«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 5 novembre 2012

Dal motore ai pedali

La transizione verso il sostegno della vita



Dall'articolo è estratto un brano pubblicato sulla BiciAgenda 2013 di Terra Nuova in omaggio a tutti gli abbonati della rivista.


Da quando sono nato ho sempre vissuto a Firenze e dall’età di quattordici anni ho sempre girato per la città in motorino, mi pareva il modo più logico e comodo per farlo. Da allora ho fatto decine e decine di migliaia di chilometri, senza tuttavia allontanarmi troppo. Tutti i miei coetanei facevano lo stesso. Dopotutto in un paese come l’Italia, prendere il motorino compiuti i quattordici anni fa parte dello sviluppo di un ragazzo, è entrato nel nostro immaginario culturale in modo pesante. Altro passo fondamentale è quello della patente e dell’auto arrivati ai diciotto anni. Ragazzi o ragazze che non compiono questi due passi nella loro giovinezza sono considerati dei menomati, degli insofferenti o quanto meno affetti da seri problemi. Alcuni, i più sfortunati, i cui genitori non permettevano l’uso del motorino, si sono poi rivalsi pienamente con la maggiore età e con l’uso quotidiano di una macchina tutta per loro.

La cultura dell’auto è profondamente radicata nel nostro paese, nelle nostre coscienze. Le auto dominano l’immaginario culturale della nostra vita quotidiana, a partire dalle pubblicità che ricoprono le strade e i media, fino ad arrivare addirittura alla valutazione della qualità e del valore della propria esistenza in termini di marca e modello. Ciò è evidente e credo che risulti inutile dimostrarlo. Quello che invece dovrebbe essere ancor più evidente, ma che a onor del vero non lo è affatto, è quanto questo entroterra culturale auto-centrico danneggi e degradi le nostre vite in termini economici, ambientali e sociali. D’altra parte, in realtà ad oggi questi aspetti sono oramai noti e condivisi dai più, ma la questione di fondo è che semplicemente nessuno se ne cura perché non riesce a uscire da un’inerzia mentale se non a fronte di notevoli sforzi d’animo. Questo significherebbe però che l’uomo non agisce razionalmente, o meglio consapevolmente, che non agisce nel suo bene per una fatica morale che non riesce ad abbattere. Credo sostanzialmente che ogni persona segua un proprio percorso di evoluzione interiore che si riflette pienamente nelle sue scelte individuali e che costituisce un tassello della coscienza collettiva di una società. Di base, a livello sociale, un cambiamento che scardina il sistema si instaura necessariamente a livello individuale di poche persone che risultano sensibili e predisposte a interpretare correttamente lo spirito del tempo e a metterlo in moto sottoforma di azioni concrete. Da qui, con le giuste circostanze esterne, il passo è breve nel raggiungere la società intera. 

Nella mia esperienza era impensabile vivere senza motorino fino a qualche tempo fa, da due anni a questa parte ho intrapreso un percorso di auto-consapevolizzazione, o come direbbe Gandhi di auto-governo interiore, allo scopo di compiere le azioni a sostegno della vita manifestando saggezza anziché illusione. I benefici di una vita in bicicletta sono enormi, e tutti da scoprire. La domanda allora è: perché non provarci? Io ci ho provato e ho scoperto che andando in bicicletta in città s’impiega più o meno lo stesso tempo che in motorino e spesso molto meno tempo che in auto, che non si inquina per niente anzi si fa attività fisica all’aria aperta, si incontrano e si salutano le persone per strada, non si crea confusione, rumore, stress, traffico, non si creano incidenti mortali, si migliora la socialità nelle aree urbane, si favorisce la costruzione di aree pedonali, di parchi e di zone verdi. È ovvio che tutte queste considerazioni sono ancor più vere quanto l’uso delle biciclette e dei mezzi pubblici elettrici è diffuso, i benefici aumentano di conseguenza. Perché non pensare a una vita senza automobile, a una città dove è possibile spostarsi liberamente e agevolmente usando bicicletta e mezzi pubblici, perché non pensare a uno spazio urbano diverso con pochi parcheggi e strade trafficate e con tante aree verdi, vialetti, piste ciclabili, piazze, luoghi di socializzazione spontanea. Perché non pensare a un modo diverso di usare e concepire l’automobile? Perché non pensare al car sharing, al noleggio di auto quando è veramente necessario? Perché non pensare a tratti da percorrere più brevi? Perché non pensare a ricollocare la vita nella dimensione locale basata sulle relazioni umane e sullo scambio reciproco, sull’incontro, sulla conversazione, sul contatto?

Per quanto ancora possiamo tollerare i morti per le strade? Per quanto ancora possiamo tollerare l’aria irrespirabile in città e le soglie di legge delle emissioni che non possono far altro che essere innalzate per permettere che la circolazione automobilistica sia mantenuta invariata? Per quanto ancora possiamo permetterci i costi di infrastrutture, strade, parcheggi e la cementificazione continua di nuove aree? Per quanto possiamo dipendere da una risorsa preziosa e costosa come il petrolio, facendone incessante spreco? Per quanto possiamo avere la fede cieca che la scienza e la tecnologia daranno comunque le risposte idonee ad ogni problematica e necessariamente miglioreranno le nostre vite? Per quanto ancora vogliamo essere schiavi di un sistema che non sostiene la vita ma la degrada?

Uscire dal senso comune che ci fossilizza su le credenze affinate dalla cultura del tempo, come quella che senza auto non ci si possa spostare in città e che l’auto sia un bene che non si può fare a meno di possedere, per entrare nel buon senso consapevole e condiviso. Consapevole perché la scelta non è condizionata da fattori esterni ma nasce da un proprio percorso di sensibilizzazione e di interiorizzazione delle scelte, condiviso in quanto le persone scelgono di libera iniziativa di adottare un pensiero differente e di agire di conseguenza, senza essere forzate a farlo.

Spesso ho parlato del senso del limite e del senso della possibilità, di come questi due concetti non siano in antitesi, come pare ad un analisi superficiale, ma che debbano coesistere ed essere sviluppati parallelamente. Il limite non è affatto qualcosa da cui rifuggire, non è nemmeno un ostacolo da abbattere come vuol farci credere l’avanzata ottimistica della tecno-scienza moderna. Il limite è un dato di natura, un aspetto della realtà della nostra esistenza, i limiti fisici non devono essere superati né ignorati, solo contemplandoli e vivendo in armonia e pace con essi possiamo gioire pienamente. La parola limite non ci deve più spaventare, non deve essere più un sentore di sfida, ma una condizione concreta da cui apprendere e riflettere sul nostro ruolo in questo pianeta. Nel caso della mobilità, il senso del limite è la comprensione che l’essere umano non è fatto per vivere nell’ordine delle miglia e miglia di chilometri, non ha bisogno di percorrere autostrade a velocità supersoniche, né di fare viaggi intercontinentali, che la piena realizzazione umana è alla sua portata nel raggio dei metri, che la scala vitale dell’uomo è su base locale, perché l’uomo stesso è fisicamente limitato e non ha bisogno affatto di dominare grandi distanze per sentirsi appagato. La vera felicità nasce dentro di noi e non ha dimensioni, si manifesta esternamente abbracciando tutto ciò che abbiamo attorno senza limiti di spazio e di tempo: in questo senso sì, allora, possiamo parlare di assenza di limiti. 

Allo stesso tempo dobbiamo imparare anche a sviluppare il nostro senso di possibilità, ovvero la capacità di progettare alternative, la capacità di pensare diversamente. È ovvio che il sistema dei media e la società in generale, a partire dall’educazione e dalla pubblicità, hanno offuscato e represso il nostro senso della possibilità per spingerci ad accettare tutto come “il miglior possibile”, ad essere cechi davanti all’avanzata di un progresso che ci ha riempito di merci ma ci ha svuotato nello spirito. Allenarci a pensare diversamente richiede sforzi, pazienza, coerenza, ma soprattutto richiede una profonda umiltà verso se stessi e verso le proprie convinzioni assodate dal tempo. Ciò che è veramente difficile non è affatto detto che sia impossibile.

La mia transizione dal motore ai pedali continua. Ogni giorno scopro qualcosa di nuovo in me e cerco di riportarlo nelle mie scelte giornaliere, nei miei atteggiamenti. È ancora in fase di lavorazione, un po’ perché è dura fare a meno dei trasporti motorizzati all’interno di un sistema pensato e strutturato per essi e un po’ perché questa transizione è un processo che non avrà mai fine, dal momento che riflette inevitabilmente la propria evoluzione interiore che, come sappiamo, non ha termine.

1 commento:

  1. Complimenti, ottimo articolo!
    Io ho 18 anni da mesi, quasi tutti i miei amici stanno facendo la patente, io ho deciso di non farla, per un motivo molto semplice; non mi serve! La benzina costa un occhio della testa, comprare la macchina ti costa l'altro, e oltretutto, come hai detto, contribuisce alla rovina del nostro pianeta...contando che di qui a breve dovremo far a meno del petrolio! Credo che comprare una macchina in questo momento sia pura follia!
    Nonostante tutto, molti di noi sono convinti che sia assolutamente indispensabile!
    Vivo in periferia e mi sposto con i mezzi pubblici, a piedi o in bici, e non mi ha mai dato problemi la cosa.

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