«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 23 settembre 2015

Ciò che è invisibile, non è detto che non esista




Il nostro problema principale , come società occidentale, è quello di credere che ciò che non si vede, o che comunque non può essere percepito attraverso i sensi, non esista.

Vale per l’inquinamento, spesso invisibile, incolore e inodore, inconsistente perché sotto forma di gas, oppure di radiazioni.Vale anche per tutti quei beni immateriali che arricchiscono e nutrono la vita, come: le relazioni d’amore, l’affetto, la passione, l’amicizia, la pace, il benessere, spesso non considerate o dati per scontati. Allo stesso modo sono invisibili purtroppo anche molti effetti del nostro comportamento quotidiano, così come sono invisibili le relazioni tra cause ed effetti, o meglio la fitta rete di interrelazioni. 

Consideriamo ad esempio un prodotto economico. A confronto con la stessa tipologia di prodotto, che ha costo maggiore, magari anche del doppio, ci chiediamo subito perché costa così tanto questo? 

Ma la vera domanda da porsi sarebbe quella opposta: perché costa così poco l’altro?

Ad esempio come fa un viaggio in aereo a costare meno della metà di un viaggio in treno, magari con tratta minore? Come fa un chilo di verdura del supermercato a costare meno della metà di un chilo di verdura biologica del piccolo produttore?

Un economista vi risponderà subito con termini come economie di scala o con strategie di marketing che permettono di abbattere i costi e aumentare la produttività. Io non sono un economista, e non negherò che ciò sia vero. Ma credo fermamente che i costi di produzione non possano essere abbattuti oltre un certo limite e che per spingersi oltre è inevitabile che i costi economici si trasformino in costi di altro genere, non più a carico delle aziende, ma della società intera e dell’ambiente. Per questo potremmo, e dovremmo, parlare di costi sociali e costi ambientali, che purtroppo sono spesso difficilmente individuabili, sono come invisibili. 

Lo sappiamo che il denaro è una convenzione? Cioè che la moneta non ha nessun valore intrinseco? Questo mi sembra evidente. Con una banconota da cento euro si fa ben poco, si può usare per scriverci sopra o come combustibile per scaldarci un po’ o cuocere qualcosa. In tal senso, allora, valgono molto di più venti banconote da cinque euro che una da cento. 

Questa economia globalizzata e globalizzante sta facendo ricadere i costi di produzione sull'ecosistema, e nient’altro. Ovvero sulla vita, sulla cosa più preziosa che esista. È e sarà la vita, e le sua fondamenta, a pagare tutti i costi invisibili che stiamo accumulando. Dobbiamo divenirne consapevoli. L'unico capitale che esiste è quello naturale, non ce ne sono altri.

giovedì 17 settembre 2015

Come crearsi un progetto di vita e vivere felici - ebook di Matteo Majer - con prefazione di Maurizio Pallante


È uscito il primo libro di Matteo Majer sulla crescita personale, che farà parte di una collana di ebook su come attuare "in pratica" la decrescita tutti i giorni. L'altro testo della collana è Andare a piedi e in bicicletta che ho scritto con Raffaele Basile. 
Matteo Majer, forte della sua esperienza personale, ci condurrà passo passo attraverso un percorso di scoperta di sé e di realizzazione personale, ma non quella indotta da qualche agente esterno, bensì quella propria, quella costruita da noi e per noi. 

Buona lettura!! 

Di seguito la prefazione che Maurizio Pallante ha scritto per questo ebook. 


“C’è solo un tipo di successo: quello di fare della propria vita ciò che si desidera”. 
H. D. Thoreau 


La prefazione di Maurizio Pallante

Non sono uno specialista, ma solo un modesto conoscitore della materia trattata in questo libro da Matteo Majer, per cui quando mi ha chiesto di scriverne una prefazione mi sono un po’ stupito. Mi sono però bastate poche pagine per capire che evidentemente mi conosce meglio di quanto io non credessi – del resto è il suo mestiere – e ha capito che c’è una profonda sintonia tra le sue e le mie scelte esistenziali. Perché di questo si tratta: non di un manuale scritto soltanto sulla base di una competenza tecnica, ma di un lavoro che scaturisce da una riflessione sulla sua esperienza di vita, sul suo percorso personale fuori dagli schemi, che lo ha portato a vivere e a lavorare in modi inusuali rispetto a quelli che ci si aspetterebbe da un professionista con la sua specializzazione, ma rispondono alle sue esigenze. E anche io mi sono sempre sentito soffocare da un sistema di valori e da modelli di comportamento che tendono a rinchiuderci in un ruolo ben definito, a uniformare le nostre scelte e le nostre aspettative, a omologarci, per ripetere un verbo caro a Pier Paolo Pasolini. Ho sempre vissuto a disagio in questa società che condiziona profondamente gli individui inducendoli a comportarsi in modo competitivo, anzi a ritenere che la competizione sia il modo naturale di rapportarsi con gli altri, che utilizza in maniera massiccia e senza scrupoli gli strumenti della comunicazione di massa, l’esempio degli altri, le istituzioni, la pubblicità, un sistema ben oliato di punizioni e premi per lo più economici, per rattrappire la ricchezza e l’irripetibilità di ogni individuo sulla sola dimensione del produttore e del consumatore di merci. Andando avanti nella lettura mi è venuta alla mente in modo naturale una frase di Gandhi che ho preso come modello per le mie scelte di vita e per il mio impegno nel Movimento per la decrescita felice: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. La scelta che mi accomuna con Matteo, quella di spendere un po’ delle nostre energie in questo movimento, parte dalla consapevolezza che quando parliamo di decrescita, non intendiamo riferirci a una teoria economica, che può apparire stravagante perché non si sente che ripetere come un mantra la parola crescita, ma stiamo facendo un atto di disobbedienza civile, stiamo affermando un’autonomia di pensiero, esprimiamo una concezione del mondo e una filosofia di vita. E lo facciamo perché siamo convinti che la società in cui viviamo non ha futuro, perché porre a fine delle attività produttive la crescita della produzione, oltre a essere un’utopia negativa, una distopia, è anche un non senso. Come si può pensare a una crescita infinita in un mondo che, per quanto grande, è finito? Che senso può avere un fare finalizzato a fare sempre di più? Come si può fermare questa corsa verso il baratro? Come si può tacitare il pifferaio che sta portando l’umanità verso la catastrofe? Il libro di Matteo è una risposta a queste domande da un punto di vista specifico: quello dei cambiamenti individuali da attuare. Come se ne potrebbe fare a meno? Non sarà certo la politica a salvarci. Su questo credo che non ci siano parole da spendere. Ma non sarà nemmeno soltanto un impegno nella società civile, un’elaborazione teorica finalizzata a indicare soluzioni pratiche in ambito tecnologico, energetico, urbanistico, agricolo, sociale, economico ecc. Tutto questo è importante ma non sufficiente se non sarà accompagnato da profondi cambiamenti negli stili di vita individuali. Pare che questa sia la cosa più difficile da fare, ma basta pensare a quanto sono cambiati gli stili di vita negli ultimi settant’anni, dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi, per capire che non è impossibile. Se li abbiamo cambiati una volta, non possiamo farlo di nuovo? Si potrà obiettare che il cambiamento iniziato negli anni cinquanta del secolo scorso è stato sostenuto da un impressionante schieramento di agenzie sociali, da ingenti finanziamenti, da professionisti superpagati. E chi si propone di capovolgere questa situazione non ha neanche una parte infinitesimale di quei mezzi. In realtà le persone cambiano i propri stili di vita se intravedono prospettive più desiderabili. E di prospettive più desiderabili ce ne sono già, ma la maggior parte delle persone, anche quelle che vivono in uno stato di disagio esistenziale molto forte, non le vedono perché non sono abituati a vedere dentro di sé. Col suo libro di Matteo si propone di aiutare le persone a vedere dentro di sé, a conoscere le proprie potenzialità di cambiare strada, di vivere in maniera più adeguata alle loro esigenze. Di essere se stessi. Di conoscere quanto li rende unici e irripetibili. Di fare scelte esistenziali che rispondono alle loro esigenze profonde. Cosa ci può essere di più desiderabile che vivere in modi rispondenti alle proprie esigenze più profonde? “Sii il cambiamento...”. Fin qui lo psicologo, il coach, il motivatore ci arrivano con le proprie competenze professionali. Basta l’etica per utilizzarle non per anestetizzare il disagio di chi li interpella e consentirgli di riprendere a seguire con meno problemi i comportamenti stabiliti per il suo ruolo sociale, ma per aiutarlo a capire cosa risponde alle sue esigenze e motivarlo a compiere le scelte necessarie a seguirle. Ma la seconda parte della frase di Gandhi implica un impegno sociale che non può essere assolto individualmente dallo specialista. Non basta aiutare gli individui a liberarsi dai condizionamenti sociali e culturali che li spingono a seguire comportamenti massificati ed eterodiretti, occorre anche intervenire per cambiare la società che crea quei condizionamenti e causa i disagi esistenziali. Col suo libro Matteo dà un contributo anche a questo aspetto, quando racconta le storie di chi ce l’ha fatta a cambiare drasticamente, di chi ce l’ha fatta a essere se stesso e come ha fatto a farcela. Perché le esperienze riuscite hanno una capacità di far riflettere, e di incoraggiare, più di tante parole. Basta ricordare la frase di Gandhi che precede quella riportata: “Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni”. Ma non si limita a questo. Chiedendomi di scrivere la prefazione al suo libro, vuole dare un’indicazione precisa ai suoi lettori. Vuole rendere esplicito che le sue riflessioni sono un tassello di una ricerca più ampia, finalizzata a costruire un paradigma culturale alternativo rispetto a quello delle società che hanno ridotto gli esseri umani a mezzo di un sistema economico che ha come fine le cose: la crescita della produzione di merci. Società che sono arrivate al loro capolinea della storia, come documenta principalmente il livello raggiunto da tutti i fattori della crisi ambientale: emissioni di CO2, quantità di rifiuti non biodegradabili, anticipazione dell’overshoot day al 15 agosto, picco del petrolio, emissioni di sostanze inquinanti, contaminazioni nucleari, riduzione della biodiversità, mineralizzazione dei suoli agricoli eccetera. Quando una fase della storia si chiude, il paradigma culturale su cui ha omologato i modi di pensare e il sistema dei valori degli esseri umani, entra in crisi e cominciano a emergere frammenti di una cultura alternativa in tutti i campi del sapere. Quello è il momento in cui occorre tentare di metterli insieme per costruire una visione alternativa del mondo. Chiedendomi la prefazione, in quanto esponente di un movimento che si è posto l’obiettivo di favorire i collegamenti tra i contributi settoriali che stanno emergendo, Matteo ci vuol dire che la sua ricerca è uno di questi contributi e che desidera collegarla con gli altri che stanno emergendo. 

Maurizio Pallante

martedì 1 settembre 2015

La pedagogia delle catastrofi



«Le ineluttabili disfunzioni della megamacchina (contraddizioni, crisi, grandi rischi tecnologici, disfunzioni) sono fonte di insopportabili sofferenze e causano disastri che è necessario deplorare. Si tratta, nondimeno, di occasioni utili per prendere coscienza della reale situazione in cui viviamo, per metterla in discussione e rifiutarla, se non addirittura per ribellarsi»

Serge Latouche 

Le catastrofi dovrebbero far riflettere sulle loro cause e facilitare dei cambiamenti, se ci occupiamo solo degli effetti non cambierà nulla, tutt'al più peggiorerà. Questo vale quando le cause sono attribuibili al comportamento dell'uomo. È questo il caso degli stravolgimenti climatici (cambiamenti non è a mio avviso il termine adatto) che si stanno verificando in tutto il globo, in modo sempre più visibile col passare del tempo. Non ci sono evidenze scientifiche dirette che comprovino la relazione tra questi avvenimenti tragici e l'impronta ecologica umana: ognuno si dà la spiegazione che vuole, e si creerà la visione che preferisce. Da parte mia, non ho bisogno di prove scientifiche dimostrabili per comprendere che l'uomo sta degradando il suo ambiente e quindi se stesso, in modo diretto o indiretto, consapevole o inconsapevole che sia. Come non ho bisogno di dimostrazioni scientifiche per capire che un inceneritore è una follia, che incendiare i rifiuti di un'economia che depreda le risorse naturali a un ritmo sempre più incalzante è sacrilego, a prescindere di quanto siano buoni e tecnologicamente avanzati i sistemi di abbattimento degli inquinanti emessi.

Il cataclisma che si è abbattuto a Firenze il primo agosto, una vera e propria catastrofe ben localizzata in un'area ristretta, potrebbe essere una buona occasione per tutti. Una buona occasione da cogliere, politicamente, culturalmente, umanamente, per fare una riflessione, per mettere in discussione, anche solo per un attimo, qualcosa che per noi fino ad oggi è stato del tutto scontato. Perché nasca forse un dubbio, una minima incertezza che sia capace di farci fare un passo indietro, o quantomeno ci faccia sostare un attimo a riconsiderare cos'è la nostra vita, e cosa vale la pena farne. 

Tre uragani in dieci mesi, nel solo Comune di Firenze, tre eventi climatici senza precedenti: provate a chiedere ai più anziani. Venti oltre i centocinquanta chilometri orari, pioggia di intensità inimmaginabile. Davanti a questi eventi, parlare di prevenzione fa quasi ridere: non siamo abituati a certe manifestazioni, e il guaio è che dovremmo farlo molto rapidamente, senza tuttavia poter controllare la forza bruta di Madre Natura quando si scatena in modo così intenso. Le cause di molte delle catastrofi ambientali che si stanno verificando solo in parte sono attribuibili alla mancata prevenzione, alla manutenzione del territorio, quanto a un vero e proprio stravolgimento ambientale provocato da decenni e decenni di sviluppo incosciente. 

Di fronte a tale evidenza, molti cercano spiegazioni negazioniste (l'ultima che ho sentito: "questi eventi si sono sempre verificati, magari avvenivano nei boschi e nessuno ci faceva caso") oppure anche se in certi casi si riconosce le nostre responsabilità non si va oltre all'intervento sugli effetti delle catastrofi, mai si arriva alla causa ultima. Il motivo di ciò è che non si considera minimamente concepibile un ripensamento dei dogmi su cui la società dei consumi è stata fondata ed ha prosperato. Non ci sono alternative. L'unica alternativa è tornare indietro, regredire verso l'età della pietra, come se ci muovessimo su una linea retta in cui le uniche possibilità fossero procedere avanti o andare indietro. 

Effettivamente l'attuale sistema economico viaggia su un binario ben preciso, che può condurre solo al baratro, ma per fortuna abbiamo la possibilità di rallentare il nostro treno e, quando saremo in grado, di scenderne per proseguire il nostro cammino verso infinite direzioni. La vita è questa. Non è un binario a senso unico, dove esiste un'unica certezza, il dogma della crescita infinita, e nessuna possibilità. La vita è uno spazio aperto, fatto di innumerevoli percorsi alternativi, dove non c'è nessuna certezza, ma "soltanto" infinite possibilità. 



Un programma per la decrescita 
(estratto da "La scommessa della decrescita" di Serge Latouche)

1) Tornare a un impatto ecologico sostenibile per il pianeta, ovvero a una produzione materiale equivalente a quella degli anni sessanta - settanta

2) Internalizzare i costi dei trasporti

3) Rilocalizzare le attività

4) Ripristinare l'agricoltura contadina

5) Trasformare l'aumento di produttività in riduzione del tempo di lavoro e creazione di impieghi, fio a quando esiste la disoccupazione

6) Incentivare la "produzione" di beni relazionali

7) Ridurre lo spreco di energia di un fattore 4

8) Penalizzare fortemente le spese per la pubblicità

9) Decretare una moratoria sull'innovazione tecnologica, tracciarne un bilancio serio e orientare la ricerca scientifica e tecnica in funzione delle nuove aspirazioni


Fotografia scattata sul Lungarno Colombo a Firenze, il giorno dopo il fortunale del primo agosto