«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

martedì 25 luglio 2017

Il fondamento del monopensiero



La deriva progressista è oggi sorretta dall’abbandono del senso del limite. Questo è uno dei nodi nevralgici più importanti della monocultura odierna. Non accettare i limiti ci sta conducendo a un’economia che pur di crescere miete sempre più vittime e a una tecnologia sempre più abbondante e avanzata che non è possibile mettere in discussione. Tutto questo perché il più è sempre meglio, non importa più di cosa o più come. La quantità conduce alla qualità, non c’è altra via. Questo è il dogma. 

Ma il limite più importante di tutti, sul quale la cultura occidentale sta imperniando tutta la sua capacità di presa, è il limite della vita stessa, ovvero la morte. Noi non accettiamo la nostra morte, non la capiamo, non le diamo un significato che non sia prettamente scientifico. La vogliamo sconfiggere, abbattere. La morte è il nemico più grande del monopensiero, perché è di fatto il limite più evidente e difficile da valicare. Non si sente più l’espressione “morto di vecchiaia”, si muore sempre per qualcosa, perché dare la colpa della morte a qualcosa che sia circoscrivibile e attaccabile ci conforta, ci fa sperare che un giorno questo qualcosa possa essere definitivamente sconfitto. Non accettiamo che la morte sia un fatto intrinseco alla vita che non potrà mai, mai e poi mai, essere sconfitta. 

La monocultura occidentale, come sta pensando di conquistare il cosmo per depredare e distruggere altri pianeti (altro limite d’abbattere è quello della nostra Terra, oramai troppo piccola per le ambizioni umane) allo stesso modo pensa a come eliminare la morte e vincere una battaglia insensata contro la natura delle cose.


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