«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 25 giugno 2012

La crisi dell'impero romano d'occidente oggi




La crisi di sistema che stiamo vivendo in questo momento storico ricorda per certi versi quella attraversata dall’impero romano d’occidente attorno al III secolo d.C. Non sono uno storico e non voglio ritenermi tale, ma certi parallelismi è difficile non notarli. Dopotutto credo che le crisi di sistema, alle quali segue inevitabilmente un cambiamento radicale in ogni fronte, presentano tutte delle similitudini indispensabili.
Ad ogni modo, l’impero romano al massimo della sua espansione presentava una crisi che principalmente era proprio dovuta alla mancanza di ulteriore espansione, e quindi di crescita. L’assenza di guerre causava la difficoltà nell’approvvigionamento di schiavi, quindi di manodopera nei campi, vista ai giorni nostri equivale alla scarsità del petrolio, quindi a una crisi energetica. La situazione era aggravata dalla pressione esercitata dai popoli del nord Europa, i germani, che si facevano sempre più minacciosi e che cominciavano a rendere le frontiere terre insicure e pericolose. Oggi migliaia di immigrati si spingono alle coste del sud Europa, tentando di approdare nel vecchio continente nella speranza di costruirsi una vita più dignitosa. L’abbandono delle terre coltivate, l’aumento del brigantaggio e quindi dell’insicurezza e l’aumento delle tasse e quindi l’ampliarsi del divario tra ricchi e poveri sono tutte caratteristiche trasferibili ai giorni nostri che favorirono l’aggravarsi di una crisi economica e sociale diffusa.
Come non notare oggi certi parallelismi, ovviamente aggravati da una situazione del tutto nuova. La crisi di sistema come conseguenza dell’insostenibilità prima ambientale, poi economica e infine sociale rendono il cambiamento, oltre che auspicabile, assolutamente inevitabile. E un cambiamento ci sarà di certo, come dall’impero e dalle ville romane si passò ai regni e ai feudi, oggi dalle multinazionali e dagli stati-nazione si passerà a un’economia e a una vita fortemente localizzata, un regionalismo davvero globalizzato che possa mettere in relazione continua molteplici esperienze e permettere all’uomo di esprimere a pieno le sue potenzialità nel suo interessere armonioso con il suo ambiente vitale. 

mercoledì 20 giugno 2012

Decrescita Felice e Rivoluzione Umana a Livorno



Presentazione della Decrescita Felice e Rivoluzione Umana alla Libera Università Popolare "Alfredo Bicchierini" di Livorno.


Libera Università Popolare "Alfredo Bicchierini" Livorno "(UNIPOP). Corso di formazione per volontari. "Per una economia solidale e delle relazioni". Lezione del 14 maggio 2012 "Dall"economia della crescita all'economia del limite" Riflessioni e pratiche per la transizione. Un'introduzione alla decrescita. Presentazione di Massimo Maggini. Relatori: Andrea Bertaglio (vicepres.Movimento per la decrescita felice) e Luca Madiai. email: libunivlivorno@gmail.com 
www.liberauniversitapopolare.wordpress.com

lunedì 18 giugno 2012

Il paradosso dell'eccesso

La logica della crescita - parte due


Capita spesso di leggere queste etichette “del benessere”. Dopotutto sono consigli utili che la società del progresso ci “regala” altruisticamente acquistando una confezione di merendine o di crackers dietetici, iposodici e biologici. “Come smaltire le calorie in eccesso?”, eh sì, questa è la fatidica domanda del nuovo millennio. Una domanda da un milione di dollari per chi trova la risposta più efficace e indolore. Qua c’è una risposta facile: “7 minuti di corsa equivalgono a circa 100 kcal”, pensa che hanno fatto un bilancio energetico per te, per la tua buona salute. Ciò non toglie che devi controllare la tua dieta, facendo calcoli avanzati sulle calorie che ingerisci, esaminando il retro di ogni confezione. Quello che hai mangiato in eccesso puoi bruciarlo andando a correre nel parco in su e giù per il vialetto alberato, arrivandoci magari in auto e quindi bruciando qualche kcal in più di benzina, oppure meglio ancora sul tapis roulant della modernissima e avanzatissima nuova mega-palestra della quale hai l’abbonamento annuale che è super conveniente e che include anche saune e massaggi shiatsu.

Questo ti pare e ti è sempre parso del tutto naturale, quasi scontato. È la società del progresso, questi sono i suoi vantaggi. Puoi mangiare quante merendine vuoi, perché gli esperti hanno fatto un calcolo per cui correndo per 37 minuti al giorno è come se quelle merendine in più non le avessi neanche viste. Sono state consumate, per il mero piacere di consumare qualcosa di invitante.

Ma … ti è mai successo di fermarti un istante a riflettere su quella etichetta informativa? Di osservare la sua “amorevole premura” da un altro punto di vista? Io sì. E devo dire che non appena ho cambiato punto di vista la cosa mi è apparsa del tutto capovolta. Mi sono chiesto: ma per quale motivo dovrei correre ogni giorno per bruciare delle calorie in eccesso? Non sarebbe più semplice e naturale non mangiare affatto calorie in eccesso? Se sono in eccesso che funzione hanno per il mio corpo se non quella di appesantirlo e di peggiorare il suo stato di salute? Che senso ha l’eccesso? Perché un’etichetta su un prodotto che ho acquistato mi dovrebbe dire che nel caso io mangi in eccesso (e la cosa pare sottointesa) dovrei bruciare quell’eccesso andando a correre faticando? Che senso ha? non sarebbe equivalente all’acquistare qualcosa in più rispetto alle mie necessità e poi gettarla direttamente nell’immondizia? Non è un paradosso?

Poi effettivamente c’ho riflettuto bene. È ovvio che in una società basata sulla crescita eterna dell’economia questo è assolutamente normale, anzi è del tutto auspicabile che ci siano tante persone ingorde che non resistano alla tentazione, mangino sempre in eccesso per poi smaltirlo magari con palestre o cure dimagranti che allo stesso modo fanno crescere ancora di più l’economia. Perciò ho concluso: in questa società dell’abbondanza nessun paradosso, godiamoci lo spreco e gustiamoci l’eccesso.

mercoledì 13 giugno 2012

Donella Meadows per la decrescita

Uscire dal senso comune


Estratto da: I nuovi limiti dello sviluppo, Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers

«NON: chi lancia un allarme sul futuro è un profeta di sventure.
MA: chi lancia un allarme sul futuro indica la necessità di cambiare strada

NON: L’ambiente è un lusso, una domanda in competizione con altre, un bene che la gente acquisterà quando se lo potrà permettere
MA: Dall’ambiente discendono ogni forma di vita e ogni attività economica. I sondaggi d’opinione dimostrano che la gente è disposta a pagare di più per avere un ambiente salubre. 

NON: il cambiamento è sacrificio
MA: il cambiamento è sfida, ed è necessario.

NON: fermare la crescita impedirà ai poveri di uscire dalla loro condizione.
MA: sono l’avarizia e l’indifferenza dei ricchi a mantenere i poveri nella miseria. I poveri hanno bisogno che tra i ricchi si sviluppino nuovi atteggiamenti; dopo di che si potrà pensare a forme di crescita adatte specificatamente ai loro bisogni. 

NON: ogni paese al mondo dovrebbe essere portato al livello materiale dei paesi più ricchi.
MA: non è possibile che tutti raggiungano i livelli di consumo materiale di cui godono oggi i ricchi. Ognuno dovrebbe essere messo nelle condizioni di soddisfare i suoi bisogni materiali primari. Al di là di questo livello, i bisogni materiali – di tutti – dovrebbero essere soddisfatti solo se è possibile farlo entro i limiti di un’impronta ecologica sostenibile.

NON:ogni crescita è buona – non c’è spazio per dubbi, distinzioni, analisi
NEMMENO: ogni crescita è cattiva 
MA: ciò che occorre non è la crescita, ma lo sviluppo. Nella misura in cui lo sviluppo implica un’espansione fisica, questa dovrebbe essere equa, accessibile e sostenibile (tenendo conto di tutti i suoi costi). 

NON: la tecnologia risolverà ogni problema
NEMMENO: la tecnologia non fa altro che creare problemi
MA: abbiamo bisogno di incoraggiare tecnologie che riducano l’impronta ecologica, accrescano l’efficienza, potenzino le risorse, migliorino i segnali e pongano fine alla povertà materiale. 
INOLTRE: dobbiamo affrontare i nostri problemi in quanto esseri umani e dare un apporto che vada oltre la mera tecnologia. 

NON: il sistema di mercato ci darà automaticamente il futuro che vogliamo.
MA: dobbiamo essere noi a decidere il futuro che vogliamo. Dopo di che, possiamo utilizzare il sistema di mercato, al pari di molti altri strumenti organizzativi, per realizzarlo. 

NON: l’industria è la causa (o la cura) di tutti i mali
NEMMENO: lo Stato è la causa (o la cura) 
NEMMENO: gli ambientalisti sono la causa (o la cura) 
NEMMENO: qualunque gruppo – vengono in mente gli economisti – è la causa (o la cura)
MA: tutte le persone e tutte le istituzioni svolgono un ruolo all’interno di una più ampia struttura sistemica. In un sistema strutturato per produrre il superamento dei limiti, tutti gli attori, volenti o nolenti, contribuiscono a quell’esito. In un sistema strutturato per l sostenibilità, tutti contribuiscono a essa: industrie, governi, ambientalisti e, più di ogni altro, economisti. 

NON: pessimismo senza scampo
NEMMENO: vacuo ottimismo
MA: determinazione a dire la verità sui successi e i fallimenti del presente, così come sulle opportunità e gli ostacoli del futuro.
E SOPRATTUTTO: coraggio di riconoscere e sopportare le sofferenze del presente, tenendo al tempo stesso lo sguardo rivolto verso un futuro migliore»

lunedì 11 giugno 2012

Energie rinnovabili: ci vuole chiarezza




Breve analisi suoi punti oscuri dell’energie rinnovabili e non
parte uno

Ho notato da tempo che c'è molta confusione attorno alle energie rinnovabili e all'energia nel suo insieme. Probabilmente anche tra gli stessi tecnici o comunque tra le persone che hanno a che fare quotidianamente con energie alternative e la cosiddetta "green economy" non si trovano idee troppo chiare su come funzionino nella realtà tali sistemi e quali siano i loro evidenti limiti.

Ci sono alcuni falsi miti diffusi, non so da chi, ma effettivamente molte persone pensano, forse inconsciamente, che i sistemi ad energia rinnovabile per antonomasia come l’eolico e il fotovoltaico siano capaci di produrre in qualsiasi momento, o meglio che siano in grado di immagazzinare l’energia (non so sotto quale forma) e di renderla disponibile all’utilizzo, quindi che il loro comportamento sia simile a una caldaia a gas o all’interruttore della luce. Premo un pulsante e ho energia. Questa idea è più diffusa di quanto credessi.
Un’altra falsa credenza, meno lampante, è quella che riguarda la differenza tra energia e potenza, che spesso sono considerati sinonimi ma che di fatto sono due cose ben diverse: sarebbe un po’ come dire che la distanza e la velocità siano la stessa cosa. Da ciò si fa tanta confusione quando si parla di kW e di kWh, usandoli l’uno al posto dell’altro senza troppi complimenti. E quindi con pochi metri quadri di pannelli fotovoltaici pensiamo di produrre l’energia di cui abbiamo bisogno, nel momento e nell’intensità che desideriamo.

La realtà è un’altra. La realtà rispecchia i principi della termodinamica. Partiamo perciò col definire la differenza tra energia e potenza. L’energia esprime la capacità di un sistema di compiere lavoro uguale a una forza per uno spostamento; di fatto non ha una definizione migliore di questa, in termini puramente filosofici si potrebbe dire che l’energia è ciò che fa accadere le cose, ciò che permette la vita stessa. La potenza invece riguarda la capacità di un sistema di produrre, consumare o trasferire energia in una unità di tempo determinata. La differenza tra energia e potenza è quella che c’è tra la quantità di acqua che si trova in un serbatoio e la velocità con cui quest’acqua può passare a un altro serbatoio. 
Il primo principio della termodinamica afferma che l’energia di un sistema isolato si conserva in quantità, mentre il secondo afferma che tale energia di fatto non si conserva mai in qualità, ovvero che l’energia dell’universo è sempre la stessa in termini quantitativi ma si degrada sempre più in termini qualitativi.

Ritornando quindi ai nostri sistemi a energia rinnovabile, osservando che la fonte primaria che essi sfruttano è spesso intermittente e non sempre prevedibile (come nel caso del fotovoltaico e dell’eolico) è naturale che l’energia che producono dipende dalla presenza e dall’intensità di queste fenomeni naturali nell’istante esatto che stiamo considerando. L’energia elettrica che generano ha degli evidenti vantaggi in quanto può essere trasportata facilmente senza grosse perdite ed è un tipo di energia pregiata in quanto può essere facilmente convertita in altre forme di energia. Lo svantaggio maggiore dell’energia elettrica è la difficoltà di accumularla per poterla utilizzare in un secondo momento. Esistono diversi sistemi per farlo ma sempre a un costo energetico ed economico troppo rilevante per essere impiegato su larga scala. Questo è il motivo principale per cui i piccoli sistemi ad energia rinnovabile funzionano bene se integrati tra di loro in una rete intelligente locale che gestisce istantaneamente la potenza generata in base alle utenze e ne ottimizza l’utilizzo. Stiamo andando verso una società sempre più elettrificata, dove le energie rinnovabili, l’efficienza di conversione, il risparmio e il buon senso svolgeranno i ruoli chiave per un futuro energetico sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. 

lunedì 4 giugno 2012

La pace e il disarmo interiore


Dipinto di Simone Madiai


"PECCEI: Dobbiamo renderci conto che, in ogni caso, anche un accordo per il disarmo bona fide sarebbe solo un primo passo nella giusta direzione, perché – giova ripeterlo – disarmo e pace non sono la stessa cosa. Il disarmo può essere un fattore chiave per conseguire la pace, una pietra miliare lungo il percorso che conduce a una pace duratura, ma non s’identifica con la pace stessa. La pace è un valore intangibile, uno status culturale dell’animo e della mente che dev’essere così limpido e radicato in ciascuno di noi, così recepito da tutti come una necessità vitale, da diventare patrimonio comune della comunità nell’accezione più ampia dell’espressione. Pertanto la pace esisterà soltanto quando tutti i cittadini, o la maggioranza di essi, impareranno a riconoscervi un bene così prezioso da sentirsi pronti a dedicarle interamente se stessi. Mentre la guerra è il fiele distillato dall’arroganza, dall’egoismo, dallo sprezzo reciproco e della paura, ed è quasi sempre promossa dai detentori del potere, la pace rappresenta l’esito naturale della mutua comprensione, della tolleranza, del rispetto reciproco e della solidarietà fra i popoli, e scaturisce solamente dal cuore stesso della popolazione. Dal canto suo il disarmo si situa nel limbo tra guerra e pace, e solo pochissime persone sono chiamate a deliberare al riguardo. Occorre pertanto convincerci che il disarmo, per quanto sia essenziale, non è di per se stesso sufficiente. In effetti, l’attenuazione della tensione che potrebbe derivarne, l’eventuale miglioramento del clima politico e della situazione economica globale risulterebbero intrinsecamente precari, troppo facilmente sovvertibili per effetto di un mutamento inopinato d’umore da parte dei signori della guerra. Giacché una realtà appare inoppugnabile: fino a quando le forze guerrafondaie di natura politica, militari, scientifica, industriale non verranno sradicate una volta per tutte e la società umana nella sua totalità non darà prova di una sincera e stabile volontà di pace, sarà impossibile eliminare della terra l’impulso ricorrente alla belligeranza. 

Lei si situa al vertice di un’importante organizzazione buddista di marcato orientamento pacifista. Qual è il suo pensiero in merito agli sforzi posti in atto per conseguire il disarmo in tutto il mondo, e privi a tutt’oggi di esito concreto? Com’è possibile promuovere efficacemente la causa della pace? È ipotizzabile in termini di realtà un’azione di forza promossa da uomini e donne comuni in ogni parte del mondo, che consenta alle ragioni della pace di prevalere sull’insensatezza della guerra?

IKEDA: Per rispondere a una domanda così esplicita, mi richiamo a quelle che i buddisti considerano le cause basilari di ogni forma di stoltezza umana. Secondo l’insegnamento buddista, le tre contaminazioni spirituali, i cosiddetti Tre Veleni della collera, dell’avidità e della stupidità, rappresentano le cause di fondo delle Tre Calamità, ossia la guerra, la carestia e la pestilenza. Orbene: per liberarci da queste tre piaghe occorre sbarazzarci dalle sue cause dirette, e il pensiero buddista ci illustra il modo per raggiungere la meta. È necessario manifestare la grande saggezza e l’immensa compassione di cui lo spirito umano è dotato, aprendo così la strada al trionfo sull’avidità, sulla collera, sulla stupidità e all’instaurazione della pace nella forma che lei definisce uno status culturale della mente e dell’anima. Possiamo affermare per contro che uno status anticulturale è quello che consente ai Tre Veleni di scatenarsi e imperversare senza controllo alcuno. 

Al contrario, servirsi della saggezza e della compassione per tenerli a bada, così come si coltiva un campo, si doma un cavallo selvaggio, si fa uso benefico di un fuoco potenzialmente distruttivo o di una sostanza tossica a scopo curativo, rappresenta uno status culturale. In passato, gli uomini hanno fatto di tutto per domare le forze esterne e l’impeto della materia, dando peraltro corso incontrollato al loro io interiore. Sebbene l’etica e la moralità abbiano compiuto qualche passo nella giusta direzione, non hanno mai spinto la loro indagine in seno ai grandi poteri che si nascondono nei recessi della nostra mente. I tentativi di approdare al disarmo sono falliti perché hanno affrontato superficialmente la realtà delle cose e non hanno preso di petto l’esigenza di operare una radicale rivoluzione interiore in tutti gli esseri umani. Ebbene: a mio avviso, rendersi responsabili di una siffatta rivoluzione sulla base della dottrina buddista sarebbe l’azione più importante e proficuo che gli uomini e le donne comuni potrebbero intraprendere a favore della causa della pace."

Estratto da: Campanello di allarme per il XXI secolo, Peccei-Ikeda