«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 26 settembre 2011

Cosa ci aspetta nel prossimo futuro

Terza parte dell'articolo uscito sulla rivista Buddismo e Società numero 148 (settembre-ottobre): http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/


Sono finiti i tempi dell’abbondanza, dell’indifferenza e dell’incoscienza. Se vogliamo evitare disastri ecologici, malattie, carestie, alluvioni, uragani, valanghe, guerre, aumento del nazionalismo, delle dittature, del razzismo, scene di violenza atroce sempre più frequenti e diffuse globalmente dobbiamo decidere profondamente di assumerci a pieno la responsabilità come singoli individui e guardandoci nell’animo dobbiamo trovare il coraggio e la forza per affrontare un percorso di radicale e sostanziale cambiamento nel nostro modo di pensare, di vivere, di consumare, di lavorare, di prendere scelte difficili, di fare sacrifici, di metterci in discussione con umiltà in continuazione, di ascoltare il parere degli altri senza arrivare a conclusioni affrettate, ed essere determinati a rispettare la vita in tutte le sue forme, a gridare con voce decisa davanti alle ingiustizie, a mettere da parte le proprie sicurezze e le proprie ambizioni mondane per ricercare la realtà ultima delle cose e la felicità assoluta nella propria stessa vita, piccola e semplice.

Se non agiamo in questa direzione le cose peggioreranno a un ritmo crescente, i disastri saranno una conseguenza inevitabile, mentre la crisi che abbiamo di fronte è la nostra grande occasione, è una benedizione, come dice lo stesso Albert Einstein: «è nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato» [11].

Molte persone si sono già risvegliate, molte persone si stanno accorgendo che c’è qualcosa di malato in questo mondo, altre persone si sono già messe a lavoro da anni. Al momento i governi e la politica in generale non stanno facendo nessuno sforzo in questa direzione, non esiste neanche la minima volontà, né una vaga idea al riguardo. Il concetto comune che regna è quello di affrontare l’attuale grande crisi, in tutti gli ambiti, usando la stessa strategia adottata fino ad ora: sviluppo, produzione, crescita, consumo, rifiuti e di nuovo da capo. La verità è che non esiste la volontà di cambiare, o almeno di pensare diversamente, o anche solo sforzarsi di immaginare un’alternativa, un modo diverso di affrontare una tale crisi. 

Per questi motivi la rivoluzione che metteremo in atto avrà al suo centro l’essere umano stesso nella sua intima profondità, così che non ci possano essere più vie di fuga, ma solo una preziosa occasione per tutti quanti: una rivoluzione dell’umanità.

Un movimento che partirà dalle persone comuni, dal loro desiderio di cambiare, non necessariamente sarà un processo lento, piuttosto sarà dinamico e dirompente. Saranno l’unità di intenti e l’ardore, il calore, l’energia, il fuoco vivo del desiderio racchiuso nel cuore delle persone ad aprire la strada per un mondo migliore. Finché la passione ardente del desiderio di cambiare sarà custodita nel cuore delle persone, anche di una sola, il nostro futuro potrà essere illuminato dalla speranza. Il futuro e il sogno sono dentro di noi, in uno stato di latenza. Così come un grande albero è già contenuto in un piccolo seme, il sogno di un mondo migliore è racchiuso nei nostri cuori. Il potenziale esiste già dentro di noi. 

Non ci resta altro che farlo fiorire in tutto il suo splendore. 

«Potremmo dire che l’universo stesso ha dato all’umanità la missione di proteggere il complesso sistema ecologico della Terra e di contribuire alla creazione di valore nella biosfera. Di conseguenza, se il senso di questa alta missione orientasse tutte le ricerche tecnologiche e scientifiche, i sistemi sociali, la politica e l’economia, scopriremmo il modo più sinceramente umano – nel senso migliore del termine – per risolvere i nostri problemi ambientali». Daisaku Ikeda [6]


Riferimenti bibliografici:

1] Armaroli Nicola , Vincenzo Balzani – Energy for sustainable world – Wiley and sons
2] Bartolini Stefano – Manifesto per la felicità – Donzelli Editore
3] Buddismo e Società n. 132
4] Georgescu-Roegen Nicholas – Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile – Bollati Boringhieri
5] Gesualdi Francesco – Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti per tutti – Feltrinelli Editore
6] Ikeda Daisaku – Vita e ambiente una prospettiva buddista – SGI Quarterly luglio 2010
7] Latouche Serge – La scomessa della decrescita – Feltrinelli Editore
8] Ridoux Nicolas – La decrescita per tutti – Jaca Book
9] Thich Nhat Hanh – L’unico mondo che abbiamo – Terra Nuova Edizioni 
10] Hamilton Robert – Come salvare il mondo in 200 piccole mosse – Leggere Editore
11] Einstein Albert – La crisi secondo Albert Einstein

giovedì 22 settembre 2011

Il viaggio che ti porta più lontano è quello dentro di te

[Per una critica del viaggio (… d’evasione)]




Pensiamo a tutti i voli che partono e atterrano ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. In tutto il mondo merci e persone si spostano a velocità elevatissime, spesso fanno giri incredibili per tornare poi al punto di partenza, spesso inutilmente. Le offerte last minute si spingono in ogni parte del globo, nei “paradisi terrestri” (ancora per poco), confinanti con le realtà locali spesso sfruttate e deturpate delle loro preziose risorse, con prezzi sempre più “convenienti” per godersi le vacanze artificiali lontani dal traffico e dallo stress cittadino al quale oramai ci siamo abituati. 

Pensiamo a quanti gas sono emessi da ogni volo direttamente nell’atmosfera, pensiamo a quanti litri di combustibile pregiato vengono divorati, moltiplichiamo il tutto per il numero dei viaggi di un giorno e per tutti i giorni che passano. 

Semplicemente un delirio. 

Sono ogni giorno più convinto che la nostra società “moderna” sta correndo sempre più veloce e sempre più inutilmente, smarrita nella propria voracità e nella propria auto-flagellazione, verso nessuna meta, poiché non ne esiste una. Le uniche cose a cui correremo incontro sono senza ombra di dubbio i limiti fisici del nostro pianeta e i disagi derivanti dagli squilibri che stiamo generando incoscientemente. 

Il viaggio che ci conduce più lontano, e che in definitiva a un vero senso proprio, è il viaggio dentro se stessi. Non c’è bisogno di toccare ogni angolo della terra per comprendere la complessità e la profondità della vita che permea ogni fenomeno in qualsiasi luogo. Inoltre per entrare a contatto con culture e civiltà differenti e molto lontane dalla nostra non è strettamente necessario spostarsi in altri continenti in quanto tantissime città oggi sono multietniche: è molto più facile entrare in contatto umano e scambiare pensieri e opinioni con un filippino restando nella propria città piuttosto che farsi un viaggio attorno al mondo. 

L’uomo “moderno” ha fatto grandi passi verso la conoscenza scientifica e le sue applicazioni (per il suo benessere ma anche per la sua distruzione), tanti sono stati gli sforzi e le conquiste in tale campo nell’ultimo secolo. Ancora poco o pochissimo è stato invece percorso lungo il sentiero della spiritualità e dei rapporti umani basati sulla solidarietà e sulla compassione: in poche parole l’uomo ha perseguito un forte sviluppo scientifico e tecnologico ma ha assolutamente tralasciato, se non in certi casi abbandonato, il proprio sviluppo umano. 

Ridimensionare i nostri viaggi all’estero, specie nei paesi più sfruttati del mondo, e ridurre drasticamente i trasporti di merci, specie se inutili o meramente speculativi, tornando invece all’importanza degli aspetti spirituali e relazionali sarà un tassello decisivo per la costruzione di una nuova era di “sviluppo” per il genere umano. 

Concludo aggiungendo alcuni brani scelti estratti da “Il libro dell’inquietudine” di Fernando Pessoa, riguardanti la tematica del viaggio. 


«L’idea di viaggiare mi nausea. Ormai ho visto tutto ciò che non avevo mai visto. Ormai ho visto tutto ciò che non ho ancora visto. Il tedio del costantemente nuovo, il tedio di scoprire, sotto la falsa differenza delle cose e delle idee, la perpetua identità del tutto, la somiglianza assoluta fra la moschea, il tempio e la chiesa, l’uguaglianza della capanna al castello, lo stesso corpo strutturale nell’essere un re vestito e un selvaggio nudo, l’eterna concordanza della vita con se stessa, la stagnazione di tutto quello che vivo si sta verificando, solo per il fatto di muoversi» 

«La rinuncia è liberazione. Non volere è potere. Cosa altro mi può dare la Cina che la mia anima non mi abbia già dato? E, se la mia anima non me lo può offrire, come potrà offrirmelo la Cina, se è con la mia anima che vedrò la Cina, se la vedrò? Potrei andare a cercare ricchezza in Oriente, ma non la ricchezza dell’anima, perché la ricchezza della mia anima sono io, ed io sto dove sto, con o senza Oriente» 

«Eterni viandanti di noi stessi, non esiste altro paesaggio se non quello che siamo. Non possediamo nulla, perché non possediamo neppure noi stessi. Non abbiamo niente perché non siamo niente. Verso quale universo potrei mai tendere la mano? L’universo non è mio: sono io» 

«Che cos’è viaggiare e a che cosa serve viaggiare? Qualsiasi tramonto è il tramonto; non è necessario andarlo a vedere a Costantinopoli. La sensazione di liberazione, nasce forse dai viaggi?Posso averla andando da Lisbona a Benefica e provarla in modo più intenso di colui che va da Lisbona fino alla Cina, perché se la liberazione non è dentro di me, secondo me, non è da nessuna parte. “Qualsiasi strada”, ha detto Carlyle , “persino questa strada di Entepfuhl, ti porta fino alla fine del mondo”. Ma la strada di Entepfuhl, se venisse percorsa tutta e fino alla fine, tornerebbe a Entepfuhl; di conseguenza Entepfuhl, dove già ci troviamo, è quella stessa fine del mondo che cercavamo. Condillac inizia così il suo celebre libro: “per quanto più in alto possiamo salire e per quanto più in basso possiamo scendere, non usciamo mai dalle nostre sensazioni”. Non sbarchiamo mai da noi stessi. Non arriviamo mai all’altro, se non facendoci altri con l’immaginazione sensibile di noi stessi. I veri paesaggi sono quelli che noi stessi creiamo, perché così, quali loro dèi, li vediamo come veramente sono, cioè come sono stati creati. Non è nessuna delle sette parti del mondo che mi interessa e che posso davvero vedere: l’ottava parte è quella che percorro e che è mia. Chi ha solcato tutti i mari ha solcato solo monotonia di se stesso. Io ho già solcato più mari di chiunque altro. Ho già visto più montagne di quante ne esistano sulla terra. Ho attraversato più città di quelle esistenti e i grandi fiumi di mondi inesistenti sono scorsi, assoluti, sotto i miei occhi contemplativi. Se viaggiassi, incontrerei la copia sbiadita di quanto ho già visto senza viaggiare» 

«Un uomo, se possiede la vera sapienza, sa godere dell’intero spettacolo del mondo da una sedia, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, solo con l’uso dei sensi e con l’anima che non sappia essere triste»

lunedì 19 settembre 2011

La decrescita come occasione

Seconda parte dell'articolo uscito sulla rivista Buddismo e Società numero 148 (settembre-ottobre):http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/


Attualmente, esistono innumerevoli tecnologie e soluzioni interessanti che potranno e dovranno essere impiegate per limitare l’impatto delle nostre attività sull’ecosistema, ma il punto cruciale affinché tali tecniche abbiano un’efficacia effettiva e permettano un reale miglioramento delle condizioni di vita a livello mondiale, andando ad alleviare le iniquità esistenti, è un cambiamento del sistema economico non più fondato solamente sul mercato, sul profitto e sulla competizione, ma dove altri valori avranno la precedenza. 

Molti ricercatori, già da anni, parlano di “economia della felicità”: un’economia che abbia come scopo ultimo quello di perseguire la felicità delle persone, non intesa meramente come appagamento dei bisogni primari materiali ma includendo anche quelli relazionali e spirituali, i quali sono ancora sconosciuti alla maggioranza della “massa consumatrice”. 

Una condizione necessaria per la creazione di un sistema economico non degenerativo, bensì a sostegno della vita e della felicità umana, è la localizzazione della produzione, sia materiale che energetica, tramite la valorizzazione delle risorse territoriali (prime fra tutte le fonti rinnovabili caratteristiche del luogo) e degli scambi interregionali. La nascita di solidarietà di vicinato, di rapporti umani basati sullo scambio, sul calore umano, sull’amicizia, il rafforzamento delle conoscenze contadine e la trasmissione del “saper fare” e dell’autoproduzione, sono tutti aspetti che fanno parte di questo nuovo cambiamento economico-sociale. 

Tutto questo sarà unito a una parola d’ordine impellente: diminuire. La diminuzione del consumo prima di tutto, la diminuzione se non l’annullamento totale degli sprechi e dei rifiuti, la diminuzione dei ritmi di vita, quindi la riduzione dello stress e del caos, la diminuzione delle ore di lavoro, la diminuzione del consumo di carne, la diminuzione dei viaggi intercontinentali. 

Rincorrere la crescita economica a tutti i costi, basare le nostre scelte quotidiane nonché le strategie economico-politiche in funzione della crescita e di indici come il Pil, che riflette solamente gli scambi commerciali ai quali è abbinato uno flusso monetario, è qualcosa che dobbiamo assolutamente abbandonare, consapevoli che l’umanità si trova davanti a una scelta cruciale: continuare ad avanzare freneticamente e imbattersi in crisi sempre più acute fino a sfociare in disastri di dimensioni globali e forse irreversibili, oppure cogliere l’occasione della crisi per fare un grosso salto verso un reale progresso che conduca a una società pacifica e serena. 

La decrescita felice rappresenta questa grossa occasione. “Decrescere” significa inizialmente cominciare con il diminuire là dove la diminuzione non porterà altro che un vantaggio, sia in termini economici che ambientali e di salute. I margini di riduzione di risorse impiegate senza impattare sui bisogni da soddisfare, ma agendo solamente sulle perdite e sull’inutilizzato, sono ampissimi. 

La decrescita è chiamata felice perché non sarà imposta da nessuno, ma sarà una scelta di ogni singola persona esattamente come la rivoluzione umana, e inoltre perché la decrescita realizzata basandosi sui principi di equità comporterà benefici per tutti, che saranno di gran lunga maggiori rispetto a ciò che perderemo. Una frase significativa di Henry David Thoreau afferma: «Ciascuno di noi è ricco in proporzione al numero delle cose di cui può fare a meno». 

In questa ottica, oltre alle politiche economiche e industriali, anche la nostra vita quotidiana dovrà necessariamente cambiare. Dovremo entrare nell’ottica di una vita nel nome della sobrietà. Sobrietà come scelta di vita e come soluzione al tempo stesso di tante ingiustizie e di tante situazioni critiche e come un ritorno alla spiritualità. Esistono diversi studi [2] dai quali si evince che l’aumento del reddito e dei consumi è proporzionale con l’aumento della felicità e del benessere solo entro una determinata soglia, superata la quale la percezione di felicità e benessere non aumentano più, al più diminuiscono. 

Faccio alcuni esempi pratici di una vita indirizzata alla sobrietà: 

· Fare a meno del superfluo 
· Fare acquisti intelligenti e ponderati, preferire prodotti locali e con poco imballaggio 
· Non usare l’automobile in città, ma solo bicicletta e mezzi pubblici 
· Abbassare la temperatura del termostato in inverno e indossare un maglione in più in casa 
· Evitare l’abuso di climatizzatori e di apparecchi ad alto consumo energetico 
· Non acquistare prodotti usa e getta 
· Preferire i piccoli negozi ai grossi centri commerciali 
· Tenere gli apparecchi elettronici spenti quando non si usano 
· Comprare oggetti usati o donarli se non si usano più 
· Riusare e riparare gli oggetti fino a che non è più possibile farlo 
· Evitare di acquistare abbigliamento firmato 
· Avere un contenuto numero di scarpe e di vestiti 
· Mangiare poca carne (2-3 volte a settimana) 
· Evitare di comprare cibi preconfezionati, prediligere i prodotti non confezionati 
· Evitare l’uso di bottiglie o sacchetti di plastica. 



Alcuni simpatici consigli utili per una vita più sobria e per salvaguardare il nostro impatto sull’ambiente sono riportati nel libro di Robert Hamilton Come salvare il mondo in 200 piccole mosse [10]. 

Ne riporto alcuni curiosi e forse inaspettati: 

· I computer portatili consumano fino al 90% in meno di energia elettrica rispetto agli altri. Se si deve comprare un PC, è bene tenerne conto. 
· Il forno a microonde consuma in totale molta più energia elettrica per indicare l’ora sul timer piuttosto che quando viene usato. 
· In occasioni speciali (la nascita di un bambino, un traguardo raggiunto) un buon modo per festeggiare è anche quello di piantare un albero, affidandogli la nostra memoria e aiutando così il pianeta a respirare. 
· Contro le piante infestanti e le erbacce, invece degli erbicidi si può versare sulla terra dell’acqua bollente, ottenendo un identico risultato. 
· Le lampadine a basso consumo energetico contengono un piccolo quantitativo di mercurio che, se rilasciato nell’ambiente, inquina. Non devono dunque essere gettate via con la spazzatura normale, ma consegnate a impianti specializzati. 
· L’olio che si usa per cucinare è un ottimo lubrificante per serrature e cardini che stridono. È inutile ricorrere a composti chimici inquinanti.
· Esistono delle associazioni di volontariato, come le banche del tempo, presso le quali i singoli cittadini possono dare un contributo in base alle proprie capacità in uno specifico settore.

Questo breve elenco non vuole essere né esaustivo né categorico, ma soltanto un semplice esempio della direzione che dovremmo prendere. Smettere con la corsa all’accumulo di ricchezze materiali, ma risvegliarsi alla consapevolezza che la nostra felicità, una volta soddisfatti beni materiali di necessità, può svilupparsi tramite le relazioni di valore con le altre persone e tramite una propria crescita spirituale e culturale.Una vita sobria è fatta di semplicità, innocenza, ingenuità … piccolezze. È una vita profonda, una vita ricca in essere e non in avere. È la consapevolezza che i limiti esistono nel mondo attorno a noi, mentre la nostra vita, la nostra interiorità, il nostro potenziale latente è illimitato quanto l’Universo.La felicità dell’intero genere umano passa anche per queste piccole e banali azioni della nostra vita quotidiana. Separare la nostra felicità da quella degli altri è la principale causa dell’attuale situazione di crisi e instabilità.

giovedì 15 settembre 2011

La sfida per un mondo migliore

Prima parte dell'articolo uscito sulla rivista Buddismo e Società numero 148 (settembre-ottobre): http://www.sgi-italia.org/riviste/bs/

È oramai ben noto che i nostri ritmi di crescita attuali non sono sostenibili e perciò risultano indesiderabili. È stato calcolato che se volessimo garantire a tutta la popolazione mondiale uno stile di vita come quello degli statunitensi, che rappresentano ancora oggi l’avanguardia della ricchezza economica, occorrerebbero cinque pianeti con le caratteristiche della Terra [1]. Sebbene prendendo in considerazione stili di vita meno consumistici questa stima si abbassi, resta evidente il fatto che lo sviluppo economico e industriale di cui l’occidente si serve per costruire ed espandere il “progresso” della nostra civiltà è quanto meno da rivedere se non da mettere in discussione a partire dalle sue fondamenta.

Il tutto è aggravato da una continua crescita della popolazione e dalla distribuzione iniqua delle risorse: il 20% della popolazione mondiale consuma oltre l’80% delle risorse disponibili. «Il livello di vita attuale dei paesi del Nord è permesso dal regolare saccheggio dei paesi del Sud» [8] scrive Nicolas Ridoux, e finché soffocheremo ogni tentativo di autonomia nei paesi ingannevolmente e ingenuamente chiamati “in via di sviluppo”, parlare di solidarietà e di “aiuti umanitari” sarà solo uno squallido stratagemma per non affrontare il problema alla radice e poter lavare i nostri pesanti sensi di colpa. 

Il sistema economico mondiale è una macchina complessa il cui fine ultimo è la creazione di profitto monetario, sempre più a discapito dell’ambiente naturale e degli esseri viventi che lo abitano. L’impronta ecologica del nostro sviluppo sta assumendo dimensioni rilevanti che potranno presto mettere in pericolo la sopravvivenza stessa dell’umanità. Tanti oggi ne parlano, ma pochi sembrano veramente cogliere la problematica con serietà e disponibilità a reagire in modo efficace. 

Mentre l’inquinamento aumenta, le risorse disponibili (materiali ed energetiche) diminuiscono, la povertà dilaga e i disastri ambientali si fanno sempre più frequenti, la crisi economica che stiamo attraversando è un chiaro sintomo di un sistema che è prossimo al suo auto-annientamento. Fenomeni complessi come l’immigrazione, le guerre civili, la disoccupazione, la globalizzazione, la crescita della violenza e delle malattie possono apparire in prima analisi separati tra di loro, o comunque affrontabili con strategie dedicate e indipendenti. A un accorto esame in realtà ogni fenomeno di tale grandezza e complessità è strettamente legato e interconnesso agli altri, dai quali trae origine e/o viene influenzato a sua volta. Seppur ogni fenomeno nasca e si sviluppi in ambiti diversificati e distanti, si crea inevitabilmente una rete di cause ed effetti nella quale è difficile districarsi, ma davanti alla quale invece è così facile sentirsi inermi e rassegnarsi. 

La chiave per trasformare una tale situazione di impotenza di fronte ai terribili e oscuri meccanismi che manovrano il mondo risiede, a mio avviso, proprio in ciò che il movimento della Soka Gakkai chiama “rivoluzione umana”. Soltanto partendo dal singolo essere umano, dalla sua responsabilità in quanto elemento costituente la società, dal suo inter-essere con tutto l’ambiente circostante, è possibile ottenere un cambiamento reale che coinvolga tutti gli ambiti della nostra esistenza. Daisaku Ikeda scrive: «Attraverso una trasformazione spirituale interiore le persone possono risvegliarsi a un autentico senso di sacralità della vita, che contrasta l'indifferenza e la sfiducia nei confronti dell'esistenza che sono alla radice di tutti gli errori della società contemporanea. Questa trasformazione interiore è quindi la base per realizzare allo stesso tempo la felicità individuale e una società pacifica» [3].

Questo tipo di rivoluzione non è mai stata tentata dagli esseri umani in tutta la loro storia su questo pianeta. Oggi siamo davanti a una grande opportunità, spetterà a noi saperla cogliere. La storia ci insegna che davanti alle crisi il cambiamento è inevitabile, ma il tipo di cambiamento sarà determinato dallo stato vitale di base dell’umanità, perciò tocca a noi intervenire per cambiare la tendenza umana che ciclicamente ci conduce verso disastri dominati dalle guerre e dalle violenze. 

In un suo recente saggio sulla relazione vita-ambiente Ikeda scrive: «Rivoluzionando la propria esistenza e la società lungo la linea indicata dalla via del bodhisattva si può aprire una pagina di speranza per il futuro. Le persone con la mente disposta alla via del bodhisattva sono consapevoli del mondo che li circonda, perciò sentono profondamente la preoccupazione per qualunque cosa esista nella biosfera – anche per forme lontane nello spazio e nel tempo» [6].

La via del bodhisattva dovrà essere percorsa in coerenza con il nostro ambiente vitale e con le leggi che lo regolano, per questa ragione la trasformazione dello spirito umano dovrà essere seguita parallelamente da una rivoluzione del modo di concepire e condurre la nostra esistenza sulla Terra. Accanto a una sorta di risveglio interiore, quindi, occorre necessariamente un cambiamento coerente del nostro comportamento nella società. 

Ciò che non abbiamo ancora capito è che una crescita infinita non sarà mai possibile in un mondo finito, in cui le risorse sono limitate e il loro uso indiscriminato e sconsiderato ha forti ripercussioni a livello ambientale, sociale ed economico. La Terra ha limitate quantità di aria e di acqua pulita, lo stesso vale per il terreno fertile, per le piante, gli animali, i materiali estraibili dalle sue viscere. Tutto è finito, numerabile. Inoltre, come insegna la termodinamica, ogni nostra azione comporta un degrado energetico inevitabile (legge dell’aumento dell’entropia [4]). L’umanità dovrà risvegliarsi a queste verità, dovrà tornare a ripensare il suo ruolo nell’ecosistema, non come essere dominante ma come parte integrante di un unico universo vivente. 

Per tale motivo, una delle domande fondamentali da porsi individualmente per realizzare un futuro migliore sarà: sono disposto, e fino a che punto, a mettere in discussione il mio stile di vita e il mio modo di concepire la mia esistenza su questo pianeta?

Luca Madiai 

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Riferimenti bibliografici:

1] Armaroli Nicola , Vincenzo Balzani – Energy for sustainable world – Wiley and sons
2] Bartolini Stefano – Manifesto per la felicità – Donzelli Editore
3] Buddismo e Società n. 132
4] Georgescu-Roegen Nicholas – Bioeconomia. Verso un'altra economia ecologicamente e socialmente sostenibile – Bollati Boringhieri
5] Gesualdi Francesco – Sobrietà, dallo spreco di pochi ai diritti per tutti – Feltrinelli Editore
6] Ikeda Daisaku – Vita e ambiente una prospettiva buddista – SGI Quarterly luglio 2010
7] Latouche Serge – La scomessa della decrescita – Feltrinelli Editore
8] Ridoux Nicolas – La decrescita per tutti – Jaca Book
9] Thich Nhat Hanh – L’unico mondo che abbiamo – Terra Nuova Edizioni 
10] Hamilton Robert – Come salvare il mondo in 200 piccole mosse – Leggere Editore
11] Einstein Albert – La crisi secondo Albert Einstein

martedì 13 settembre 2011

Essere sempre più liberi !!!??

"Libertà non significa assenza di limitazioni. Possedere un’irremovibile convinzione di fronte a qualsiasi ostacolo: questa è la vera libertà". Daisaku Ikeda




Nel mondo della comunicazione di oggi, rapidissima e molto superficiale, tante sono le parole di cui si fa un abuso o un uso improprio. Tra queste certamente spiccano alcune come "verde", "ecologico", "conveniente", "biologico". Altre sono parole diventate quasi tossiche: "crescita economica", "crescita dei consumi", sviluppo sostenibile", "aiuti umanitari", "esportazione di democrazia".

Tra le tantissime parole che si sentono ogni giorno, ce n'è una che sta veramente prendendo campo sempre più e che adesso si trova ovunque. Una parola che nasce sicuramente con caratteristiche positive e come un grande slogan che ha fatto da bandiera a tante rivoluzioni. La parola: libertà.

A partire dalla politica, l'attuale maggioranza di governo è composta da un partito che inneggia alla libertà, tanto da dare il nome al partito stesso. Questo vale d'altronde anche dalla parte politica opposta, con la nuova alleanza di sinistra nel cui nome ha inserito tale parola.
La parola libertà e i suoi derivati sono spesso segno di progresso, di rinnovo, di evoluzione verso migliori scenari: mercato libero, liberalizzazione, libera concorrenza.

Nel settore economico commerciale, la liberalizzazione ha segnato gli ultimi decenni in modo catastrofico. Mercato libero il più delle volta può essere fedelmente tradotto con: "libertà per alcuni di fare ciò che ritengo conveniente per sé stessi, a discapito di altri". Così è accaduto con la liberalizzazione dei mercati come quello dell'energia, dei servizi una volta pubblici, l'informazione, la comunicazione, l'acqua, i trasporti. Aumentando gli introiti per pochi e diminuendo la qualità dei servizi e quasi sempre aumentandone i prezzi.

Ciò vale naturalmente anche in altri ambiti, primo fra tutti quello politico e giudiziario. Libertà significa poter essere liberi di evadere le tasse, di fare ciò che si vuole, di licenziare in libertà, di inquinare in libertà, di gettare fango in libertà...

Quindi facciamo attenzione alle parole e alla loro applicazione nella vita di tutti i giorni. Alcune di esse sono diventate davvero pericolose.
State in allerta quando la parola libertà viene sventolata con molta facilità, e chiedetevi sempre: libertà rispetto a cosa? e soprattutto per chi? Sentitevi liberi di non accettare inermi ciò che viene dall'alto, ma di analizzare tutto sempre da differenti punti di vista e di trovarne anche di nuovi e mai utilizzati prima.

«Il cosiddetto libero mercato è in realtà la libertà di distruggere le risorse, esaurire l’energia e inquinare l’atmosfera» Vandana Shiva

giovedì 8 settembre 2011

Appunti dal Portogallo. Considerazioni personali sulle questioni ambientali e dintorni.

Al termine di questa breve ma intensa esperienza portoghese, e vista anche la tematica principale sulla quale verteva l’intero progetto, ovvero l’ambiente, ritengo opportuno nonché dilettevole riportare a margine alcune piccole impressioni personali sulle questioni ambientali e la loro incidenza nella vita di tutti i giorni.

Ancor prima di arrivare, sorvolando il Portogallo in aereo e poi percorrendo le strade a grande scorrimento, si notano diversi impianti eolici in funzionamento, soprattutto sui crinali di monti non troppo elevati. Infatti, già nel 2008 in Portogallo erano installati 2862 MW di eolico e 3898 MW alla fine del 2010, risultando il sesto paese nella comunità europea per potenza installata e il quinto (31 MW/1000 km2, al 2008) se si considera la potenza installata sull’unità di superficie del territorio nazionale [1]. Per termine di paragone, il carico elettrico di picco in Portogallo oscilla solitamente tra 7 e 10 GW, quello italiano è ben superiore (~45 GW).

Lo sviluppo del fotovoltaico ha raggiunto e superato i 130 MW di potenza di picco installata alla fine del 2010 [2]. Una quantità ancora piuttosto limitata, ma che comunque è destinata a crescere nel prossimo decennio.

Come in tutti gli altri paesi, anche in Portogallo la diffusione di impianti alimentati ad energia rinnovabile è strettamente legata alle decisioni politiche in materia di incentivi statali che permettano investimenti sicuri e ne riducano il tempo di ammortamento a circa 7-8 anni.

La tutela del nostro ambiente e la sostenibilità delle nostre attività sono ben lontani dall’essere completamente salvaguardati dal crescere esorbitante delle fonti rinnovabili, che pur rappresentano una buona direzione per il nostro futuro.

Ancora più importante e decisivo sarà il nostro comportamento sostenibile nella vita quotidiana, che influenzerà di conseguenza tutti gli altri ambiti.

Cominciando dai trasporti, sicuramente il mezzo più utilizzato in Portogallo è l’automobile. Escludendo Porto e Lisbona che sono ben servite nelle loro aree urbane da un’efficace rete di bus, tram e metro, le restanti città portoghesi, tutte di piccola e media dimensione sono principalmente a “misura d’auto”.

In una cittadina come Viseu, ad esempio, con i suoi 93500 abitanti [3], ha una vasta diffusione superficiale e una bassa densità di abitazione (Siena con i suoi 54526 abitanti ha una densità di 461 ab./km2 contro i 184 di Viseu [3]), sfavorendo di conseguenza il funzionamento efficace dei mezzi di trasporto pubblici, nonché delle biciclette.

Passeggiando per le vie di Viseu, che non siano quelle del piccolo centro storico, ci si sente veramente soli sui marciapiedi, pochi sono i pedoni che percorrono tratti rilevanti, pochissime le biciclette. In Italia le cose vanno forse peggio, certe volte viene persino da pensare che alcune zone della città siano state pensate e costruite per le automobili e non per le persone.

Devo ammettere però che i pedoni portoghesi, a differenza degli italiani, sono solitamente più rispettati, specie nell’attraversamento sulle strisce. In Portogallo è sufficiente avvicinarsi alle strisce pedonali per far rallentare e fermare anche con estremo anticipo le automobili che sopraggiungono rapidissime. In Italia, il pedone guardingo deve cogliere l’attimo utile per potere fare un guizzo tra una macchina e l’altra, senza sperare di veder qualcuno rallentare per permettere il suo passaggio sicuro.

Una città come Viseu, capoluogo del relativo distretto, non ha una stazione ferroviaria e il servizio di autobus urbano non è molto popolare, specialmente tra i giovani. L’esempio lampante dello spreco di risorse è la costruzione della funicolare, una goffa cabina che viaggia su dei binari a una velocità imbarazzante per un percorso che non raggiunge neanche i 400 metri, e di cui solo la metà in salita. Per fortuna il biglietto è gratuito!! Altrimenti non la userebbe davvero nessuno, neanche qualche curioso turista.

In città non sono presenti piste ciclabili, né strutture per il parcheggio delle biciclette. È stata realizzata una pista ciclabile che dalla periferia percorre diversi chilometri fuori città, e che quindi è prevalentemente utilizzata per scampagnate domenicali.

La mia impressione è che, in Portogallo, come in Italia (in Italia siamo messi male anche nelle grandi città), l’automobile è un forte elemento culturale alla base della società, un elemento cardine da cui pochissimi possono prendere le distanze. L’auto è vita, senza auto non c’è spostamento, non c’è lavoro, non c’è vita. Ma in realtà, l’auto, oltre ad inquinare, provocare disagi (stress, rumore, traffico) e morti sulla strada, l’automobile ha anche un pesante effetto come disgregatore sociale.


Zona periferica di Viseu – dominata dalle auto

Uscendo la sera per bere qualcosa si nota subito quanto sia economica la birra portoghese e quanto sia piacevole consumarla al tavolo parlando con gli amici. La quantità di bottigliette di vetro accumulate ogni sera nei bar è enorme. Fa comunque piacere sapere che il vuoto viene reso indietro, infatti provando ad allontanarsi dal bar con la bottiglia in mano non ancora vuota veniamo rincorsi dal cameriere e gentilmente pregati di finire la birra e rendere a lui il vuoto. In Italia non accadrebbe mai una cosa del genere.

Passando da un bar all’aperto a una discoteca al chiuso veniamo invasi dal fumo delle sigarette, che per gli italiani ormai è solo un brutto ricordo. In Portogallo, ancora oggi, in quasi tutti i locali pubblici è permesso fumare senza alcuna restrizione.

L’aria condizionata è molto utilizzata in Portogallo e spesso se ne fa abuso, d'altronde come in tutti i paesi “sviluppati”. Dà stupore vedere i condizionatori accessi, anche quando non c’è un effettivo bisogno, sparare aria gelida che crea fastidio anziché apportare sollievo.

Dopo pochi giorni di ottima cucina portoghese, ci si rende conto che il piatto principe della cucina locale è la carne, accanto al pesce non molto caro. Passeggiando per le strade di Viseu si può sentire l’odore di carne grigliata persino alle ore più improbabili. La dieta portoghese, non proprio gemella di quella mediterranea, lascia largo spazio alle proteine animali, sfavorendo un’alimentazione più salutare e più rispettosa dell’ambiente e delle risorse naturali, basata invece su cereali e legumi. In Portogallo mangiare carne più di una volta al giorno è normale.

Come in Italia, i supermercati portoghesi sono ben forniti di ogni tipologia di prodotto, nelle varianti, colori, confezioni più disparati, tutto assortito e super conveniente. Si fa un largo uso di bottiglie in plastica per l’acqua, ma la cosa che stupisce sono le birre e tutte le altre bevande in bottiglia o lattina nella loro versione mini, ovvero in una dimensione ridotta da 20 cl, praticamente un solo bicchiere. Davvero molto carine come soprammobili, ma effettivamente un grosso spreco di materiale ed energia.

In un pomeriggio assolato ma non assolutamente afoso, percorro la tangenziale del centro storico, camminando sul marciapiede deserto, accompagnato soltanto dal rumoroso sfrecciare delle automobili (i motorini, che spesso fanno più rumore, per fortuna sono molto rari). Salendo per un tratto a un certo punto, sulla destra, si apre uno scorcio sul centro della città, con la suggestiva vista della cattedrale dominante la parte più alta. Colpito da quel panorama e dal calar del sole che lo rende ancor più invitante, non posso fare a meno di estrarre la macchina fotografica per immortalare quello spettacolo. Abbassando lo sguardo però l’estasi dovuta al paesaggio ridente si trasforma in cupa delusione nel vedere quanta sporcizia e quanti rifiuti siano abbandonati nel prato davanti a me. Il mio scatto né è rimasto tristemente impressionato.



Vista della cattedrale di Viseu

Negli ultimi giorni della mia permanenza colgo l’occasione di visitare per un giorno intero il festival musicale Andanças, che si tiene ogni anno in agosto in Carvalhais nei pressi di S. Pedro do Sul. L’evento mi colpisce a cominciare dalla presentazione sul sito e dalle indicazioni per raggiungere il luogo nelle quali si evidenziano le emissioni di CO2 che si possono risparmiare utilizzando i mezzo pubblici e incoraggiando i partecipanti a prendere il servizio bus dedicato all’evento con ulteriori sconti. Il festival comprende workshop di varie tipologie, principalmente di danza e di musica. Nel pomeriggio si susseguono lezioni di gruppo per svariati tipi di balli, altri workshop sono dedicati alle tematiche di sostenibilità ambientale come ad esempio l’impiego di erbe e composti naturali.

Il festival include anche un camping in una pinetina e un’area ristoro. Il tutto gestito e organizzato interamente da volontari che prestano il loro contributo in cambio della partecipazione gratuita al festival nelle ore libere (4 ore di lavoro ciascuno).

Un grande segno di civiltà, oltre che di coscienza ambientale, è l’assoluta assenza di bicchieri e bottiglie di plastica o di carta e di lattine. Ogni bar serve le bevande direttamente nei bicchieri delle persone; infatti ognuno ha la possibilità di comprare un bicchiere di latta e di usarlo al bar per bere ciò che ordina, oltre che per bere l’acqua liberamente distribuita in tutto il campo tramite un sistema di tubazioni e fontanelle diffuse. Persino la mattina è possibile fare colazione usando la propria “tazza”, doverosamente ripulita dalla sera prima. Un’idea banale ma che funziona benissimo e che probabilmente vale più di tante complesse manovre ambientali concepite dai politici nei palazzi di potere.

Sulla stessa riga, alla mensa il cibo è servito con piatti e posate non di plastica o carta, che ognuno, finito il pasto, deve sistemare accuratamente nella relativa cesta per poi essere lavati. Un’altra cosa che mi colpisce e incuriosisce mentre faccio la fila all’ingresso della mensa, collocato in posizione bene visibile per tutti, è un grosso contenitore trasparente nel quale viene gettato via via il cibo che resta sui piatti una volta puliti. Una scala graduata riporta la quantità in tonnellate di alimenti sprecati raggiunta. Anche questa è una semplice trovata per sensibilizzare tutti quanti al minimo spreco di una risorsa così preziosa come il cibo, e perché no, allo stesso tempo anche una sorta di trofeo alla buona condotta di ciascuno dei partecipanti, visto che il livello resta sempre basso col passare del tempo.

Queste piccole accortezza, come molte altre semplici idee, sono prove evidenti del fatto che la prima azione nel contrastare un uso incivile e irrispettoso dell’ambiente e delle sue risorse scaturisce proprio da banali, ma geniali, accorgimenti. Per rispettare l’ambiente e vivere da persone civili in una società civile non occorrono esclusivamente tecnologie avanzate e costose, ma ancor più incisive sono le piccole pratiche di serena e pacifica sobrietà.

Festival Andanças - Area relax


Luca Madiai

Viseu, agosto 2011


Riferimenti bibliografici

[1] Dati estratti dalle statistiche presenti nel sito http://www.ewea.org/

[2] Dati estratti dalle statistiche presenti nel sito http://www.eurobserv-er.org

[3] Dati Wikipedia