«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

giovedì 25 dicembre 2014

La comprensione dell'eternità della vita - Daisaku Ikeda



Tutte le persone desiderano una società in cui vivere confortevolmente e in modo piacevole. Dal momento che l’umanità ha questo desiderio, dopo numerosi esperimenti dolorosi e fallimenti riuscirà a costruire una società ideale, ad esempio una società socialista molto avanzata. Dal punto di vista della vita materiale, probabilmente sarà in grado di godere di grande sicurezza dalla culla alla tomba. 

Immaginiamo una società in cui le persone non hanno alcun bisogno di preoccuparsi della disoccupazione, della carestia o della mancanza di alloggio. Anche in una utopia del genere non sarebbero comunque in grado di affrontare la profondità delle sottili differenze nei destini di ciascuno, differenze che sono varie quanto le caratteristiche del viso delle persone. Per esempio, nessun sistema politico potrebbe far nulla per risolvere la sfortuna di coloro che nascono con degli handicap. Troppe persone si trovano ad avere tutte le circostanze contro di loro: perdite improvvise, separazioni da persone, i turbamenti dell’odio e dell’amore, una vita piena di sofferenze, l’impossibilità di utilizzare le proprie capacità, una tragica morte causata dalla perdita di un amore. Che cosa è possibile fare in relazione alle sofferenze di tante persone per trasformare la realtà impietosa che divora le loro vite?

In una società ideale del benessere o comunque in una società altamente sviluppata, le persone godrebbero fisicamente di tanti benefici nella vita concreta che le loro sofferenze interiori verrebbero ancora maggiormente in luce. In quella circostanza, nel bene o nel male, sarebbero costrette a considerare seriamente le caratteristiche del loro destino. 

Il destino risiede innato nella vita. Questo ci porta alla domanda se la teoria che la vita continui a esistere attraverso passato, presente e futuro sia vera o falsa. Il pensiero scientifico moderno potrebbe, forse, rifiutare la teoria come falsa, eppure non è in grado di dare alcuna soluzione alle sofferenze della gente, quindi le lascerebbe semplicemente agonizzare disperate. Soltanto quando le persone comprendono l’esistenza della vita eterna possono cominciare a intravedere una soluzione per i problemi difficili e ingestibili delle loro vite. La loro percezione dell’eternità della vita le convincerà del fatto che esiste una legge della vita, la legge che costituisce l’essenza del Buddismo. Conoscendo questa legge comprenderanno anche di disporre della possibilità di trasformare il loro karma negativo. È a questo punto che una vera religione comincia a operare con la massima efficacia per la vita individuale. 

È naturale che le persone, nel pieno delle difficoltà della loro vita, siano tentate di compiere una riforma della nazione o della società e, successivamente, di mirare alla salvezza del genere umano. È un fatto del tutto comprensibile. Ma sarebbe un grave errore credere che il compimento di un simile tipo di riforma possa risolvere tutti i difficili problemi dell’essere umano. Pensare così è un’illusione, un modo di pensare cui manca la comprensione della persona nella sua interezza; anzi, in modo ancora più determinante, è una corruzione dell’uomo stesso.


Brano estratto dalla "Rivoluzione Umana" vol. 9 di Daisaku Ikeda

Fonte foto: morguefile

giovedì 11 dicembre 2014

Our problems are reflections of our own limited consciousness - Hazel Henderson



Most of the time, the drugs and surgeries that are being prescribed or recommended are to deal with problems that could have been avoided by better education and better preventive care. The costs of these medicines and procedures are included in the GDP, as if they are useful. GDP is usually calculated as the monetary value of all goods and services during one year, as an indicator of a country's standard of living. So what is actually a negative cost looks as if it is something positive. This problem of not being able to separate the "bads" from the "goods" highlights the contradictions inherent in the whole way of using money to try to measure health care or any other aspect of a country's progress.

Our current economic models are blind to the social and environmental costs, which then get left out of the economic equation. However, these costs are felt in terms of health problems, pollution and all kinds of social pathologies such as unemployment and inequality. I try to point out the crises that our financial system gets us into. The Wall Street crash of 2008 caused terrible hardship to millions of people and happened because the financial system blinds itself to what they call "externalities." Unless companies are forced to "internalize" all those costs and put them on the balance sheet, you can't have a proper accounting system.

In terms of the health sector, consider the incredible costs in the US of childhood obesity, which stems from allowing soft drink and fast food companies to place dispensers in schools. We have to connect the dots: our problems are a mirror held up to our own limited consciousness.

[...]

In the last 300 years, we had this compartmentalization of knowledge: the reductionism of trying to understand the whole by examining the parts. This produced a lot of brilliant technologies, but they are not well related to one another. The big task now, which I saw being undertaken at Rio+20 in 2012, is the reintegration of knowledge. This is the basis for going forward with more coherent policies in the future.

All these problems out there, from climate change to desertification; everything from poverty to inequality to ill health are reflections of our own limited consciousness. Cooperation, sustainability, green economy, equality, justice were key words at that conference. We humans have the amazing capability in our brains to both zoom the lens of our minds and focus in on the details--the capability to care for the immediate--as well as the capability to pull back and take a wide view and to realize we are all children of the cosmos.


Estratto da "Beyond Economics: a new measure of well-being" di Hazel Henderson - SGI Quarterly

martedì 9 dicembre 2014

Riflessioni sulla politica – di Daisaku Ikeda



«La storia dimostra che le riforme limitate alla sfera politica spesso hanno causato degli spargimenti di sangue. Una rivoluzione politica conseguita al costo di sangue umano può sopravvivere soltanto tramite ulteriori sacrifici. E questo nuovo sistema, in seguito, non potrà che essere mutato con un’altra rivoluzione che causerà ulteriori spargimenti di sangue. La storia umana non è altro che una successione di simili follie. Senza considerazione delle epoche, l’uomo è sempre rimasto stregato e si è lasciato manipolare dalla natura demoniaca del potere. 
Con la sua lucida mente, non dubitava assolutamente dell’esistenza di questa natura malvagia. Egli aveva raggiunto questa conclusione dopo cinquanta anni di vita. La politica sarebbe dovuta servire al popolo per arrecare a esso pace e felicità. In realtà, tuttavia, il potere politico si trasforma sempre in qualche cosa di diabolico che opprime le masse, e lui lo sapeva fin troppo bene. Egli capiva chiaramente che una forma ideale di politica doveva essere capace di soggiogare questo demone. Inoltre, sapeva che un semplice rovesciamento di regime causato da un movimento popolare non avrebbe assolutamente condotto all’estinzione di questa natura malvagia. Il XIX secolo aveva conosciuto molte rivoluzioni politiche. Il loro effetto aveva dato origine a nuovi sistemi in diversi paesi nel corso del XX secolo, sistemi profondamente differenti da quelli del passato. Tuttavia, egli poteva chiaramente vedere che, anche nei nuovi sistemi, i popoli non si erano ancora liberati dal giogo del demone. Anzi, le nuove forme di governo avevano cominciato a provocare nelle persone un’agonia ancora maggiore. Egli deplorava la stupidità di queste trasformazioni. Nel suo cuore l’uomo del tempo presente desidera liberarsi da tali follie assurde. Ma davanti a questo dilemma non si poteva fare affidamento sulla politica. 
Da molti anni conosceva la risposta a questa domanda. Qualsiasi sistema politico sarebbe andato bene, egli pensava, se soltanto il popolo avesse tratto da esso pace e felicità. Egli non desiderava criticare i sistemi politici in se stessi. Attribuiva i vari mali delle politiche moderne all’azione del demone. Se il demone si celava nella politica, allora la conclusione logica era che il demone possedeva coloro che dominavano la scena politica, ovvero gli statisti. In altre parole, il demone di per sé, non dimorava né in un sistema liberale né in un sistema socialista. Risiedeva negli esseri umani che guidavano quei sistemi. E il demone del potere stava monopolizzando gli stessi sistemi.» 

[...]

«Le conseguenze di ogni azione, nel bene e nel male, possono soltanto essere attribuite all’uomo stesso. L’uomo. Che essere intrattabile! Sembrava generare il demone del potere nonostante i nobili ideali che coltivava. 
Proprio per questo, l’argomento fondamentale era l’uomo stesso. Com’era possibile formare politici che, al di là di tutto, crescessero corretti e onesti? Considerando la corruzione della politica del tempo presente, occorreva, prima di tutto, porsi questa domanda.
Tutti i partiti dell’epoca affermavano che i loro obiettivi erano lottare per la felicità e la pace del popolo. Tuttavia, all’atto pratico erano semplicemente orientati verso il potere. Una volta che giungevano al potere, lasciavano libero spazio al demone che si nascondeva dentro di loro, al punto da non farsi alcun problema nel sacrificare le persone. Questo demone sembra dimorare nel potere ma, in realtà, dimora nella vita umana. Il potere non è altro che un catalizzatore. Si pensa, in genere, che la riforma politica richieda semplicemente delle trasformazioni sul piano politico, ma non è il sistema politico a condurre il governo; è l’essere umano che dà origine a tutte le iniziative. Nondimeno, i politici del tempo erano arroganti al punto da illudersi che la politica di per sé avrebbe potuto modificare gli esseri umani. Egli pensava che questa fosse, probabilmente, la causa fondamentale della corruzione politica. La decadenza della politica derivava dalla degenerazione dei politici, ovvero, dalla degenerazione dell’uomo stesso. 
Egli si rendeva perfettamente conto che questa corruzione era comune a tutte le sfere della società dell’epoca. Tuttavia, si preoccupava in particolare della decadenza della politica. Infatti, dato che il mondo politico deteneva il potere, la sua degenerazione poteva influenzare direttamente la felicità e l’infelicità di ciascuno. Tutti i partiti promettevano di realizzare gli scopi che si erano prefissati. Sarebbe stato bello se le masse si fossero potute affidare pienamente a essi. Eppure, in realtà egli vedeva con i propri occhi un numero sempre maggiore di persone che, sentendosi tradite, sviluppavano soltanto sfiducia verso la politica. Si desiderava che emergesse un partito politico che, prima di tutto, fosse espressione di persone assolutamente affidabili.»


Brani estratti da “La Rivoluzione Umana” vol. 9 di Daisaku Ikeda

fonte foto: MorgueFile

giovedì 4 dicembre 2014

Sono un fiore, e fiorirò



Sono un seme, e germoglierò
solo un piccolo seme
senza alcuna capacità,
ma germoglierò

Sono un fiore, e fiorirò
al mio modo
al mio tempo,
ma fiorirò


Sono un frutto, e maturerò
grazie all’acqua e al vento
grazie alla terra e al sole,
ma maturerò


Sono un fiore, e fiorirò
perché è nella mia natura
non ho nessuna certezza
soltanto infinite possibilità

lunedì 1 dicembre 2014

Andare a Piedi e in Bicicletta - Manuale di Mobilità Sostenibile



In questo ebook, gli autori illustrano come muoversi e usare i mezzi di trasporto in modo consapevole, per alleggerire o azzerare l’impatto ambientale, risparmiando tempo e denaro.

La mobilità sostenibile è soprattutto uno stile di vita che permette nuove esperienze di socialità e di riscoperta di sé e dell’interconnessione con la natura.

L’ebook è suddiviso – e approfondisce con esempi e consigli pratici – tre campi:

- la riscoperta del camminare, non solo per mantenersi in forma ma soprattutto per fare un’esperienza di vita e, perché no, spirituale;

- il semplice quanto rivoluzionario uso della bicicletta che permette all’uomo di triplicare la sua velocità di moto, diminuendo l’energia impiegata senza nessun utilizzo di fonti esterne e senza nessun impatto sull’ambiente;

- l’economia della condivisione che promuove le nuove frontiere della mobilità.

Grazie ai consigli pratici e al racconto delle esperienze degli autori avrai tutte le informazioni utili e gli strumenti per muoverti rispettando l’ambiente e in armonia con ciò che ti circonda e che sei.

Per maggiori dettagli e per scaricare il demo vai a questa pagina

mercoledì 26 novembre 2014

L'inesorabile conquista del cosmo



Giorni fa ho visto il film Interstellar di Christopher Nolan. Al centro del film il tema oggi più caldo che mai: il deterioramento e la fine delle risorse naturali del nostro pianeta che inevitabilmente diventa, in un futuro indefinito, non più abitabile. Gli uomini, o sarebbe meglio dire gli americani, lavorano di nascosto a un progetto per salvare la specie umana, e non gli uomini che vivono in quel momento sulla Terra. Il loro piano prende in considerazione l’unica possibilità per continuare a perpetuare lo sviluppo umano senza freni: ovvero la conquista dello spazio interstellare, in particolare l’individuazione di un altro mondo da sfruttare. 

Fa riflettere come la “naturale” tendenza umana alla crescita illimitata e al progresso tecnologico ci conduca inesorabilmente a dover superare i limiti imposti dal pianeta Terra, ma, se ci si pensa bene, è una conseguenza del tutto logica e prevedibile. L’uomo occidentale, da quello che sappiamo sulla sua storia, ha esplorato e di fatto conquistato oramai ogni angolo del pianeta, anche quelli più remoti come le vette più alte, le foreste più impenetrabili e i fondali più profondi, ha sfruttato e soggiogato la natura e le popolazioni a suo piacimento, ed è perciò comprensibile che non si lasci intimidire o scoraggiare dalla finitezza delle risorse a sua disposizione. Anzi, tutto il contrario. I limiti che si stanno presentando, in termini di deperimento di risorse e squilibrio dei fattori ecologici, rappresentano proprio lo slancio ideale per fare quel guizzo energico verso lo spazio interstellare, lanciandosi finalmente in una nuova sfida entusiasmante.

La nostra cultura ci dice che questa è la naturale aspirazione dell’uomo, che nulla può fare, se non estinguersi, per uscirne. Il passaggio dalla conquista del globo alla conquista del cosmo è l’unica soluzione, ed è inoltre in perfetta coerenza e continuità con lo sviluppo degli ultimi secoli. L’uomo grazie al suo coraggio, al suo ottimismo nel progresso e alla sua fede nella scienza riuscirà a risolvere ogni problema semplicemente continuando a fare quello che finora ha fatto con discreto successo. 

La conquista del “lontano ovest” adesso diventa la conquista del cosmo interstellare. Questo è il messaggio di fondo del film, difficilmente può essere interpretato in altro modo. 

Chi ha letto i miei scritti sa che la mia visione si discosta da quella del film, inutile ripetersi. Ma per chi si sta chiedendo quali altre alternative avrebbe l’uomo, oltre a far affidamento alla propria intelligenza e alle proprie tecnologie più avanzate, vorrei consigliare la lettura del breve racconto di fantascienza: Il pianeta Terra ai tempi di kosen rufu, liberamente scaricabile a questa pagina, che forse potrebbe essere la bozza di una prossima sceneggiatura hollywoodiana, chissà. 

La mia intenzione non è mai stata quella di voler convincere qualcuno, tanto meno me stesso, piuttosto quella di condividere una riflessione e stimolare la ricerca di nuove visioni, nuovi pensieri, e perché no, nuovi orizzonti. 

ps: non voglio neanche dare risposte facili a questioni complesse, a questo punto sarebbe il caso di dire: “si apre il dibattito”


giovedì 20 novembre 2014

L'intima, esuberante e sacra vita della natura - Johann Wolfgang Goethe

fonte foto Morguefile


Estratto da "I dolori del giovane Werther", di Johann Wolfgang Goethe


«Tempo fa, quando da una rupe che sporge sul fiume io contemplavo la fertile vallata, fino alle lontane colline, e vedevo intorno a me germogliare e sgorgare ogni cosa; quando vedevo quei monti rivestiti di fitti alberi dalla base alla vetta, quelle valli dalle curve serpeggianti ombreggiate da numerosi boschi, e il calmo fiume che scorreva tra i canneti mormoranti rispecchiando le graziose nubi che il mite vento della sera cullava nel cielo; quando ascoltavo gli uccelli animare le foreste intorno a me, e vedevo sciami di piccoli insetti danzare gioiosamente nell’ardore dell’ultimo raggio di sole, che con la sua luce estrema liberava dal verde rifugio il ronzante scarabeo e il brulichio della vita mi faceva attento al suolo; e il muschio che dalla nuda roccia riesce a trarre il suo nutrimento, e la ginestra che cresce nelle aride colline sabbiose, mi svelavano l’intima, esuberante e sacra vita della natura; come abbracciavo allora tutte queste cose col mio caldo cuore; mi sentivo come deificato in quell’espansione di bellezza, e le splendide forme dell’immenso mondo rinnovavano, vivificando, la mia anima. Mi circondavano i monti enormi, mi si aprivano dinanzi abissi dove si precipitavano impetuosi torrenti, sotto di me scorrevano fiumi, monti e selve risuonavano; ed io sentivo tutte queste forze misteriose operare e creare nella profondità della terra, mentre sulla superficie della terra e sotto il cielo brulicavano le specie delle svariate creature.

Tutto, tutto è popolato di mille forze diverse; e gli uomini si riparano sicuri nelle loro casucce, credendo di dominare il vasto mondo! Povero pazzo, che giudichi finita ogni cosa perché sei così piccolo! Dalle montagne inaccessibili, dalle solitudini che nessun piede umano ha mai calcato agli estremi confini dell’oceano ignoto, abita lo spirito dell’eterno Creatore e si rallegra d’ogni granello di polvere che lo comprende e vive! Oh, quante volte avrei voluto avere le ali della gru che mi volava sul capo per posarmi sulla riva del mare illimitato, e bere alla coppa spumeggiante dell’infinito l’inebriante tripudio della vita, e per un solo istante accogliere nella stretta capacità del mio petto una stilla dell’estasi di quell’essere che crea ogni cosa in sé e da sé »


giovedì 13 novembre 2014

Un cambiamento di prospettiva epocale - Daisaku Ikeda

fonte foto: MorgueFile

Brani estratti dal – La saggezza del Sutra del Loto di Daisaku Ikeda


«Finora, lo sviluppo economico è stato posto al di sopra di ogni altro obiettivo, ma ora avvertiamo la necessità di rivolgere la nostra attenzione a una meta più alta, a qualcosa di più fondamentale, ovvero alla crescita e all'evoluzione dell’essere umano. 
Viviamo in una società che ha compiuto incredibili passi avanti nella comunicazione e nella tecnologia. Abbiamo iniziato a comprendere che per poter gestire e utilizzare in modo appropriato questo flusso di conoscenze, abbiamo bisogno di una crescita altrettanto rivoluzionaria in saggezza e profondità di giudizio. C’è qualcosa che non va in questo stato di cose, percepiamo una mancanza: la scienza non può portarci la felicità, tanto meno possono farlo i sistemi socialisti o capitalisti. Non importa quante conferenze si organizzino, quanto rilievo si dia ai principi morali o quanto si disserti sui fattori psicologici o si ingaggino dibattiti filosofici: manca qualcosa di essenziale»

«La scienza classica, e in particolare la meccanica newtoniana, è basata su una visione materialistica dell’esistenza. Prendiamo come esempio la forza di gravità che opera su due oggetti solidi. Questo sistema è riuscito a spiegare molto bene parecchi fenomeni fisici, tanto da sancire il predominio della visione meccanicistica della vita: niente più che materia, nient’altro che una macchina. Questa tendenza di fissare un aspetto della realtà, applicandolo poi a tutto il resto, è stata definita “riduzionismo”. L’errore del pensiero riduzionista consiste nel voler ridurre l’intero a una delle sue parti per poi estendere il punto di vista parziale al tutto. Questo modo di vedere puramente riduzionista ha gettato un’ombra sulla vita delle persone e ha contribuito a privarle della speranza e ad aumentare il loro senso di impotenza.
Per evitare di cadere nell’errore di venerare la scienza come se fosse una religione, è necessaria una vera filosofia che esprima una visione olistica della vita. Un vero metodo scientifico riconosce una visione parziale per quello che è: una visione parziale. E poiché la ricerca della verità sta alla radice della scienza, quando una visione parziale che un tempo godeva di autorevolezza, raggiunge un punto morto, la scienza cerca di spezzare l’impasse e di scoprire nuove teorie più creative che si avvicinino maggiormente alla realtà. Questo è il modo in cui avvengono le rivoluzioni scientifiche»

«La scienza tende a considerare la vita come una specie di macchina composta da diverse parti. Essa ha cercato di scavare a fondo nella vita e negli esseri umani, scomponendo sempre ogni cosa in elementi in opposizione tra loro, come corpo e spirito, oggetto e soggetto. E ha cercato di capirne il funzionamento riducendo il tutto a un fatto meccanico, materiale. La scienza ha in definitiva incoraggiato una visione materialistica della vita, una prospettiva in cui le relazioni antagoniste dominano non solo tra gli esseri viventi, ma anche tra questi e l’ambiente circostante. 
Più recentemente, tuttavia, abbiamo visto sorgere un nuovo approccio scientifico e una maggiore coscienza ecologica. Questo nuovo approccio incita a trascendere il dualismo, a fondere il pensiero scientifico e quello spirituale. 
Valori dimenticati quali l’armonia con la natura, il senso di unità con gli altri, l’uguaglianza e le diversità vengono gradualmente riscoperti. Si sta riscoprendo quella visione unitaria della natura e dei fenomeni legati alla vita, già immaginata da Goethe: “Verrà inevitabilmente il tempo in cui il pensiero meccanicistico e atomistico sarà accantonato da tutte le persone sagge, e i fenomeni appariranno come determinati dinamicamente e chimicamente; la vita divina della natura si dispiegherà così in modo sempre più ampio”.
Anche in noi c’è un desiderio evidente di cambiare il modo di vedere il mondo e di riuscire finalmente a vederlo come un’entità vivente. Si tratta di un cambiamento di prospettiva epocale»

lunedì 10 novembre 2014

Crescita, decrescita e oltre

fonte foto: Morgue file

Vi invito a notare quanti titoli di giornale si riferiscono alla parola crescita, soprattutto in un periodo come questo nel quale il nostro paese si trova di fatto in uno stato di “crescita negativa”, nel quale si fanno grandi salti di gioia per un aumento dello 0,1% del Pil dopo anni di regressione, e come non si osi mai proferire la parola appositamente coniata “decrescita”, che rievoca invece sofferenze e penurie ancestrali. 

Nell’ultimo mese (febbraio-marzo 2014) il sito dell’ansa ha riportato trenta notizie nel cui titolo è presente la parola “crescita”, vale a dire una media di una al giorno: una vera e propria ossessione. Certo, non c’è peggio di un sistema fondato sulla crescita, invasato di crescita, ma che non riesce a crescere.

Ecco alcuni titoli dell’ansa:

11 marzo: “Padoan, dopo grande crisi Ue guardi più a crescita” 
6 marzo: “Fonti Tesoro, nessuna manovra-bis, si punta a crescita”
6 marzo: “Cina:boom delle spese militari,obiettivo crescita 7.5%” 
5 marzo: “Tesoro:azione governo su lavoro-crescita”
25 febbraio: “Ue rivede al ribasso crescita Italia” 
23 febbraio: “G20: ok a target crescita mondiale” 

Vi invito anche a fare una semplice ricerca su google. Cercando la parola “crescita” si ottengono ben oltre dieci milioni di risultati, mentre con la parola decrescita se ne ottengono poco più di un milione: un ordine di grandezza di differenza. Lo stesso effetto si ottiene ricercando le parole su google trend, uno strumento che permette di capire l’interesse delle persone nella ricerca di parole chiave sul motore di ricerca nell’arco degli anni. La differenza in questo caso sfiora i due ordini di grandezza e si evidenzia come il termine decrescita sia a tutt’oggi un termine di nicchia. Spesso viene mal interpretato dal senso comune, come un ritorno alla pietra e alla scarsità, oppure viene semplicemente ignorato. 

Secondo la stragrande maggioranza dei giornali e dei media, la crescita economica è la risposta per la crisi che stiamo affrontando, non soltanto per risolvere difficoltà economiche ma anche per le questioni ambientali e sociali connesse. Eh sì, perché senza crescita non si creano nuovi posti di lavoro, senza crescita non ci sono investimenti, senza crescita non c’è sviluppo, innovazione, senza crescita non si può investire in tecnologie verdi, senza crescita non si può portare avanti lo sviluppo sostenibile, senza crescita non si posso attuare politiche sociali, e via discorrendo. Insomma senza crescita economica non si fa nulla. 

A dire il vero noi crediamo esattamente l’opposto, ovvero che la crescita non sia la cura di ogni male, bensì la causa della maggior parte dei nostri guai. L’idea della crescita indiscriminata, sempre e comunque positiva e auspicabile, ci ha annebbiato la vista, per questo non riusciamo a vedere altro, e soprattutto non riusciamo a comprendere gli effetti negativi di un sistema che ha perso ogni equilibrio, che non è più sostenibile sotto ogni punto di vista, che sia ambientale, economico o sociale. Un sistema che non ha più ragione di esistere. Infatti, è proprio la visione distorta che considera questi tre ambiti separabili e distinti che ha causato la deriva verso un mondo dove tutti pensano alla stesso modo e dove il sistema economico è in balia della crescita dei profitti e della competizione del mercato: una monocultura che fa da sfondo ad un unico paradigma economico. 

Crediamo che soltanto agendo alla base di questo modello sarà possibile ritornare a una situazione di sostenibilità, e la decrescita vuole essere proprio un tentativo di ritrovare un equilibrio perduto. Non si tratta quindi di una semplice diminuzione indiscriminata della produzione, ma di un superamento del concetto di crescere per crescere, un modo per uscire dal culto della crescita e del progresso. La decrescita vuole essere un termine provocatorio di rottura con un sistema che non ha nessun futuro, proprio perché non ci garantisce un futuro, né a noi, né al pianeta che abitiamo.

Solitamente quando si vuole introdurre il concetto di decrescita si parte dal Pil, ovvero l’indice che considera tutte le transazioni monetarie e che viene preso spesso come riferimento per lo stato di salute dell’economia di un paese. È però ovvio che nel Pil rientrano tutte le transazioni economiche, perciò sono incluse le spese per incidenti stradali, per medicinali, per l’inquinamento, le spese militari, così come i rifiuti, gli sprechi e gli eccessi. Il Pil è un mero indicatore quantitativo di carattere economico e non considera nessun aspetto sociale e ambientale. Non è direttamente legato al benessere psicofisico delle persone, e diversi studi accademici mostrano che oltre una certa soglia la crescita economica non apporta miglioramenti significativi alla qualità della vita, piuttosto si parla di peggioramenti. 

Decrescita significa quindi recuperare un equilibrio tra gli aspetti quantitativi e quelli qualitativi: un equilibrio sostenibile nel tempo. Su questo equilibrio si fonda l’armonia tra l’ambito economico, ambientale e sociale. In pratica la decrescita ci dice che la sostenibilità si ha soltanto quando esiste un equilibrio tra quantità e qualità e quando c’è armonia tra i fattori economici, ecologici e sociali. È sufficiente che soltanto uno di questi sia in sofferenza che inevitabilmente anche gli altri ne subiranno inevitabilmente le conseguenze, poiché tutto è collegato.

La decrescita però non si riduce solamente in un ritorno al buon senso e alla ragionevolezza, di cui pur c’è un disperato bisogno, dato che il culto del profitto ha prevaricato anche sulla razionalità, ma si presenta altresì come ripensamento della visione del mondo, andando a intaccare il pensiero dominante. È centrale, a tal proposito, la consapevolezza dell’interconnessione di tutti i fenomeni così come dell’esistenza di limiti fisici, principi tra l’altro già esistenti nelle filosofie orientali e nella maggior parte delle culture tradizionali, e “scoperti” recentemente dalla fisica moderna.

Da una nuova visione della realtà e da nuove consapevolezze è possibile tracciare dei lineamenti per progettare concretamente un futuro diverso. Il cambiamento è il tassello fondamentale dell’evoluzione e il nostro futuro dipende proprio dalla nostra capacità di cambiare, adattandoci anche ai mutamenti esterni, e non meramente dalla nostra forza fisica e intellettuale di imporci violentemente sugli altri e sulla natura. 

L’evoluzione, non il progresso, è la spinta della vita ad andare avanti, ad andare oltre. La collaborazione e la condivisione, e non l’isolamento e la competizione, sono i principali strumenti di cambiamento. La felicità e il valore, e non l’avidità e il profitto, sono i nostri irrinunciabili obiettivi.

giovedì 6 novembre 2014

I limiti tra noi e la natura - Hermann Hesse

fonte foto: morgueFile

«Già da piccolo ero stato incline a guardare le forme bizzarre della natura, non già osservando ma abbandonandomi al loro fascino e al loro complicato linguaggio. Lunghe radici d’albero affioranti, vene colorate nella pietra, macchie d’olio natanti sull’acqua, crepe nel vetro, tutte queste cose esercitavano su di me una grande attrattiva, soprattutto l’acqua e il fuoco, il fumo, le nubi, la polvere e, in modo particolare, le macchioline giranti che vedevo chiudendo gli occhi. 

Alle poche esperienze raccolte fino allora lungo la via verso lo scopo della mia vita si aggiunse anche questa. La contemplazione di siffatte immagini, l’abbandono a forme irrazionali, strane e complicate della natura, producono in noi un senso di concordanza fra il nostro cuore e la volontà che fece nascere queste forme; tosto abbiamo la tentazione di prenderle per nostri capricci, per nostre creazioni; vediamo tremare e confondersi i limiti fra noi e la natura e veniamo a conoscere l’atmosfera in cui non sappiamo se le immagini sulla retina provengono da impressioni esteriori o da quelle interne. Mai come in questo esercizio facciamo la semplice e facile scoperta di quanto siamo creatori, di quanto la nostra anima sia sempre partecipe della continua creazione del mondo. Anzi, la stessa indivisibile divinità agisce dentro di noi e nella natura, e se il mondo esterno perisse noi saremmo capaci di ricostruirlo poiché monti e fiumi, alberi e foglie, radici e fiori e tutte le cose formate nella natura sono preformate in noi, provengono dall’anima la cui essenza è l’eternità, essenza che non ci è nota, ma si fa sentire per lo più come energia amorosa e creatrice»

Estratto da: Hermann Hesse – Demian

lunedì 3 novembre 2014

L’Italia è una repubblica fondata sul … valore


Dalla creazione di profitto alla creazione di valore

«Vi siete accorti che oggi il saluto abituale non è più buona giornata o buona salute ma buon lavoro? Come dire che il nostro rapporto vitale è passato dai piaceri e dai riposi dell’esistenza alle fatiche e alle ansie. La vita che un tempo andava guadagnata con “il sudore della fronte”, il lavoro come condanna vengono mitizzati come unica ragione di vivere» Giorgio Bocca 

Il primo articolo della Costituzione italiana, come sappiamo tutti, recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

La parola “lavoro” deriva dal latino labor, e significa fatica, ovvero sofferenza. Nelle altre lingue di origine latina, come il francese e lo spagnolo, invece la parola “lavoro” viene dalla parola “travaglio”, termine che si spiega da sé. “Lavoro” è quindi una parola che rievoca immediatamente fatica e dolore, ma la cosa che inquieta ancor di più è che questo termine è oggi associato con un’attività remunerata, ovvero che ha un valore di mercato quantificabile in denaro, mentre ancora nessuna distinzione viene fatta a livello qualitativo: se il lavoro è un lavoro utile, e utile per cosa e per chi, e se il lavoro danneggia qualcosa o qualcuno, o se il lavoro è fatto bene o male. È sufficiente che sia adeguatamente (forse adesso manco più quello) retribuito per essere considerato lavoro.

Sappiamo bene che il Pil, l’indice a cui tutti gli economisti fanno riferimento, tiene in conto le transazioni monetarie, ma nessun aspetto qualitativo. Se il lavoro è utile o dannoso, fatto bene o male, alla fin dei conti non interessa a nessuno, o a pochi. 

Il lavoro, anche se faticoso, che non è associato a una retribuzione in denaro non è considerato lavoro. Farsi da mangiare, fare la spesa, pulire la casa, coltivare il giardino, avere cura della propria persona, fisicamente e intellettualmente, crescere dei figli, andarli a prendere a scuola: tutto questo non fa crescere il Pil perché non è soggetto a transazioni di denaro, perciò non è lavoro. 

Nella deriva dell’economia basata esclusivamente sul profitto, si sta tentando di mercificare qualsiasi cosa: persino la natura, le relazioni, i sentimenti, gli affetti, tutto. A maggior motivo anche le attività che fino ad oggi rientravano tra quelle non remunerate, e che restavano di conseguenza fuori dal profitto economico, stanno per essere pian piano assorbite dal sistema del mercato. 

Studiando il pensiero di Tsunesaburo Makiguchi, riguardo alla filosofia della creazione di valore, si comprende che il profitto è solo uno dei tre elementi che costituiscono il valore, e non è affatto il più importante. Secondo l’educatore giapponese il fondamento del valore è il bene, ovvero la felicità e il benessere della società nel suo insieme, quindi anche dell’ambiente dal quale non può prescindere, seguito dal guadagno, inteso come beneficio che riguarda il singolo, e non soltanto dal punto di vista economico, e dalla bellezza, caratteristica relativa a ciò che concerne l’appagamento dei sensi. Se guadagno e bellezza poggiano sul bene, e non sono perciò in disarmonia tra di loro, è possibile costruire una società equilibrata e sostenibile in cui il beneficio individuale non sia a discapito della società e del suo ambiente. 

Solo recuperando un equilibrio tra un paradigma retto dalla competizione e dal profitto e un paradigma fondato sulla solidarietà e il valore sarà possibile uscire da un sistema votato alla crescita infinita e all’autodistruzione che inevitabilmente conseguirebbe.

Una riforma essenziale sarebbe quella di modificare il primo articolo della Costituzione italiana come segue: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul valore”, inaugurando in tal modo una serie di iniziative atte a costruire un paradigma economico compensativo basato sull’autoproduzione solidale e sulla localizzazione.

venerdì 26 settembre 2014

Il Sole e la Luna - un romanzo d'amore



“Noi due siamo il sole e la luna, o il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento”

Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro


In questo nuovo romanzo si parla di incontri, di scoperte, di crescita personale. In particolare degli aspetti apparentemente contrastanti della vita, degli opposti che si attraggono, che si uniscono in modo armonico: la razionalità e la fantasia, la mente e il cuore, il maschile e il femminile. 

Leggendolo molti si figureranno, e magari mi chiederanno come è già successo, se sono io effettivamente il protagonista della storia, se si tratta in qualche modo di una storia autobiografica. In un certo senso credo sia così, perché penso di non aver mai scritto nulla che non sia almeno minimamente autobiografico. 

Ad ogni modo, questo romanzo racconta solo in apparenza una storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza. Più in profondità rappresenta il rapporto con noi stessi, o meglio la relazione tra il nostro lato femminile e il nostro lato maschile, tra gli opposti che sono parte di noi e che necessitano di esprimersi. Infatti, solo se questi aspetti, che a prima vista sembrano separati e in contrasto, sono invece in equilibrio e in armonia tra loro, solo se vengono entrambi ascoltati e sviluppati conducono alla felicità e all’amore per sé e per gli altri. 

Perciò il personaggio maschile della storia trasfigura il mio lato maschile, e allo stesso modo il personaggio femminile trasfigura quello femminile, come se l’altro fosse in realtà, non una cosa separata da noi, ma una parte della nostra interiorità.

Vi auguro una buona lettura

Scarica ebook ---> http://goo.gl/g3fOVU



Dimitri, nonostante i suoi venticinque anni, è un ragazzo ancora alle prime armi in fatto di amore. Il suo mondo sono i numeri, la razionalità e il calcolo. Le donne, il suo universo indecifrabile. Ma sul finire del percorso di studi universitari, questa visione viene sconvolta e stravolta grazie a una serie di espedienti e di incontri. Quello che sperimenta è qualcosa che trascende la sua logica e lo introduce in un suo nuovo “io”.

lunedì 22 settembre 2014

La bicicletta, il mezzo di trasporto più efficiente ed efficace - Ivan Illich



«L’uomo, senza l’aiuto di alcuno strumento, è capace di spostarsi con piena efficienza. Per trasportare un grammo del proprio peso per un chilometro in dieci minuti, consuma 0,75 calorie. L’uomo a piedi è una macchina termodinamica più efficiente di qualunque veicolo a motore e della maggioranza degli animali; in rapporto al suo peso, nella locomozione presta più lavoro del topo o del bue, meno lavoro del cavallo o dello storione. Con questo tasso di efficienza l’uomo si è insediato nel mondo e ne ha fatto la storia. Procedendo di questo passo le società contadine e quelle nomadi spendono rispettivamente meno del 5 e dell’8 per cento del loro tempo sociale fuori di casa o dell’accampamento. 

L’uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell’energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il perfetto traduttore per accordare l’energia metabolica dell’uomo all’impedenza della locomozione. Munito di questo strumento, l’uomo supera in efficienza non solo qualunque macchina, ma anche tutti gli altri animali»

[…]

«Le biciclette non sono soltanto termodinamicamente efficienti, costano anche poco. Avendo un salario assai inferiore, il cinese per comprarsi una bicicletta che gli durerà a lungo spende una frazione delle ore di lavoro che un americano dedica all’acquisto di un’auto destinata a invecchiare rapidamente. Il rapporto tra il costo dei servizi pubblici richiesti dal traffico ciclistico e il prezzo di un’infrastruttura adatta alle alte velocità, è proporzionalmente ancora minore della differenza di prezzo tra i veicoli usati nei due sistemi. Nel sistema basato sulla bicicletta, occorrono strade apposite solo in certi punti di traffico denso, e le persone che vivono lontano dalle superfici in piano non sono per questo automaticamente isolate come lo sarebbero se dipendessero dagli automezzi o dai treni. La bicicletta ha ampliato il raggio d’azione dell’uomo senza smistarlo su strade non percorribili a piedi. Dove egli non può inforcare la sua bici, può di solito spingerla. 

Inoltre la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un’unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là da un ponte in un’ora, ci vogliono tre corsie di una determinata larghezza se si usano treni automatizzati, quattro se si ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle automobili, e solo due se le quarantamila persone vanno da un capo all’altro pedalando in bicicletta. Di tutti questi veicoli, soltanto la bicicletta permette realmente alla gente di andare da porta a porta senza camminare. Il ciclista può raggiungere nuove destinazioni di propria scelta senza che il suo strumento crei nuovi posti a lui preclusi.

Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche sopra gli orari, l’energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili. 

Si tratta d’uno strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo: l’uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l’equilibrio ereditario. I vantaggi del traffico moderno autoalimentato sono evidenti, e tuttavia vengono ignorati. Che il traffico migliore sia quello più veloce lo si afferma, ma non lo si è dimostrato. Prima di chiedere alla gente di pagare, i fautori dell’accelerazione dovrebbero cercare di esibire le prove a sostegno di quanto pretendono»


Da “Elogio della bicicletta” di Ivan Illich

lunedì 8 settembre 2014

La storia del Colibrì



«La storia comincia con un enorme incendio che scoppia e si propaga nella foresta. Tutti gli animali, grandi e piccoli, scappano al limitare del bosco e si fermano a osservare le fiamme, tutti tranne un colibrì. “Farò qualcosa per spegnere l’incendio”, dice il minuscolo uccellino. Vola fino al torrente più vicino e si tuffa nell’acqua. Si risolleva poi nell’aria portando nel becco una perla d’acqua che lascia cadere sulle fiamme. L’incendio divampa, ma il colibrì continua con volare al torrente e a tornare con una goccia d’acqua nel becco, convinto che quell’azione farà la differenza. 

Nel frattempo gli altri animali, alcuni dei quali con lunghe proboscidi e grandi bocche, come l’elefante, la giraffa, il leone e il leopardo, ridono della minuscola creatura. “Ma che cosa credi di fare?” lo scherniscono. “Sei solo un colibrì. Lo vedi quanto è esteso l’incendio. Pensi davvero di poter fare qualcosa di buono?” Senza sprecare tempo e stanco delle loro parole scoraggianti e della loro inazione, il colibrì si volta verso gli altri animali mentre si prepara a tornare al fiume ed esclama: “Sto facendo del mio meglio!”

A prima vista sembra assurdo che un minuscolo colibrì, trasportando poche gocce d’acqua nel becco possa condizionare un enorme incendio in una foresta. Ma, chiaramente, non è quello il senso della storia. Le lezioni che possiamo trarne sono queste: il colibrì sta lavorando al massimo delle sue capacità per il bene più grande di tutti gli altri animali e della foresta. Se gli animali più grandi dessero un contributo ai suoi sforzi, il risultato sarebbe di gran lunga migliore, ma sono troppo occupati a deridere il colibrì per il suo impegno o a piangere per la disperazione. La loro inerzia amplifica solo la fatica dell’uccellino. La morale più ampia della storia è che non si raggiunge nulla senza sforzo. Come recita la massima attribuita al maestro cinese taoista Lao Tzu: “Un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo”.

Magari è vero che la situazione è disperata e che il colibrì da solo non potrebbe mai spegnere un incendio. E probabilmente, anche se tutti gli animali collaborassero con lui, non riuscirebbero comunque a sconfiggere le fiamme. Ma potrebbero spegnere parte dell’incendio e quindi limitare i danni della loro casa. E ciò che è assolutamente certo è che non lo sapranno mai se non proveranno. Anche se il colibrì non è all’altezza del suo obiettivo, può dire di nuovo: “Sto facendo del mio meglio”. 

Molto spesso guardiamo il compito che ci aspetta e pensiamo di non avere le capacità o l’energia sufficiente per portarlo a termine. Soprattutto quando consideriamo gli enormi problemi che ci attendono quando tentiamo di dominare gli effetti potenzialmente catastrofici della povertà, dell’ingiustizia, della deforestazione della desertificazione, della perdita del suolo e del cambiamento climatico, o quando incoraggiamo gli individui provati della libertà a rivendicare i propri diritti e assumersi le responsabilità per il proprio benessere; o quando pretendiamo giustizia ed equità da parte dei nostri leader. Ci sentiamo troppo piccoli, insignificanti e vulnerabili; temiamo che ogni sforzo ci farà apparire ridicoli se cerchiamo di apportare un cambiamento. Ma, come il colibrì, dobbiamo imparare a perseverare, mantenere l’impegno ed essere pazienti. 

Per quanto possiamo sentirci dei colibrì, dobbiamo prendere i nostri piccoli becchi e trasportare quella goccia d’acqua (quella goccia di cambiamento) dove è necessaria, e continuare a farlo, a dispetto di ogni previsione. Magari ci attireremo il disdegno, il dileggio o l’indifferenza di quelli più potenti di noi. O magari incoraggeremo altri a fare un passo avanti e seguirci. Non lo sapremo mai finché non abbandoneremo la nostra inerzia e daremo agli altri l’energia per agire. Alla fine, tutto quello che siamo chiamati a fare è il nostro meglio»

Estratto da: Wangari Muta Maathai, La religione della Terra


lunedì 21 luglio 2014

Wangari Maathai per la decrescita


«Nelle società più benestanti c’è chi per muoversi va a piedi o prende un mezzo pubblico o usa la bicicletta anziché l’auto. Alcuni utilizzano l’acqua con parsimonia, riducono il consumo di energia elettrica, e quando vanno a fare la spesa si portano una sporta anziché usare i sacchetti di plastica. Quelli che vivono nei Paesi industrializzati possono isolare la propria casa, cambiare le vecchie lampadine con quelle fluorescenti compatte o con le luci led e comprare elettrodomestici a basso consumo energetico. Possono tingere di bianco i tetti dei loro edifici per raffreddare le città riflettendo la luce e il calore nello spazio piuttosto che lasciarla assorbire da tetti incatramati di nero delle case e delle strade.

Possiamo tutti tirare lo sciacquone meno spesso e sprecare meno acqua, o trovare dei modi per raccogliere quella piovana. Possiamo sostenere la produzione organica, mangiare alimenti prodotti a livello locale con un basso impatto climatico e consumare meno carne. Possiamo tutti lavorare per impedire la deforestazione e il degrado delle foreste esistenti, porre fine alla pratica “taglia e brucia” e adottare abitudini che impediscano l’erosione del suolo e la perdita della biodiversità. Tutti possiamo piantare alberi e arbusti, creare un riparo e un habitat per gli animali selvatici. 

Ci sono molte azioni ordinarie e facilmente attuabili che possono apportare un cambiamento significativo nella nostra vita quotidiana. Come il semplice gesto di piantare un albero: potrebbe sembrare che non si ottenga granché a livello individuale ma, invece, questi banali atti sono una parte essenziale del concentrarsi sulle piccole cose. Magari non si vedranno i risultati di queste azioni dallo spazio; magari non li noteranno neanche i nostri vicini. Ma se tutti compissero uno, due, o tutti questi passi, l’impatto potrebbe essere enorme»

Estratto da “La religione della Terra” di Wangari Maathai

domenica 13 luglio 2014

Circuiti di autoproduzione solidale: un manifesto

foto morguefile.com

Il sistema di sviluppo basato sul profitto e la competizione sta conducendo l’umanità sull’orlo del baratro: esso risulta insostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale. L’inseguimento della crescita a tutti i costi ha portato il pianeta intero a una deriva mono - paradigmatica, senza futuro, proprio perché gli squilibri e gli eccessi su cui si basa vanno a minare le basi stesse della sopravvivenza di ogni specie vivente. 

Al fine di recuperare un equilibrio in questa deriva, occorre sviluppare in modo pianificato e diffuso dei modelli di economia compensativi fondati su circuiti di autoproduzione solidale, estranei quindi all’obbligo di inseguire profitti crescenti e alle logiche di competizione. 

L’autoproduzione, ovvero un’attività di trasformazione di materie prime in prodotti di consumo utili per soddisfare le proprie necessità, oltre a riequilibrare la deriva economica basata su una crescita infinita, comporta immancabilmente tutta una serie di benefici a vantaggio dell’economia, dell’ambiente e della società nel suo insieme. L’autoproduzione infatti incide positivamente sulla salute, sulle relazioni e perciò sul benessere psicofisico, sull’inquinamento, sul risparmio di risorse, nonché contribuisce a rafforzare la consapevolezza e il potenziale creativo del singolo individuo. 

L’autoproduzione diffusa in una società fondata sulla crescita indiscriminata non è realizzabile senza una organizzazione e una mobilitazione dal basso. Il sistema attuale è strutturato in modo che il riequilibrio non sia un processo spontaneo, ma debba essere progettato e diretto dall’interno. 

In generale, oggi, chi ha un impiego, e quindi un reddito, ha pochissimo tempo da dedicare ad altre attività (dieci - dodici ore di lavoro al giorno sono considerate normali, anche per stipendi bassi), mentre chi è disoccupato ha molto tempo a disposizione ma, di contro, non possiede alcun reddito. 

Perciò, se vengono costituiti dei circoli di persone interessate all’autoproduzione, quindi alla salute, al benessere, all’ecologia e al risparmio, parte delle quali è occupata con un reddito sicuro e parte è disoccupata, è possibile pianificare, sotto il patrocinio di enti o associazioni senza scopo di lucro, delle attività di autoproduzione di gruppo svolte dagli iscritti disoccupati ai quali viene riconosciuto un minimo compenso su base oraria, mentre tutti gli iscritti possono usufruire dei prodotti finali. Solo gli iscritti con reddito supportano le spese, e non è previsto nessun utile finale.

Gli iscritti al circuito si riuniscono periodicamente per programmare le attività, le quote di produzione e prendere decisioni riguardo all’approvvigionamento delle materie prime, dei processi di trasformazione e dei mezzi impiegati. Ogni circuito è autonomo e supervisionato dall’esterno. 

La formazione pianificata e diffusa dei circuiti di autoproduzione autonoma contribuirà a riequilibrare l’attuale sistema di sviluppo e a indirizzarlo verso la sostenibilità ambientale, economica e sociale.

mercoledì 28 maggio 2014

Ritorno all'Origine - L'audiolibro


Da oggi Ritorno all'Origine è anche nella versione audiolibro letto da Lorenzo Visi e pubblicato dalla casa editrice Area51 Publishing. Nel video potete sentire un estratto e a questa pagina potete scaricare la versione demo.

Grazie a tutti, buon ascolto!

Maggiori dettagli alle seguenti pagine:

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mercoledì 21 maggio 2014

Decrescita, ecologia e spiritualità: Eduardo Zarelli intervista Luca Madiai


In occasione del convegno sulla decrescita di Firenze, il filosofo, scrittore ed editore Eduardo Zarelli, che per Area51 Publishing cura la collana di ebook e audiolibri “Economia, Ecologia, Tecnologia”, intervista Luca Madiai, autore di “Ritorno all’origine” e “365 giorni per il pianeta Terra

mercoledì 23 aprile 2014

365 Giorni per il Pianeta Terra - un ebook


Oggi è l'#EarthDay2014, la Giornata Mondiale della Terra. Il tema ecologico (e della diretta azione ecologica quotidiana) trova ampio spazio nel catalogo di Area51 Publishing perché siamo profondamente convinti che ognuno di noi, con le sue scelte, fa la differenza, per se stesso, la sua crescita personale, e anche per la crescita sociale e planetaria. Perché ogni nostro cambiamento, ogni nostra scelta e ogni nostro miglioramento hanno effetti su tutto il sistema planetario a cui apparteniamo. Da questa forte fiducia nelle nostre capacità nascel'ebook di Luca Madiai 365 giorni per il pianeta Terra. Riflessioni quotidiane su sostenibilità, decrescita e spirito ecologico.

In questo ebook Luca Madiai (ingegnere nel settore energetico ed esperto di tematiche della decrescita e della sostenibilità ambientale, economica e sociale) raccoglie frasi e interventi di filosofi, pensatori, scrittori, giornalisti, studiosi, spaziando dalla scienza alla spiritualità, con l’obiettivo di ispirare il lettore a un percorso di cambiamento in direzione della sostenibilità.

L'ebook affronta anche il tema ecologico ed economico della "decrescita", che non è in contraddizione con la "crescita"che auspichiamo per ognuno di noi e per il pianeta – poiché la vita è sempre crescita ed evoluzione, è sempre un processo di trasformazione in avanti – ma anzi la sostiene e la rafforza nella prospettiva di una maturazione del nostro rapporto con l'ecosistema e i suoi equilibri (da cui la cura verso le risorse energetiche e ambientali e l'attenzione a non sprecarle e sperperarle). "Decrescita" non significa tornare indietro ma andare avanti: avanti verso la più piena integrazione tra economia ed ecologia, verso il senso profondo di appartenenza a uno straordinario ecosistema ricco di abbondanza di vita.

La sostenibilità è infatti molto di più della protezione dell’ambiente. Non può essere intesa autonomamente dagli aspetti economici e sociali, dalla cultura del nostro tempo, dal benessere e dalla felicità umana.

BUON #EARTHDAY DA AREA51 PUBLISHING

mercoledì 26 marzo 2014

Martin Luther King per la decrescita



«Mastodontiche infrastrutture produttive con menti computerizzate, città che inghiottono il paesaggio fino a toccare il cielo, aerei che corrono quasi più veloci del tempo: tutto ciò è impressionante, ma non nutre lo spirito. Niente nella nostra scintillante tecnologia può innalzare l’uomo a nuove vette, perché la crescita materiale contiene la sua stessa fine e, in assenza di proposti morali, l’uomo diviene sempre più piccolo mentre le opere dell’uomo divengono sempre più grandi. Gigantesche industrie e governi, orditi in intricati meccanismi computerizzati, escludono gli esseri umani. Il senso di partecipazione si perde, svanisce la percezione che l’individuo comune influenzi le decisioni importanti, e l’uomo ne resta isolato e sminuito. 

Quando un individuo non è più davvero partecipe, quando non avverte più il senso di responsabilità verso la società, la democrazia si svuota di contenuto. Quando la cultura è degradata e regna la volgarità, quando il sistema sociale non costruisce sicurezza ma causa pericolo, l’individuo viene inesorabilmente incoraggiato a prendere le distanze da una società senz’anima. Questo processo produce alienazione: probabilmente la più pervasiva e insidiosa degenerazione nella società contemporanea»

(Martin Luther King – Il sogno della non violenza)

lunedì 17 marzo 2014

Gandhi per la decrescita - seconda parte



«La civiltà è quella forma di condotta che indica all’uomo il cammino del dovere. L’adempimento del dovere e l’osservanza della moralità sono termini intercambiabili. Osservare la moralità significa ottenere la padronanza della nostra mente e delle nostre passioni. Così facendo, conosciamo noi stessi. L’equivalente di civiltà, in gujarati, significa “buona condotta”. 

Se questa definizione è corretta, allora l’India, come hanno dimostrato molti scrittori, non ha niente da imparare da nessuno, ed è così che dovrebbe essere. Noi ci accorgiamo che la mente è un uccello irrequieto; più ottiene, più vuole, e rimane comunque insoddisfatta. Più siamo indulgenti con le nostre passioni, più esse diventano sfrenate. I nostri antenati, perciò, misero un limite alle nostre indulgenze. Essi videro che la felicità era, in larga misura, una condizione mentale. Un uomo non è necessariamente felice se è ricco, o infelice se è povero. Si vedono spesso ricchi infelici e poveri felici. Milioni di persone rimarranno povere per sempre. Osservando tutto ciò, i nostri antenati ci hanno dissuasi da lussurie e piaceri. Abbiamo usato lo stesso tipo aratro che esisteva migliaia di anni fa. Abbiamo mantenuto lo stesso tipo di abitazione che avevamo tempi addietro e la nostra educazione indigena rimane la stessa di prima. Non abbiamo avuto nessun sistema competitivo che corrode la vita. Ognuno seguiva la propria occupazione o commercio, e ne traeva un compenso adeguato. Non si trattava di non sapere come inventare le macchine, ma i nostri padri sapevano che, se avessimo dedicato i nostri cuori a tali cose, ne saremmo diventati schiavi e avremmo perso la nostra fibra morale. Essi, quindi, dopo doverosa riflessione, decisero che avremmo fatto solo ciò che potevamo fare con le nostre mani e piedi. Videro che la nostra vera felicità e il nostro benessere consistevano in un uso appropriato delle nostre mani e piedi»

(Mahatma Gandhi – Hind Swaraj)

lunedì 10 marzo 2014

Ritorno all'Origine - indice dell'ebook

L’evoluzione umana non è a senso unico

di Luca Madiai


Introduzione 
  Dove stiamo andando?
  Il migliore dei mondi possibili, siamo proprio sicuri?
  Cambiare i nostri cuori
La transizione
  Dalla creazione di profitto alla creazione di valore 
Scarica ebook
  Dall’Ego all’Eco
  Il cambiamento su tre livelli
Oggi, un presente da interpretare
  Spirito di oggi
     Il senso della vita oggi
     I sei sentieri
     Il circolo vizioso dei quattro cattivi sentieri
     La felicità relativa
  Cultura di oggi
     Le quattro illusioni fondamentali
     Illimitatezza
     Separazione
     Andamento
     Impossibilità
     Progresso, sviluppo, evoluzione, crescita
  Tecnica di oggi
     Mercificazione
     Globalizzazione
     Consumismo
     Tecnologia avanzata
     Disgregazione sociale e violenza
Domani, un futuro da costruire
  Spirito di domani
     Senso della vita domani
     I quattro nobili sentieri
     Mutuo possesso dei dieci mondi
     Rivoluzione Umana
  Cultura di domani
     Le quattro consapevolezza fondamentali
     Limite
     Unicità
     Andamento
     Possibilità
     Progresso, sviluppo, evoluzione, crescita
  Tecnica di domani
     Valorizzazione
     Localizzazione
     Sobrietà
     Tecnologia adeguata
     Relazioni armoniche
Per concludere
  Evoluzione umana
  Il tema del ritorno
  L’origine di tutti i fenomeni
  La fiducia nell’umanità
Bibliografia
Appendice A – Dal motore ai pedali
Appendice B – Una vincente strategia energetica

giovedì 27 febbraio 2014

La felicità al centro di tutto - Tsunesaburo Makiguchi

fonte foto: Morguefile
«La maggior parte degli insegnanti, attenti soltanto alle esigenze degli adulti, sono soliti imbottire i propri studenti di nozioni che hanno ben poco a che fare con la vita quotidiana. Non c’è tanto da meravigliarsi, dunque, se i bambini mostrano un così scarso interesse per lo studio, e se manifestano molto spesso difficoltà di apprendimento. L’incapacità dell’organismo di un bambino piccolo di metabolizzare più di quanto sia in grado di digerire, mostra con estrema evidenza gli effetti dannosi di un’alimentazione forzata. L’eccessiva quantità di cibo non assimilata, passando attraverso l’organismo del bambino, viene sprecata o, peggio, depositata nell’apparato digerente, dove andrà incontro a un lento processo di putrefazione che intossicherà l’intero organismo. Sfortunatamente, invece, gli effetti dell’intossicazione psicologica dei bambini, causata dall’apprendimento forzato di un gran numero di nozioni, peraltro incomprensibili, non sono immediatamente visibili e passano così inosservati. La situazione è seria. Ma quando cerchiamo di risalire alle cause scatenanti, ci imbattiamo in un autentico paradosso: insegnanti e genitori, che si reputano individui che provvedono al futuro benessere dei bambini, in realtà li rendono infelici durante il periodo della crescita. Questo tipo di considerazioni mi hanno condotto a concludere che il fine dell’educazione è quello di rendere i bambini capaci di diventare individui responsabili e “positivi”, in grado di contribuire alla felicità della società trovando, in questo modo, il significato, lo scopo e la felicità nella propria esistenza individuale» 

«Optare per un obiettivo “a senso unico”, il benessere, il raggiungimento di un’alta posizione sociale o via discorrendo, vuol dire confondere la parte con il tutto, e, così, facendo, costituire il benessere totale con qualcosa di parziale. Una scelta di questo tipo nasce da una concezione riduttiva della felicità, da una visione che, limitandosi solo ad alcuni aspetti della vita, si preclude l’accesso ad altre possibilità altrettanto importanti per l’essere umano. La felicità, dunque, è da intendersi non come qualcosa di fisso da raggiungere, ma come un continuo processo di sviluppo. È questa sua natura dinamica e progressiva che soprattutto interessa noi educatori» 

«Non c’è nessun altro fattore così disgregante e dannoso per la felicità dell’individuo e per il benessere della società, quanto la ricchezza e l’uso che se ne fa. Pochi altri aspetti della vita generano una siffatta confusione con risultati così disastrosi. Ne era ben consapevole Alfred Nobel quando sosteneva che per quanto sia possibile ereditare proprietà è impossibile ereditare la felicità: è una delle lezioni più importanti che dovremmo imparare in un’epoca in cui la competizione è spietata e il benessere economico è un’ossessione»


Brani estratti da Educazione per una vita creativa,  di Tsunesaburo Makiguchi 1930, da Duemilauno n. 28 pag. 37-38

lunedì 17 febbraio 2014

L'esperienza di Matteo Majer



Vi invito a leggere l'esperienza di decrescita felice e rivoluzione umana di Matteo Majer riportata nel suo ebook, liberamente scaricabile, dal titolo La Libertà Vera.

Eccone un estratto:

«La montagna ti insegna l’importanza del cammino e della meta. L’importanza di avere strategie di “riuscita” e di “uscita”.
Ti insegna la flessibilità nel “cambiare strada”. Cioè nel cambiare strategia spesso e rapidamente ma sempre avendo come stella cometa i propri valori e i propri principi.
“La strada è segnata: segui il sentiero.” La montagna ti insegna che devi metterlo in discussione il sentiero segnato. Devi andare fuori dal sentiero se vuoi godere la montagna (o la vita).
“Va dove vanno gli altri”: la montagna ti insegna a valutare le orme, a capire dove sono andate altre persone, ad osservare e non seguire ciecamente la strada già battuta. A comprendere pericoli ed opportunità insite in ogni scelta.
La montagna ti invita a scegliere: come prepararti, cosa portare con te, come prevenire le difficoltà, come risolvere ciò che ti capita. Ti invita a scegliere le modalità di escursione, gli amici con cui uscire, le tempistiche, le difficoltà.
In montagna puoi perderti per poi ritrovarti migliore di prima. Imparare a perdersi è bellissimo! La cosa importante è ritrovarsi sempre una volta in più!
La montagna ti insegna la responsabilità nei tuoi confronti e verso gli altri. Devi prepararti, devi saperti ascoltare, devi saperti sfidare. Nello stesso tempo sei “con” altri che devono essere responsabili delle loro scelte, ai quali ti puoi affidare e sui quali tu puoi contare. Anche gli altri, ovviamente, devono potersi fidare di te ed affidare a te.
“Io basto a me stesso e, se posso, se sono nelle condizioni di poterlo fare, ho il dovere di aiutare gli altri.
Gli altri devono bastare a se stessi e, se possono, devono potermi aiutare, cioè io devo lasciarmi aiutare.
Io devo essere autosufficiente e devo poter aiutare gli altri.
Gli altri devono essere autosufficienti e devono potermi aiutare.”
Superare i propri limiti. La montagna ti insegna a raccogliere tutte le forze che hai in te che nemmeno conosci e ti fa fare cose straordinarie. La montagna ti insegna ad “andare OLTRE”.
La montagna ti insegna a non abbatterti e a non esaltarti. La montagna ti insegna a stare attento a ciò che accade fuori di te e dentro di te.
Ti insegna ad ascoltarti e ad ascoltare.
La montagna, infine, ti consente anche di divertirti se la rispetti, se la temi e se, al tempo stesso, sai affidarti ad essa e sei disposto a lasciarti andare…
Negli ultimi tempi ho elaborato una ulteriore consapevolezza: non è necessario sfidarsi sempre, andare al massimo, verificare sempre i propri limiti.Rallentare, godersi un panorama, “stare” nella natura, passeggiare: è sufficiente questo per sentirsi vivo. Ora adoro gustarmi il “senso del sublime” di kantiana memoria, amo i boschi, la neve, la roccia, l’ambiente montano, fermarsi un po’, prendersi i propri tempi, adattarsi ai ritmi della natura, vivere in essa.»

venerdì 14 febbraio 2014

Igor Sibaldi - L'abbondanza - Seminario completo

«La cosa più terrificante che ti possa succedere è l'essere costretto a desiderare qualcosa che non vorresti»
Luca Madiai



lunedì 10 febbraio 2014

Ritornare alla nostra condizione d'Origine - Convegno Decrescita, Filosofia e Visioni del Mondo

Intervento al Convegno Decrescita, Filosofia e Visioni del Mondo – 8 febbraio – Firenze

Da qualche anno oramai, mi interesso delle tematiche che riguardano la sostenibilità, non soltanto dal punto di vista ambientale. Essendo laureato in ingegneria, forse il mio approccio è più tecnico rispetto filosofi, ma senza dubbio ho anche una forte anima umanista. Oltre che essere socio attivo del Movimento per la Decrescita Felice, sono anche un praticante buddista, e voglio specificare che i riferimenti al Buddismo che farò qui oggi riguardano esclusivamente il Buddismo di Nichiren Daishonin, quello che pratico e che ho approfondito. 

Ho scritto recentemente un libro, che adesso è pubblicato in versione ebook dalla casa editrice Area 51 Publishing. Si intitola: Ritorno all’Origine, l’evoluzione umana non è a senso unico. Spesso viene confuso con ritorno alle origini, come un tornare all’epoca della pietra. Di fatti, nella copertina c’è la popolare figura dell’evoluzione umana, l’evoluzione dalla scimmia all’uomo, con in particolare l’ultimo uomo, quello più evoluto, che torna sui suoi passi per ravvisare gli altri. 

A mio modo la questione cruciale della sostenibilità sta proprio in questa immagine banale. Nel nostro immaginario l’evoluzione umana, il percorso dell’Uomo sul pianeta, è una linea retta, è unidirezionale. E questa immagine lo mette bene in evidenza. Ne deriva che le uniche alternative sono muoversi in avanti, e se questo non è possibile, allora restare fermi oppure tornare indietro. Credo che ci sia la necessità di superare questo modo di pensare unidirezionale. Perché credo che siamo capaci di muoverci in uno spazio con infinite direzioni. 

Nel libro uso la metafora del treno che viaggia sempre più velocemente senza mai cambiare direzione, ed è certo, visto che esistono limiti fisici indiscutibili, che prima o poi incontrerà un ostacolo o una voragine. Il treno rappresenta il nostro sistema globale, la nostra economia e la nostra società globalizzata. È un treno in cui la maggior parte dei passeggeri affolla la terza classe, che vive in condizioni pessime, mentre in testa al treno i pochi e fortunati viaggiatori della prima classe cercano di darsi da fare in tutti i modi per aumentare ancora la velocità del treno, senza accorgersi di dove stiano effettivamente dirigendosi. Quello che occorre fare è perciò prima di tutto tentare di rallentare questo folle treno il più possibile, e una volta che ha raggiunto una velocità di sicurezza, piuttosto moderata, abbandonarlo saltando dai vagoni, cercando però di non farsi male. A quel punto saremo pronti per riprogettare una società che non sia più costretta su un binario, ma che possa muoversi in ogni direzione a seconda dei casi. 

È ovvio a tutti che siamo in un periodo di intensi cambiamenti, e che c’è la necessità di un cambiamento sostanziale. Per tentare di descrivere, a mio modo, questo cambiamento di sistema e di paradigma, ho utilizzato un’altra metafora, anche in questo caso ingegneristica. Immaginiamo un edificio, che rappresenta la struttura del nostro sistema, mentre i piani dell’edificio rappresentano i livelli del cambiamento. Il livello più basso, più profondo, è quello dello spirito, la sfera spirituale, che trascende il pensiero razionale, e che costituisce le fondamenta stesse dell’edificio. Il piano terra invece è la cultura ovvero tutta l’area che riguarda il pensiero conscio o inconscio, l’attività mentale e la razionalità, perciò la nostra visione del mondo. Il primo e ultimo piano è costituito da quella che ho chiamato tecnica, la parte concreta e materiale della nostra vita, l’insieme di tutte le nostre azioni. Oggi siamo così occupati a sviluppare soluzioni tecniche per riparare ai nostri guai, molti dei quali noi stessi abbiamo contribuito a creare, che ci siamo dimenticati completamente dell’esistenza degli altri piani che comunque hanno la loro importanza. Il piano della tecnica, l’ultimo piano, continua a crescere giorno dopo giorno, cresce l’economia, la tecnologia, la popolazione. È chiaro che stiamo rischiando un collasso, se non altro perché le fondamenta dello spirito, quasi inesistenti, e della cultura sono inadatte a sorreggere un tale peso enorme e crescente. 

La tendenza attuale è quella di agire soltanto a livello della tecnica, di cercare soluzioni tecniche a ogni questione e difficilmente si considerano le interrelazioni tra i vari ambiti. Pensiamo che lo sviluppo tecnologico ci salverà, magari con una sensazionale scoperta di una fonte di energia inesauribile e pulita o con la colonizzazione dello spazio galattico dalle infinite risorse. 

Da qui la mia proposta di agire contemporaneamente sui tre livelli differenti. Dato che lo spirito rappresenta la base deve avere solide fondamenta, una condizione necessaria ma non sufficiente, poiché sullo spirito deve poggiare una cultura, e anch’essa deve garantire solidità per poter sostenere la tecnica, che a sua volta dovrà essere ripensata per essere sostenibile. A suo modo ogni livello deve avere una sua solidità strutturale, ma allo stesso tempo deve tener in considerazione l’interdipendenza e la coerenza con gli altri livelli. 

Il Buddismo definisce l’epoca in cui stiamo vivendo una “epoca impura” in quanto la condizione spirituale dell’uomo si è inaridita e il mondo intero è dominato dai cosiddetti “tre veleni” di avidità, stupidità e collera. I tre veleni sono scatenati dalla parte oscurata dello spirito umano e sono alla base delle guerre, delle ingiustizie, delle sofferenze e in ultima analisi anche della distruzione del nostro pianeta. Il Buddismo di Nichiren Daishonin riconosce nell’essere umano il potenziale di trasformare il proprio spirito tramite una riforma interiore che è in grado di apportare un cambiamento concreto nella realtà e che si manifesta attraverso la saggezza, la compassione e il coraggio, un processo a cui viene dato il nome di Rivoluzione Umana. Scrive Daisaku Ikeda: «Per quanto complesse possano sembrare le questioni a livello globale, non dobbiamo dimenticare che siamo noi ad averle create. Dunque è impossibile che la loro soluzione sia al di là del nostro potere di esseri umani. Dobbiamo ripartire dalla nostra umanità, riformando e facendo emergere le nostre capacità: questo tipo di rivoluzione umana individuale può portare a un’effettiva riforma su scala globale». 

La filosofia buddista può inoltre apportare un contributo significativo anche dal punto di vista culturale in quanto negli insegnamenti buddisti sono presenti molti concetti che possono aiutare a gettare le basi di una società della decrescita felice, o della sostenibilità. Tra questi concetti c’è il principio di origine dipendente, che considera tutte le cose, tutti i fenomeni interdipendenti e perciò inseparabili dal loro contesto. In particolare i cosiddetti principi di non dualità: ovvero l’unicità di fenomeni apparentemente opposti e separati, quali ad esempio, la vita e l’ambiente, il corpo e la mente, la vita e la morte. La vita e l’ambiente sono solo in apparenza due entità distinte e separate, “due ma non due”, in quanto si manifestano come realtà distinte ma di fatto sono due espressioni di una stessa entità, un po’ come le due facce di una medaglia. Questo principio, che trova conferma anche nelle teorie della fisica moderna (entanglement), se messo come presupposto di partenza, sarebbe sufficiente da solo a sostenere qualsiasi teoria sull’ecologia, dato che la difesa e la preservazione dell’ambiente andrebbe a coincidere esattamente con la difesa e la preservazione della vita. Altri concetti chiave, sui quali non mi soffermo adesso, come quelli dell’impermanenza, dell’eternità della vita e dei desideri terreni, possono dare un prezioso contributo alla creazione di una nuova cultura, una nuova visione del mondo. 

Ritornando al titolo del libro: Ritorno all’Origine. Esso racchiude proprio il senso di questo cambiamento globale, di questo ripensamento su più livelli: spirituale, culturale e pratico. Secondo il Buddismo l’uomo è capace di attingere a un enorme potenziale di energia creativa, di gioia illimitata, una condizione illuminata che esiste da sempre nella profondità della vita. Si tratta proprio della nostra condizione di origine. Per questo siamo in grado di “fare ritorno” a questa “origine”, al cuore profondo della vita, proprio come se fosse un luogo dove già siamo stati ma di cui ci siamo dimenticati la strada. Afferma Makiguchi, primo presidente della Soka Gakkai: «Quando perdete l’orientamento fate ritorno nel luogo dove vi siete incamminati».

Ritornare alla saggezza e alla compassione intrinseca custodita nella profondità della vita ci permetterà di fare quel salto evolutivo necessario, non solo per uscire da una situazione critica come quella attuale, dove la crisi è economica, ambientale e sociale, ma anche e soprattutto di realizzare nel contempo un futuro di felicità e pace, diffuse e durature.