«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 3 aprile 2013

Il mondo degli esperti e dei tuttologi



Si fa sempre un gran parlare di esperti, specialmente in questi ultimi tempi. Voce agli esperti per risolvere i problemi, serve l’esperto in materia che ci illumini la via, l’esperto sa che cosa è giusto fare, lasciamo a lui l’ardua sentenza.
Io credo che se ci troviamo in una situazione di crisi strutturale è proprio perché abbiamo delegato le nostre vite ai super esperti, ai tecnici in materia, che tutto sanno e tutto hanno visto nel loro settore di interesse. L’esserci affidati alla superspecializzazione degli esperti ci ha condotto a una crisi di identità, prima ancora che a una vera e propria crisi culturale. Il super-sistema mondiale è governato da menti eccelse, con strumenti super potenziati che solo loro sono in grado di capire e di gestire, dobbiamo fidarci e affidarci, loro sanno dove mettere le mani, sanno che cosa fare in ogni situazione. L’esperto è riconosciuto, in quanto tale, da tutta la società, si può non essere forse d’accordo con lui, si può persino odiarlo e ripudiarlo, ma non si può disconoscere il suo stato di esperto perché il sistema lo ha generato e lo dovrà custodire per la sua sopravvivenza.
Dall’altra parte ci sono, in antitesi, i tuttologi che tutto sanno e tutto hanno visto, non in una specifica materia, ma in tutte quante. Sanno tutto di tutto e pretendono di dare la loro sentenza su qualsiasi argomento si vada trattando. Sono gli esperti di tutto, come dire di nulla. Il mondo né è pieno, basta guardarsi attorno con un po’ di curiosità per scoprirne uno in ogni ambiente, uno in ogni circostanza. I cultori di tuttologia stanno aumentando e quando due di loro si incontrano hanno solo due scelte: essere d’accordo praticamente su tutto lo scibile, o farsi guerra sulla minima sciocchezza.
Sia che si parli di tuttologi o di esperti l’aspetto che salta agli occhi è la spiccata tendenza all’arroganza e all’egocentrismo, entrambi aspetti che nel buddismo hanno a che fare con il mondo di collera e il mondo di apprendimento, intimamente connessi tra di loro. Questa condizione vitale influenza le nostre esistenze in modo pesante, impendendo una creazione di valore che riguardi la felicità e il benessere di tutti, favorendo invece il degrado e l’antagonismo.
Il modo per superare l’egemonia dell’esperto e l’invadenza del tuttologo è quello di riscoprire un termine squisito ed esplicito come quello di umiltà. Il concetto di umiltà oggi, assieme ad altri come per esempio il termine sobrietà, è stato affossato negativamente paragonandolo ai concetti di sottomissione, insicurezza, debolezza. Abbiamo bisogno di ricostruire culturalmente la visione dell’umiltà: non come mancanza di forza, e quindi come condiscendenza, tutt’altro come grande energia interiore e  determinazione, uno stato in cui sperimentare la gioia dell’assenza di conflittualità interiore e di conseguenza esteriore.
Questo passaggio spirituale indispensabile ci permetterà di occuparci delle nostre vite: che sia la politica, che sia l’economia, che sia la salute, l’arte, la cultura, la letteratura, la tecnica. Smettendo di dare la nostra delega cieca all’esperto di turno, torneremo a decidere il nostro presente e il nostro futuro, superando il conflitto e la separazione. 

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