho aperto il blog nel 2010 fino ad oggi. Anni di riflessioni racchiusi in un unico volume.
Ho escluso solamente i post che contengono articoli o racconti che sono stati pubblicati altrove. I post più popolari, ovvero che sono stati letti da oltre cinquecento persone, li ho contrassegnati con un asterisco subito dopo il titolo del post.
Il volume è acquistabile a questa pagina. Forse è utile specificare che il mio margine è praticamente irrisorio. In ogni caso è un libro che può essere piacevole da sfogliare e rileggere, anche in ordine sparso. 

La prossima pubblicazione riguarderà invece una raccolta di racconti a sfondo decrescente e spirituale, alcuni dei quali sono già stati pubblicati sul blog negli anni scorsi, mentre altri sono del tutto inediti. 

Buona lettura 

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