«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 25 marzo 2015

Ellul per la decrescita


«Conosciamo tutti, e in tutti i campi, l'ossessione della crescita. La crescita è buona in sé. Non ci si chiede né: crescita di cosa? Né: la crescita è utile? Né: a chi servirà la crescita? E nemmeno: cosa faremo di tutte queste eccedenze? Nessun tornaconto, la crescita si giustifica da sé»

Jacques Ellul 


Jacques Ellul è sicuramente tra i principali precursori della decrescita vissuti nello scorso secolo. Sociologo e teologo francese, critico del sistema tecnico moderno e maestro di un altro grande nome inevitabilmente accostato alla decrescita: Ivan Illich. 

Il pensiero di Ellul che contribuisce maggiormente alla critica mossa dal movimento degli obiettori di crescita si ritrova soprattutto nel suo lavoro di analisi del modello economico industriale e del ruolo chiave che in esso svolge la tecnica. Ellul attribuisce alla tecnica, e all'uso che ne viene fatto, la causa di molti problemi della società moderna, e pone l'accento su come la tecnica sia stata capace di dominare le scelte umane, lasciandosi dietro sempre quell'alone di illusione che ci fa credere che sia in ogni caso l'uomo a controllare la tecnica e non il contrario. 

Non manca di sottolineare le varie contraddizioni che emergono, sempre più evidenti, di un sistema che si dice basato sulla razionalità ed il calcolo, mentre nella sua deriva totalitaria perde ogni logica e finisce per essere incoerente. Ellul è consapevole che «siamo condizionati a tal punto che adottiamo immediatamente tutte le nuove tecniche senza interrogarci sulla loro eventuale nocività. A inquietare non è la tecnica in sé, ma il nostro atteggiamento nei suoi confronti». E di come «si produce ciò di cui non si ha alcun bisogno, che non corrisponde ad alcuna utilità, ma lo si produce perché esiste la possibilità tecnica di farlo, e bisogna sfruttare tale possibilità tecnica, bisogna inesorabilmente e assurdamente imboccare questa direzione. Allo stesso modo si usa il prodotto di cui non si ha alcun bisogno, in modo altrettanto assurdo e inesorabile».

La sua posizione è una posizione radicale, di netto superamento di un sistema economico-industriale che non si può adattare, non si può rendere più "green" e più sostenibile. L'unica via di uscita è un ripensamento totale dell'attuale sistema che è intrinsecamente insostenibile e che, nonostante il più sfegatato ottimismo nel progresso tecnico, non potrà che condurre alla catastrofe: «Immaginate una macchina in cui uno dei passeggeri pensi che essa stia andando troppo velocemente e che bisognerebbe frenare e, quindi, forse fermarsi. Il guidatore, tuttavia, inebriato dalla velocità, si rifiuta di ascoltare l'avvertimento e prosegue finché sbatte contro un muro. L'auto si è comunque fermata, ma non nelle stesse condizioni! È proprio ciò che stiamo vivendo da vent'anni».

Ellul giunge dunque a concepire un cambiamento basato sull'abbandono della crescita ad ogni costo, su un approccio alla vita più lento, più dolce, più sobrio e rilassato, arrivando «così a ciò che Jouvenel chiamava amenità, Friedmann saggezza, Illich convivialità, che sono la stessa cosa». Per Ellul questo cambio di rotta non sarà privo di rinunce, ritiene infatti che «bisogna uscire dal circolo infernale consumo-produzione, anche se ciò dovesse sconvolgere le nostre abitudini quotidiane e ridurre il nostro tenore di vita». 

Non crede nella forza della politica come propulsore del cambiamento e arriva a concludere che «l'unico obiettivo possibile della rivoluzione è lo sviluppo della coscienza». La presa di coscienza diventa perciò causa e fine ultimo del cambiamento. Riferendosi alla questione della società della crescita, egli scrive: «Una vera presa di coscienza di questo problema implica un cambiamento di vita radicale, la rinuncia a certe comodità, e, perché nasconderlo, il ritorno a una certa frugalità».

A fianco della presa di coscienza, l'ingrediente imprescindibile, Ellul affianca anche lo sviluppo di una propria spiritualità, un atteggiamento contemplativo come atto individuale, «infatti, il punto estremo di rottura nei confronti della società tecnologica, l'atteggiamento veramente rivoluzionario, sarebbe l'atteggiamento della contemplazione al posto dell'agitazione frenetica».

fonte foto: wikipedia


lunedì 23 marzo 2015

Elogio della poesia - Gabriele D'Annunzio



«Il verso è tutto. Nella imitazion della Natura nessuno strumento d'arte è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obbediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d'un fluido, più vibrante d'una corda, più luminoso d'una gemma, più fragrante d'un fiore, più tagliente d'una spada, più flessibile di un virgulto, più carezzevole d'un murmure, più terribile di un tuono, il verso è tutto e può tutto. Può rendere i minimi moti del sentimento e i minimi moti della sensazione; può definire l'indefinibile e dire l'ineffabile; può abbracciare l'illimitato e penetrare l'abisso; può avere dimensioni d'eternità; può rappresentare il soprumano, il soprannaturale, l'oltramirabile; può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; può nel tempo medesimo posseder il nostro intelletto, il nostro spirito, il nostro corpo; può infine, raggiungere l'Assoluto. Un verso perfetto è assoluto, immutabile, immortale; tiene in sé le parole con la coerenza di un diamante; chiude il pensiero come in un cerchio preciso che nessuna forza mai riuscirà a rompere; diviene indipendente da ogni legame da ogni dominio; non appartiene più all'artefice, ma è di tutti e di nessuno, come lo spazio, come la luce, come le cose immanenti e perpetue. Un pensiero esattamente espresso in un verso perfetto è un pensiero che già esisteva preformato nella oscura profondità della lingua. Estratto dal poeta, seguita ad esistere nella coscienza degli uomini. Maggior poeta è dunque colui che sa discoprire, disviluppare, estrarre un maggior numero di codeste preformazioni ideali. Quando il poeta è prossimo alla scoperta d'uno di tali versi eterni, è avvertito da un divino torrente di gioia che gli invade d'improvviso tutto l'essere»

Gabriele D'Annunzio - Il piacere
Foto di Nicola Salerni

martedì 10 marzo 2015

Castoriadis per la decrescita




«Dovremmo volere una società in cui i valori economici non siano più centrali (o unici), in cui l'economia sia rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo, in cui dunque si rinunci alla corsa folle verso un consumo sempre maggiore. Questo è necessario non solo per evitare la distruzione definitiva dell'ambiente terrestre, ma anche e soprattutto per uscire dalla miseria psichica e morale degli umani contemporanei»

Cornelius Castoriadis 


Sono molti i punti del pensiero di Cornelius Castoriadis che si avvicinano a quello degli obiettori di crescita. Primo fra tutti, il suo netto rifiuto dell'ideologia della crescita come unico mezzo di un sistema "che pretende di essere inevitabile o addirittura il migliore dei sistemi possibili", parole sue. Afferma ancora con chiarezza che "non vogliamo un'espansione illimitata e non ponderata della produzione, vogliamo un'economia che sia un mezzo e non il fine della vita umana", mentre "vogliamo una libera espansione del sapere ma accompagnata da phronesis", termine che possiamo tradurre con saggezza. 

Per Castoriadis la questione di una vera democrazia è fondamentale, e una tale democrazia può essere soltanto una democrazia diretta, in cui il cittadino abbia gli strumenti per partecipare e decidere responsabilmente. La democrazia rappresentativa non può servire a condurre il cambiamento di cui parla, perché il potere decisionale viene tolto dalle mani dei cittadini per essere affidato a dei rappresentanti che non fanno altro che pensare a consolidare la propria posizione di privilegio e a creare le condizioni favorevoli per mantenerla nel tempo. Usando le sue parole, "abbiamo bisogno di una vera democrazia, che instauri nel modo più largo possibile processi di riflessione e deliberazione, a cui partecipino tutti i cittadini. Questo, a sua volta, è possibile solo se i cittadini dispongono di una vera informazione, di occasioni per esercitare nella pratica il loro giudizio". La società dell'autonomia consiste nell'essere in grado di darsi le regole da rispettare, ma soprattutto nella consapevolezza della propria autodeterminazione, si caratterizza cioè "per la capacità di riconoscersi come fonte di forme nuove". Questo tipo di visione di società non può che essere il fondamento su cui costruire una società della decrescita.

Altro punto che avvicina molto Castoriadis al movimento culturale della decrescita è il superamento delle ideologie dello scorso secolo e la capacità culturale di andare oltre alle divisioni partitiche; in particolare sul ruolo del soggetto rivoluzionario Castoriadis scrive: "non si può più dire che il proletariato abbia storicamente il compito della trasformazione della società. La trasformazione della società esige la partecipazione di tutta la popolazione, e tutta la popolazione può essere resa sensibile a tale esigenza – a eccezione forse di un 3-5 per cento di individui inconvertibili". Il cambiamento della società non è affidato a una classe sociale specifica, ma è necessario che ogni singolo individuo sia partecipe e attivo, andando oltre la logica del partito politico delimitato da un programma politico e da una ideologia, mettendo al centro invece una nuova visione culturale che sia in grado di realizzare una rivoluzione concreta: "non si chiede agli ecologisti di costituirsi in un partito; gli si chiede di vedere con chiarezza quanto le loro posizioni mettano in discussione, giustamente, l’insieme della civiltà contemporanea e che ciò che sta loro a cuore è possibile solo al prezzo di una trasformazione radicale della società".

Proclamando questo suo messaggio utopico, Castoriadis è consapevole della contraddizioni in termini di tutte le rivoluzioni fino ad oggi sperimentate dall'uomo che, alla fine del loro corso, solitamente finiscono per restaurare automaticamente lo stato di partenza (un po' come ricorda il termine stesso "rivoluzione", come qualcosa che si rivolta, ritornando su se stesso). È consapevole perciò che il cambiamento di cui abbiamo bisogno in questa epoca deve essere netto e che debba trattarsi di un movimento di trasformazione della società che non potrà poggiarsi sulle sue fondamenta ma che avrà bisogno di presupposti nuovi e indipendenti: "Qualsiasi movimento parziale non solo può essere recuperato dal sistema ma, finché il sistema non è abolito, contribuisce in qualche modo alla continuazione del suo funzionamento. L'ho potuto dimostrare, già da tempo, sull'esempio delle lotte operaie. Nonostante tutto, il capitalismo ha potuto funzionare non malgrado le classi operaie, ma grazie ad esse".

Compra libro


Fonte foto wikipedia

lunedì 9 marzo 2015

Il prezzo che dobbiamo ancora pagare


Ripropongo una poesia del 2010, mai attuale come oggi alla vigilia della bufera dall'intensità mai vista prima, che ha provocato molti danni in tutta la Toscana. Ovviamente questo è solo uno dei tanti piccoli anticipi che siamo costretti a pagare, il conto, il saldo totale sarà di gran lunga più pesante da sostenere.


Apriamo il rubinetto ed esce acqua
premiamo l'interruttore e abbiamo luce
regoliamo il termostato e ci riscaldiamo
apriamo il gas e cuciniamo
prendiamo l'auto e ci spostiamo
usiamo computer e cellulari e comunichiamo
entriamo in un supermercato e ci riforniamo

Tutto è alla nostra portata
facciamo piccoli gesti
e otteniamo ciò che desideriamo

Non ci rediamo conto però
che il prezzo che dobbiamo ancora pagare
per tutto questo
è elevatissimo.