«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 24 aprile 2013

Dialogo tra un decrescente consapevole e un comune mortale. Episodio due: l’automobile




In una bella serata di inizio primavera, un decrescente consapevole camminava tranquillo per il marciapiede di un viale. Il sole ormai basso lo accarezzava in un piacevole tepore. Un fievole venticello lo rasserenava alle spalle.


All’improvviso da un negozio uscì una persona, correndo, con un sacchetto in mano e un cellulare “intelligente” nell’altra. Per coincidenza incrociò il decrescente lungo il suo cammino.

«Ciao, eh te? Che ci fai qua?»

«Niente, sto tornando a casa, te?»

«Io ho comprato un paio di scarpe ora vado in palestra. Dove hai la macchina?»

«No, sono a piedi»

«Ah allora ti do io un passaggio. Ho la macchina qui, guarda» indicando l’automobile parcheggiata in doppia fila proprio davanti al negozio di scarpe.

Il decrescente sapeva già che sarebbe incappato in tale situazione. Non che non gradisse la compagnia dell’amico, ma con quella bella giornata e con quell’aria frizzante avrebbe preferito stare all’aria aperta piuttosto che entrare in una scatoletta tutta chiusa ad aria condizionata ed immergersi nel traffico. E dopotutto gli piaceva camminare, lo riteneva uno dei suoi migliori passatempi, qualcosa di semplice e naturale, che non lo affaticava per niente, anzi lo rilassava e lo sosteneva nei pensieri.

Il comune mortale, vedendo l’amico indeciso, insistette ancora: «Dai, dai, ti accompagno io. Così non devi farti tutta la strada a piedi!»

Il decrescente avrebbe risposto volentieri di no, ma quel giorno, davanti alla faccia sorridente dell’amico comune mortale, pensò bene di accettare l’invito e di salire in macchina con lui.

La prima cosa che fece, appena chiusa la portiera e messa la cintura, fu quella di aprire un po’ il finestrino, almeno per far passare un po’ d’aria fresca.

«Chiudi pure il finestrino, c’è l’aria condizionata!»

Suggerì, oppure ordinò il comune mortale, quasi con un tono di vanto per il progresso tecnologico che permetteva di avere in ogni auto, indipendentemente dal costo e dalla marca, un’affidabile impianto di circolazione dell’aria sia d’estate che d’inverno, che rendeva l’apertura del finestrino praticamente inutile. Il decrescente obbedì.

Fecero poche decine di metri e subito furono bloccati in un ingorgo in prossimità di un incrocio con semafori dal rosso secolare. Adesso avanzavano un metro alla volta, le macchine acceleravano e frenavano in continuazione, singhiozzando procedevano in una processione di scatolette incolonnate.

«Scusami se ti ho fatto infilare in questo traffico, se vuoi puoi lasciarmi qui, continuo a piedi»

«Ma quale traffico … questo è normale. E poi, casa tua è quasi di strada per me»

Squillò il telefono intelligente e il comune mortale rispose con comodità. Restarono nell’arco di una decina di metri muovendosi a sussulti. Arrivarono in prossimità della casa del decrescente, il traffico si era attenuato ma l’amico comune mortale era ancora a parlare al telefono, e pareva un affare importantissimo.

«Puoi lasciarmi qui, arrivo a casa a piedi, non è un problema»

«Ma dai, ti porto sotto casa»

«No, no. Non importa»

Il comune mortale era troppo impegnato nel guidare svoltando con una mano sola, e con l’altra a reggersi il telefono palmare sull’orecchio e a seguire una conversazione senza ragione. Lo accompagnò proprio sotto casa a due passi dal portone.

«Ciao, grazie del passaggio, ci vediamo allora»

«Sì, figurati, a presto»

Il comune mortale lo salutò con un largo sorriso, porgendogli una mano moscia, e senza lasciarsi distrarre proseguì la telefonata impassibile.

Il decrescente consapevole, scendendo dalla macchina, tornò a respirare l’aria aperta e a sentirne il movimento sulla pelle. Guardando l’orologio si accorse che il tragitto in auto era durato quasi il doppio di quello che normalmente impiegava facendolo a piedi, serenamente.

mercoledì 17 aprile 2013

Vento dell'Ovest - un romanzo a puntate - segui la serie e-book

Della serie Leggi on-line, a partire da settembre sarà pubblicato il romanzo Vento dell'Ovest a puntate di max 500 parole. Puoi seguire la pubblicazione periodica da facebook, twitter, feedburner o via email. Scegli tu: clicca qui e segui la pubblicazione. 


mercoledì 10 aprile 2013

Debiti Pubblici, Crisi Economica e Decrescita Felice




«Per ridurre significativamente il debito pubblico occorre far pagare con una tassazione mirata chi ha lucrato su questo debito, occorre tagliare i costi della politica [… e le spese militari], occorre bloccare le grandi opere. Tutto ciò può dare una boccata d’ossigeno e, comunque, costituisce un’inversione di tendenza. Ma non servirebbe se contestualmente non si eliminassero le cause che hanno portato alla formazione di debiti così rilevanti e cioè la finalizzazione dell’economia alla crescita della produzione di merci. Solo una politica economica e industriale finalizzata alla riduzione dei consumi inutili e degli sprechi, solo la crescita dell’efficienza energetica, solo lo sviluppo delle fonti rinnovabili, solo il recupero dei materiali contenuti negli oggetti dismessi, solo il blocco della cementificazione, sola la ristrutturazione del patrimonio edilizio esistente, solo il potenziamento dei trasporti pubblici e forti limitazioni all’uso dei mezzi privati, possono consentire alle economie dei Paesi industrializzati di uscire dalla spirale dei debiti.
Concentrare l’attenzione sulle speculazioni finanziarie con cui si sono ulteriormente arricchiti i ricchi è necessario ma sarebbe fuorviante se non si mettessero in evidenza le connessioni che le legano a questa causa strutturale. La crisi è stata sì gestita dal grande capitale finanziario, ma è stata provocata dal modello economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione di merci. Il pagamento del debito deve ricadere sulle spalle di chi l’ha gestito speculandoci sopra, mediante una tassazione sui grandi capitali e i grandi profitti. Il debito va pagato da loro»

Estratto da “Debiti pubblici, crisi economica e decrescita felice” pag. 106, MDF 

mercoledì 3 aprile 2013

Il mondo degli esperti e dei tuttologi



Si fa sempre un gran parlare di esperti, specialmente in questi ultimi tempi. Voce agli esperti per risolvere i problemi, serve l’esperto in materia che ci illumini la via, l’esperto sa che cosa è giusto fare, lasciamo a lui l’ardua sentenza.
Io credo che se ci troviamo in una situazione di crisi strutturale è proprio perché abbiamo delegato le nostre vite ai super esperti, ai tecnici in materia, che tutto sanno e tutto hanno visto nel loro settore di interesse. L’esserci affidati alla superspecializzazione degli esperti ci ha condotto a una crisi di identità, prima ancora che a una vera e propria crisi culturale. Il super-sistema mondiale è governato da menti eccelse, con strumenti super potenziati che solo loro sono in grado di capire e di gestire, dobbiamo fidarci e affidarci, loro sanno dove mettere le mani, sanno che cosa fare in ogni situazione. L’esperto è riconosciuto, in quanto tale, da tutta la società, si può non essere forse d’accordo con lui, si può persino odiarlo e ripudiarlo, ma non si può disconoscere il suo stato di esperto perché il sistema lo ha generato e lo dovrà custodire per la sua sopravvivenza.
Dall’altra parte ci sono, in antitesi, i tuttologi che tutto sanno e tutto hanno visto, non in una specifica materia, ma in tutte quante. Sanno tutto di tutto e pretendono di dare la loro sentenza su qualsiasi argomento si vada trattando. Sono gli esperti di tutto, come dire di nulla. Il mondo né è pieno, basta guardarsi attorno con un po’ di curiosità per scoprirne uno in ogni ambiente, uno in ogni circostanza. I cultori di tuttologia stanno aumentando e quando due di loro si incontrano hanno solo due scelte: essere d’accordo praticamente su tutto lo scibile, o farsi guerra sulla minima sciocchezza.
Sia che si parli di tuttologi o di esperti l’aspetto che salta agli occhi è la spiccata tendenza all’arroganza e all’egocentrismo, entrambi aspetti che nel buddismo hanno a che fare con il mondo di collera e il mondo di apprendimento, intimamente connessi tra di loro. Questa condizione vitale influenza le nostre esistenze in modo pesante, impendendo una creazione di valore che riguardi la felicità e il benessere di tutti, favorendo invece il degrado e l’antagonismo.
Il modo per superare l’egemonia dell’esperto e l’invadenza del tuttologo è quello di riscoprire un termine squisito ed esplicito come quello di umiltà. Il concetto di umiltà oggi, assieme ad altri come per esempio il termine sobrietà, è stato affossato negativamente paragonandolo ai concetti di sottomissione, insicurezza, debolezza. Abbiamo bisogno di ricostruire culturalmente la visione dell’umiltà: non come mancanza di forza, e quindi come condiscendenza, tutt’altro come grande energia interiore e  determinazione, uno stato in cui sperimentare la gioia dell’assenza di conflittualità interiore e di conseguenza esteriore.
Questo passaggio spirituale indispensabile ci permetterà di occuparci delle nostre vite: che sia la politica, che sia l’economia, che sia la salute, l’arte, la cultura, la letteratura, la tecnica. Smettendo di dare la nostra delega cieca all’esperto di turno, torneremo a decidere il nostro presente e il nostro futuro, superando il conflitto e la separazione. 

lunedì 1 aprile 2013

RO 9/47: Intermezzo



«Il quarto pianeta era abitato da un uomo d’affari. Questo uomo era così occupato che non alzò neppure la testa all’arrivo del piccolo principe.
“Buon giorno” gli disse questi
“Tre più due fa cinque, cinque più sette: dodici. Dodici più tre: quindici. Buon giorno. Quindici più sette fa ventidue. Ventidue più sei: ventotto. Ventisei più cinque trentuno. Dunque fa cinquecento e un milione seicento ventiduemila settecento trentuno”
“Cinquecento milioni di che ?”
“Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta nel cielo”
“Di mosche?”
“Ma no, di piccole cose che brillano”
“Di api?”
“Ma no. Di quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni. Ma sono un uomo serio, io! Non ho il tempo di fantasticare”
“Ah! Di stelle”
“Eccoci. Di stelle”
“E che ne fai di cinquecento milioni di stelle ?”
“Cinquecento e un milione seicento ventiduemila settecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso”
“E che te ne fai di queste stelle?”
“Che cose me ne faccio?”
“Sì”
“Niente. Le possiedo”
“Tu possiedi le stelle?”
“Sì”
“E a che serve possedere le stelle?”
“Mi serve ad essere ricco”
“E a che serve essere ricco?”
“A comperare delle altre stelle”
“E che te ne fai?”
“Le amministro. Le conto e le riconto. È una cosa difficile, ma io sono un uomo serio!”
Il piccolo principe non era ancora soddisfatto.
“Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle”
“No, ma posso depositarle alla banca”
“Che cosa vuol dire?”
“Vuol dire che scrivo su un pezzetto di carta il numero delle mie stelle e poi chiudo a chiave questo pezzetto di carta in un cassetto”
“Tutto qui?”
“È sufficiente”
È divertente pensò il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non è molto serio.
Il piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei grandi  »

Da Il Piccolo Principe, di Antoine De Saint-Exupery