Nichiren Daishonin
Un giorno un giovane uomo fece visita a un suo amico. Erano trascorsi diversi anni dall’ultima volta che si erano incontrati.
«Ho letto il tuo ultimo articolo recentemente» esordì l’ospite dopo i normali convenevoli «e non mi trova per niente in accordo».
«La cosa non mi sorprende» rispose il padrone di casa «ma se vuoi parlarmene, proverò a spiegarmi meglio».
«Tu ti riferisci all’ottimismo come fosse un male, un male della nostra epoca. Eppure io non vedo ammalati di ottimismo. Piuttosto vedo ogni giorno schiere di pessimisti che non fanno che lamentarsi con gli altri e degli altri, peggiorando ancor più le loro misere vite. L’ottimismo è ciò che smuove le coscienze, ciò che fa progredire il mondo. L’ottimismo ha reso possibile grandi scoperte e grandi visioni: è stato l’ottimista, non il pessimista, a sconfiggere le malattie, a realizzare l’impensabile, a far volare l’uomo fino alla Luna, a renderlo ridente fautore del suo destino e non dolorosamente succube».
Il padrone di casa disse: «Dal tuo punto di vista, che poi altro non è che quello di oramai miliardi di persone nel mondo globalizzato, hai perfettamente ragione. Se non che il mio punto di vista sia sostanzialmente più ampio, e direi anche più profondo. Ti dimostrerò, se avrò il tempo di illustrarti le mie ragioni, che in realtà io sono il più fervido ottimista sulla faccia della Terra. Tuttavia, l’ottimismo a cui mi riferisco è ben diverso da quello in cui tu hai fede. Potremmo chiamare il primo ottimismo consapevole, o profondo, l’altro ottimismo incosciente, o superficiale.
Nel mio articolo criticavo quest’ultimo tipo di ottimismo, che oggi viene portato in gran considerazione, inneggiando alla vittoria, come se ci fosse qualcosa da sconfiggere, alla battaglia, come se ci fosse qualcosa da combattere, al cambiamento, al dinamismo e alla crescita, come se cambiare, muoversi e crescere fossero in ogni caso segni positivi, e al progresso, come se non esistessero limiti a ciò che si può raggiungere.
Questo ottimismo cieco, che non ha nessun fondamento profondo, se non i mondi bassi di avidità, stupidità e collera, non permetterà la risoluzione della triplice crisi[2] in cui sta sprofondando il nostro pianeta sempre più rapidamente. Non soltanto, l’effetto di questo ottimismo progressista accelererà ancor di più gli effetti e le cause delle crisi, riducendo di fatto il tempo che ci resta per agire, prima che sia troppo tardi[3]. Da qui la mia aspra critica all’ottimismo cieco, che non ha alcuna base scientifica, pur rifacendosi alla scienza come dea salvifica di ogni male, né alcuna solida base filosofica. Deriva perciò che a un ottimismo inconsapevole sia preferibile un pessimismo lucido, che tenga in considerazione le terribili circostanze che stiamo vivendo. Per essere pessimisti lucidi dobbiamo prima di tutto essere ben informati e avere gli strumenti culturali per rielaborare la grande massa di informazioni che riceviamo. Dobbiamo inoltre mantenere equilibrio e non cedere alla lamentela logorante o alla critica distruttiva. Dobbiamo riconoscere la complessa e fitta rette di cause ed effetti e non cadere nel panico. Un pessimismo lucido permetterà così la presa di coscienza e la chiamata all’azione, al contrario un ottimismo incosciente si adagerà sulla fede nella scienza e nel progresso e non provocherà alcun reale cambiamento. Resta il fatto, però, che un pessimismo lucido non sarà comunque sufficiente».
«Non condivido assolutamente il tuo punto di vista» riprese l’ospite con vigore «Viviamo nell’epoca scientificamente più avanzata. Molti dei problemi che affliggevano l’uomo fin dalle ere più antiche sono soltanto un lontano ricordo. La tecnologia ci permette di fare cose che fino a qualche anno fa erano impensabili, chissà dove ci condurrà negli anni a venire. Non credo affatto che per stimolare un cambiamento sia necessario il pessimismo. La visione negativa della vita influisce negativamente sulle cause e sugli effetti, per cui le nostre azioni non saranno incisive. Soltanto attraverso una visione positiva della vita potremmo portare cambiamenti che siano positivi.
Inoltre, le crisi di cui parli fanno parte del naturale processo di evoluzione, in cui lo spontaneo progredire verso il miglioramento di se stessi conduce a dei periodi di crisi temporanei che segnano il passaggio da una situazione meno evoluta a una più evoluta. Il progresso è esistito da sempre e non potrà mai essere fermato, chi nega questa evidenza sta negando l’essenza stessa della vita, la forza motrice che sta nelle profondità della vita. Come puoi tu, alla luce di questo, sostenere che la fede nella scienza e nel progresso non provocheranno alcun reale cambiamento?».
«Bene, ti ringrazio per la domanda» rispose il padrone di casa «La questione è piuttosto complicata e richiede una serie di precisazioni, soprattutto sulla terminologia che utilizziamo. Per reale cambiamento intendo un cambiamento profondo, che sia in grado di risolvere la triplice crisi alla sua radice. È ovvio che la scienza e la tecnologia sono state e saranno utili per facilitare l’esistenza umana, ma non è questo il punto. Lo stesso vale per il progresso. Con questo termine indichiamo un processo inarrestabile, che punta inesorabilmente verso il miglioramento continuo, sostenuto proprio dall’avanzare della conoscenza scientifica e delle applicazioni tecnologiche.
Ma davvero la nostra società sta progredendo? Lo pensi davvero? Ovviamente dipende da che aspetti si considera. Dal punto di vista materiale, siamo sempre più agiati e ci godiamo i benefici delle nuove tecnologie, è questo che tu intendi per progresso? Avere sempre più oggetti, sempre più tecnologici? E poi, questo progresso è davvero inarrestabile? E perché invece non sono contemplate alcune forme di regresso? Sarebbe da pessimisti farlo, probabilmente. E ancora, i benefici di questo progresso materiale giungono in ugual misura a tutti gli abitanti del pianeta? Nessuno escluso?
Avrei ancora altre domande, ma per adesso fermiamoci qui. La fede nella scienza e nel progresso hanno veramente trovato soluzione ad alcuni problemi che affliggevano l’uomo, sollevandolo da intense fatiche e dolori, ma nello stesso momento hanno creato enormi questioni che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza della vita sul nostro pianeta. Credi davvero che la scienza e la tecnologia riusciranno a risolvere anche tali questioni? Credi che la causa del male sia pure la sua cura?
Il progresso non è altro che una chimera, una pericolosa illusione, che non tiene in considerazione i limiti fisici e umani. Ciò evidente nello stesso paradosso di Jevons[4], per cui a un avanzamento dell’efficienza di un sistema tecnico che conduce a una riduzione di risorse impiegate spesso si associa un aumento dei consumi di tale risorse anziché a una sua diminuzione, proprio perché la tecnologia diventa più invasiva e non esiste alcun senso del limite. Al contrario, la cultura progressista ci incita a superarli».
L’ospite, ribattendo prontamente all’amico, disse: «Credo che la scienza e la tecnologia siano create dall’uomo, ed è perciò nel potere dell’uomo porvi rimedio. Danni collaterali creati dalla tecnologia saranno risolti col tempo dallo stesso avanzamento tecnologico che tu critichi. Arriverà il giorno in cui i disagi creati dalla tecnologia saranno insignificanti rispetto ai suoi benefici. E credo davvero che quel giorno non sia poi così lontano».
Allora il padrone di casa disse: «Sono d’accordo che ogni questione sia risolvibile dall’uomo, ma sul come farlo ho un’altra opinione, sulla quale poi, se ci sarà la possibilità, mi soffermerò. In ogni caso, visto che la tua fede nella scienza è assoluta, voglio proprio partire da ciò che negli ultimi anni gli scienziati stanno scoprendo.
Mi riferisco ai dati rilevati riguardanti il riscaldamento globale, causato dalle emissioni di anidride carbonica, il cui effetto sta già di fatto cambiando il clima, causando eventi catastrofici sempre più frequenti: che si tratti di forti venti, precipitazioni scarse o troppo intense, caldo e freddo fuori stagione. I ghiacci perenni si stanno sciogliendo sempre di più, che siano i ghiacci dell’artico, quelli delle montagne più elevate o persino il permafrost siberiano, provocando un innalzamento degli oceani e dei mari. Il fenomeno è molto complesso e difficilmente prevedibile. In ogni caso, diminuzione dei raccolti, allagamenti, carestie, pestilenze, flussi migratori ingestibili, questo è il futuro che si prospetta. E tutto ciò è certificato da studi scientifici, studi della stessa scienza in cui viene riposta la massima fiducia. Allora perché in questo caso, i preoccupanti allarmi proclamati da vari scienziati restano inascoltati?
Lo stesso vale per gli altri dati scientifici raccolti riguardanti l’inquinamento sempre più pervadente del suolo, dell’aria, delle acque. Le microplastiche stanno inoltrandosi nel metabolismo degli esseri viventi, ce le mangiamo, ce le beviamo, ce le respiriamo, nei mari i rifiuti stanno superando in numero i pesci, i pesticidi e i diserbanti chimici stanno rendendo i nostri terreni sempre più sterili, oltre a intossicare il nostro cibo e noi stessi, l’aria delle nostre città si fa sempre più irrespirabile, l’acqua contaminata da sostanze difficilmente rintracciabili. Tutto è documentato, misurato, certificato con mezzi scientifici, perché dunque non si pone alcuna azione a contrasto di questo disastro? La stessa scienza ci sta avvertendo, perché, se è in lei che riponiamo ogni aspettativa, non le diamo ascolto adesso?
Dopotutto è anche vero che nel secolo scorso la scienza ha subito un grosso colpo, che però non ha messo in discussione la sua imperversante egemonia culturale. La fisica del Novecento ha inequivocabilmente negato l’esistenza dell’oggettività scientifica su cui tutta la cultura occidentale ha fondato la sua prosperità e il suo predominio sul globo, inneggiando a una, oggettiva appunto, superiorità su ogni altra civiltà tecnologicamente meno evoluta. Secondo il nuovo approccio scientifico quindi, l’osservazione dei fenomeni non può essere oggettiva perché oggetto e soggetto sono essi stessi parte del fenomeno, uno influenza l’altro, perché uno compenetra l’altro. Anche questo però non è stato sufficiente a creare un cambiamento di prospettiva che potesse risolvere la triplice crisi».
«A quanto ne so io, la situazione non è così drammatica come la descrivi tu» rispose l’ospite «Gli scienziati, le organizzazioni internazionali e i governi di vari paesi del mondo stanno lavorando ormai da anni per il passaggio da un’economia fossile a un’economica verde, decarbonizzata. È ovvio, come dicevo prima, che ciò richiede del tempo, ma i risultati si stanno già realizzando. La crescita delle energie rinnovabili, in particolare del solare e dell’eolico, sta procedendo senza sosta, così come la riforestazione di immense aree, e sempre più auto e mezzi di trasporto useranno energia elettrica anziché i carburanti derivati dal petrolio. Purtroppo l’economia globale ultimamente ha rallentato la sua crescita per cui tutte queste soluzioni non sono state sviluppate al massimo. Quello che serve è una nuova e vigorosa fase di crescita economica che possa creare grandi investimenti in questi settori strategici. Molti sono gli studi per creare trappole di carbonio e per sfruttare una fotosintesi artificiale, così come si stanno facendo passi avanti nell’impiego della fusione nucleare che potrà fornire ben presto ingenti quantità di energia a partire da un elemento comune come l’idrogeno e senza produrre alcuna scoria radioattiva né emissioni di gas. Sono sicuro che il futuro ci serberà delle grandi sorprese. Come vedi, ogni aspetto negativo, ogni problema, può essere in realtà allo stesso tempo una fonte di nuove possibilità di crescita e di sviluppo».
«Quello che tu dici è senz’altro vero» rispose il padrone di casa «tuttavia il tuo punto di vista è ancora troppo ristretto, circoscritto, per poter avere una visione d’insieme e quindi una soluzione globale e non superficiale. Tu ti riferisci alla crescita, la forza trainante del progresso, e ne fai una questione puramente economica. Sei abituato, come del resto tutti noi uomini moderni, a vedere ogni aspetto della vita e della società separato dagli altri, come se si potesse isolare, dividere in camere stagna e analizzare nel dettaglio senza considerare tutto il resto. Questa visione delle cose, d’altronde, è una conseguenza del pensiero riduzionista che è stato alla base della scienza fin dai suoi albori.
Non si può, a mio avviso, parlare di economia senza parlare anche di ecologia. Non a caso, le due parole hanno la stessa radice etimologica[5]. L’economia dovrebbe essere l’insieme di regole che conduce al miglior criterio per prendersi cura della propria “casa”, basandosi sullo studio approfondito delle leggi di funzionamento della casa stessa, ovvero dell’ecologia. Dove con “casa” non si intende il pianeta come agglomerato di rocce, acqua, piante, animali, piuttosto l’organismo complesso costituito sì da tutti questi diversi elementi, ma tenuti assieme in un perfetto equilibrio armonico il cui senso ultimo e il cui senso più profondo è trascendentale, insondabile, occulto per la razionalità umana.
Solo attraverso una visione olistica, dove l’ambiente e l’essere vivente sono un’unica entità, sebbene caratterizzati da aspetti particolari che li differenziano, separandoli soltanto nella esteriorità, è possibile trattare di vera ecologia: un’ecologia profonda[6] e non di superficie. Un’ecologia che parta dal presupposto imprescindibile che curarsi del pianeta significa curarsi dell’essere vivente che lo abita e curarsi dell’essere vivente significa curarsi del pianeta. Un’ecologia che non sia fondata sulla centralità dell’uomo, ma sulla dignità della vita, tutta. Senza questi presupposti parlare di economia, non ha alcun senso.
Inoltre, tu parli di crescita economica, come se questa fosse la soluzione di ogni male, come se la triplice crisi potesse risolversi con una maggiore crescita economica. In realtà, non occorrono grandi conoscenze o studi approfonditi, che tuttavia esistono, per comprendere come la crescita economica non sia affatto la soluzione, bensì la causa della triplice crisi. Non occorrono dati e calcoli complessi per comprendere che esistono limiti fisici e materiali che non sono sormontabili. Per quanto abbondanti le risorse di cui disponiamo in questo pianeta sono comunque limitate. E molte delle risorse che utilizziamo quotidianamente, e spesso sprechiamo, sono, a ragione, chiamate “non rinnovabili”, ovvero non rigenerabili in tempi utili per poter essere riutilizzate. Solo un folle, o un economista appunto, come afferma la celebre citazione di Kenneth Ewart Boulding[7], può credere in una crescita infinita in un pianeta finito.
L’ideologia della crescita è una chimera, ma è a oggi divenuta nella culturale dominante una credenza di una tale forza che, assieme a quelle di progresso e scienza, è pressoché impossibile da confutare e dissolvere.
Tutta la nostra esistenza contemporanea è pervasa dall’ideologia della crescita e del progresso. Ogni pensiero o riferimento che faccia, anche solo vagamente, da antitesi a tale credo viene subito criticato, etichettato come eversivo, represso immediatamente. E questo tipo di cultura, dopo aver sradicato ogni altra alternativa, sta dominando incontrastata su tutto il globo.
Per di più, la società odierna è completamente satura, con difficoltà riuscirà a sostenere alti ritmi di crescita: non solo l'economia è traboccante di beni e servizi che non rispondono più ormai ad alcun bisogno, ma persino gli aspetti sociali risentono del superamento dei limiti naturali, troppe attività, troppi obiettivi da realizzare, troppi desideri da soddisfare, troppo lavoro, troppo stress, troppe consuetudini sociali a cui adempiere per essere considerato parte integrante della società. Lo stesso ambiente è stato saturato dall'eccessiva crescita, gli ecosistemi non reggono più la nostra impronta ecologica, e non si tratta solo di emissioni di anidride carbonica e di riscaldamento globale, ogni aspetto della vita moderna ha un pesante impatto su tutto il pianeta. E pure su questo la documentazione scientifica non manca. Stiamo lentamente morendo per iperproduzione, iperconsumo, iperattività e ipervelocità. Quello che occorre, perciò, è una saggia decrescita, una potatura oculata, che vada a eliminare tutto ciò che non è essenziale alla felicità di tutti. Decrescere, rallentando, e ritrovando la serenità nelle più piccole cose».
«Questi sono solo sofismi offensivi» rispose l’ospite non nascondendo una certa irritazione «Tu non hai la minima idea di quello che dici. Senza la crescita economica niente sarebbe possibile, tu non avresti una casa, degli abiti puliti, del cibo di cui nutrirti. È la crescita dei profitti a rendere possibile la tua vita. Renditene conto. Senza denaro la tua vita sarebbe miserevole, e probabilmente non camperesti a lungo».
«Sul denaro potrei farti riflettere in questo modo» riprese con calma il padrone di casa «In una società basata sulla competizione del mercato, dove l’unica cosa che conta è l’utile, quale altro determinante se non il denaro potrebbe essere preso come metro di giudizio di ogni aspetto della vita, materiale o immateriale che sia. Se ci rifletti, in ogni ambito della vita il denaro è andato a insinuarsi con prepotenza, tanto da inaridire il senso genuino stesso racchiuso nei piccoli momenti delle nostre esistenze. Tu pensa alla meraviglia delle relazioni disinteressate, di cura, di solidarietà vera, tu pensa alla gratuità della natura, al suo rigoglioso equilibrio, alle bellezze che liberamente dona. C’è un errore di fondo nella cultura dominante: quello di pensare che ciò che non si può vedere, sentire, misurare in qualche modo, non esista affatto. Deriva quindi che l’affetto disinteressato tra due persone, così come la bellezza di un tramonto, non essendo misurabili in maniera rigorosa, non siano importanti per lo sviluppo dell’uomo. E nello stesso tempo, ciò che la natura dona naturalmente, i frutti spontanei degli alberi, l’acqua cristallina di un fiume che nasce dalle montagne, l’aria pulita che ci circonda tutto questo, non ha un valore perché non è mercificabile, non è esprimibile in un corrispettivo in denaro.
Nella realtà, il denaro è una convenzione economica la cui principale funzione dovrebbe essere meramente quella di favorire e semplificare lo scambio di beni e servizi tra le persone. Il suo valore, perciò, non può essere che convenzionale, di fatto il denaro non ha un suo valore intrinseco. Al contrario, la natura nel suo insieme, le relazioni e gli affetti hanno invece un valore intrinseco reale, il valore che dà senso alla vita e la sostiene.
Inoltre, il denaro oggi ha smesso di essere misuratore del valore, finendo per diventare il massimo valore esso stesso. In altre parole, ha assunto un valore intrinseco che non ha e per questo motivo è il determinante su cui si regola la società del progresso. Un criterio del tutto illusorio, che prima o poi manifesterà tutta la sua inconsistenza».
«Il solito pessimista catastrofista» disse l’ospite con tono di biasimo «Dici così perché la tua vita è un chiaro fallimento: sia nel lavoro che nelle relazioni. Parli da sconfitto, e non puoi che essere colmo di rammarico. Dopotutto, però, sei comunque abituato a vivere nel comfort da quando sei nato, consumando energia e materiali in continuazione. Come credi che ti sia garantito un tale stile di vita? Con la crescita economica, ovvio. Tutti i tuoi sofisticati e filosofici ragionamenti crollano di fronte a semplici verità di fatto. Vuoi l’automobile per spostarti? Hai bisogno della benzina. Vuoi la casa calda d’inverno? Hai bisogno del gas. Vuoi fare viaggi in luoghi esotici? Serve l’aeroplano. Lasciando da parte il denaro. In ogni caso, tu vuoi tutte queste cose. Le utilizzi tutti i giorni queste comodità, e critichi il sistema che te le fornisce a un costo sempre più basso. Devi essere un ingrato, un perdente invidioso del successo altrui».
«A me pare che siano le tue parole colme di astio, non le mie» rispose il padrone di casa «Tu dici che io voglio i comfort, che non si può vivere senza certe comodità, ma devi sapere che il mio stile di vita è ben diverso dal tuo, almeno da alcuni anni. Tu mi chiami sconfitto, e secondo i valori dell’attuale società non vi è dubbio che lo sia, a tutti gli effetti. Ma la cosa necessita, ancora una volta, di una visione più ampia, che comporta la rivisitazione totale di tali valori.
È vero il mio lavoro non è socialmente ambito, la mia paga è relativamente modesta, soprattutto confrontata alla tua, e a quella di molti altri che si considerano, a ragione, dei vincenti. La società attuale, dominata dalle leggi del mercato e del progresso, del "Bellum omnium contra omnes", "tutti contro tutti", dove si incoraggia la competizione, l’individualismo, la ricerca del piacere e della soddisfazione di tutti i nostri desideri personali, quasi sempre indotti dall’esterno e non veramente propri, si regge sull’idea che ognuno ha diritto alla propria felicità, e che per raggiungerla deve fare del proprio meglio, anche a scapito degli altri. Tale sistema, basandosi sulla felicità esclusiva, comporta che soltanto un piccola fetta della popolazione riesca ad accedere a tale felicità e a vincere sugli altri.
L’intera società moderna trova il suo cardine sul mito del successo, del “sogno americano”: per avere successo, per realizzare il proprio sogno, per realizzare la propria felicità individuale è essenziale che tanti altri ne siano esclusi. Questo è l’assioma che sostiene l’intera impalcatura socio-culturale di oggi. È la possibilità, anche se minima e insignificante, ad alimentare l’illusione di milioni di persone di poter accedere alla gioia del successo, all’olimpo dei vincenti. Ed è proprio il fatto di essere così difficile a renderlo così appetibile da parte di tutti. I sentimenti di arroganza e di invidia giocano un ruolo chiave. Senza arroganza i pochi fortunati non potrebbero vincere, e senza invidia dei molti esclusi non varrebbe la pena vincere. Così il sistema è bloccato e perdurante, perché la possibilità, per quanto esigua, di poter vincere prevaricando sugli altri incanta ogni singolo individuo, persino gli ultimi, i quali preferiscono godersi tale misera possibilità, preferendo la competizione alla condivisione, piuttosto che cercare una alternativa ritenuta impossibile. Questo modello è quello che si chiama un gioco a somma zero: ovvero affinché uno guadagni una certa quantità, qualcun altro deve perdere la stessa quantità. Un modello sociale basato sulle leggi di mercato e di progresso non può essere strutturato diversamente.
È anche vero del resto che tale modello non sta conducendo le persone alla felicità e al benessere, tutt’altro. Come dici tu, abbiamo oggi tanti comfort che fino a qualche anno prima erano impensabili, ma tutti questi agi in realtà non stanno apportando un incremento di benefici. Sono i disagi piuttosto che cominciano a prevalere».
«Non capisco a cosa ti stai riferendo» l’ospite appariva adesso maggiormente coinvolto e interessato «Potresti spiegarti meglio, per favore».
«Senz’altro» riprese il padrone di casa sorridendo «Mi riferisco ai numerosissimi studi eseguiti per quanto riguarda la relazione tra reddito e benessere. Si tratta di studi scientifici, della stessa scienza su cui il sistema dice di avere un incrollabile fede. Questi studi conducono tutti alla stessa conclusione, sebbene con percorsi e presupposti differenti. E la conclusione è che reddito e benessere non seguono una proporzionalità diretta: non è vero che più aumenta il reddito in egual misura aumenta il benessere. Il loro legame non è lineare, ma ben più complesso. C’è un limite, a quanto pare, oltre il quale incrementi ulteriori di reddito non comportano incrementi di benessere, che tende a rimanere costante, mentre per valori di reddito ancora superiori il benessere tende a diminuire anziché aumentare. Scioccante non è vero? Sembra impossibile. Sembrerebbe che le leggi del progresso e della crescita siano contraddette dalla scienza stessa. Questa relazione è nota come paradosso di Easterlin[8], ma pochi la conoscono, e nessuno ne parla perché potrebbe rappresentare una falla in grado di pregiudicare l’intero sistema economico-sociale».
«In effetti non conoscevo questi studi» disse l’ospite ancora più curioso «Mi piacerebbe saperne di più».
«Potrai trovare tantissime informazioni a riguardo, la letteratura scientifica è ricca di tali studi. Sarò lieto anche io di indicarti alcuni testi[9]».
«Prima hai parlato di aspetti visibili e invisibili, misurabili o non misurabili. Come si può pensare di poter misurare il benessere di una persona? Non è questa la stessa logica deterministica e scientista che tu stesso dici di voler combattere?» chiese l’ospite.
«Le tue osservazioni sono coerenti» rispose il padrone di casa «e le tue domande assolutamente pertinenti. Prima di tutto voglio precisare che non uso mai volutamente parole come “combattere”, e nessun altra che faccia riferimento allo scontro violento, come lottare, sconfiggere, battere, vincere. Credo che nelle parole, come nelle azioni, il principio guida sia sempre quello della nonviolenza.
In ogni caso, hai ragione nel far notare questa apparente contraddizione. La scienza presume di poter misurare e dimostrare ogni aspetto della vita, ma ciò non è che da ritenersi una profonda illusione, non priva di prepotenza. Questo non significa che la conoscenza scientifica debba fermarsi o debba essere misconosciuta, piuttosto occorre coltivare una saggezza molto più profonda della conoscenza scientifica che ci renda capaci di far un suo buon uso. Ho citato alcuni studi scientifici proprio per evidenziare la contraddizione in cui viviamo: quella di considerare la scienza come unica fonte di verità solo quando fa comodo al mantenimento dello status quo. È evidente che il sistema sta affrontando una crisi di tale entità perché è prossimo alla sua fine.
Detto questo, pretendere di misurare il benessere, e ancor di più la felicità, in modo rigoroso e univoco è pura incoscienza. D’altronde alcuni parametri, come l’aspettativa di vita, il livello di istruzione, il tempo libero, la qualità ambientale, possono essere degli aspetti da considerare per ottenere una rappresentazione minima, e comunque sia approssimativa, del livello di benessere di una società.
Occorre fare però una distinzione. È importante chiarire ciò che intendiamo con le parole benessere e felicità. Sostanzialmente esistono due modi di considerare la felicità: il primo è quello edonistico, a cui siamo tutti abituati e a cui l’attuale modello culturale si riferisce, ovvero una felicità basata sui piaceri personali, sulla soddisfazione del proprio ego, valutata spesso in raffronto al giudizio degli altri e sul livello di felicità raggiunto dagli altri: più la nostra felicità si discosta da quella altrui più aumenta. Si tratta quindi di una felicità esclusiva, provvisoria, non condivisibile, relativa perché fortemente dipendente dalle circostanze esterne. L’altro tipo di felicità, totalmente sconosciuta al modello di società attuale, è di tipo eudemonistica, molto più profonda e significativa, una felicità non meramente basata sui desideri personali, ma su valori che danno un senso alla vita, come l’affetto, la solidarietà, il rispetto, l’etica, l’onestà, una felicità che si accresce quando viene condivisa, una felicità concepita come ciò che unisce, accomuna, consolida. Si tratta perciò di una felicità inclusiva, duratura, condivisibile, assoluta perché indipendente dalle circostanze esterne.
Ovvio che il primo tipo di felicità è funzionale al sistema della crescita, permettendo competizione tra individui sempre più separati tra di loro, che tendono a prevaricare sugli altri e a sviluppare solo il proprio ego, il proprio piccolo io: ciò conduce a infelicità e a un senso di inadeguatezza e solitudine che devono essere colmati da continui acquisti materiali, a vantaggio della costante crescita dei consumi che il sistema richiede.
Di contro, il secondo tipo di felicità, favorendo la vicinanza tra gli individui, la loro empatia e lo sviluppo di un grande senso di appartenenza alla comunità, sarebbe altamente dannosa per l’economia della crescita e del progresso. Le persone sarebbero in grado di trovare felicità e senso alle loro vite semplicemente curando le proprie relazioni: con se stessi prima di tutto, con gli altri e con l’ambiente in generale. La vera felicità non può che trovarsi nella cura di relazioni armoniose, questo è ciò che affermano i più recenti studi delle cosiddette scienze sociali, sebbene fosse già chiaro da millenni alle più antiche tradizioni e filosofie.
Non è un caso perciò che nel mondo sovrasviluppato di oggi il malessere psichico sia in preoccupante crescita: conflitti relazionali, solitudine, dipendenze, depressione, violenze, suicidi, nevrosi. Tutto ciò è la semplice conseguenza di un modello culturale che propugna un tipo di felicità illusorio e nocivo. Ecco quindi che non si tratta meramente di una questione ecologica. Economia, ambiente e società sono intimamente legate e non possono essere trattate distintamente. Curare le malattie economiche, significa curare anche quelle ambientali e sociali, curare quelle ambientali comporta allo stesso modo la guarigione delle malattie economiche e sociali. La triplice crisi ha differenti e complessi aspetti da considerare, ma la sua risoluzione non può passare che da un unico e profondo cambiamento».
A questo punto l’ospite era assolutamente catturato dalle parole del padrone di casa, e senza lasciar passare un istante intervenne con impeto.
«Adesso che hai risposto alle mie osservazioni, la tua visione delle cose mi è più chiara. È evidente che stiamo vivendo un intenso periodo di crisi e che abbiamo bisogno di cambiare. Vorrei che tu mi spiegassi però in maggior dettaglio qual è questo “unico e profondo cambiamento”. Perché dovrebbe essere “unico”, e cosa intendi esattamente con “profondo”?».
«Ti ringrazio per queste tue importanti domande» disse il padrone di casa «Ho spesso utilizzato la metafora del treno[10] per spiegare il cambiamento che dobbiamo intraprendere, e la userò anche stavolta. La società intera è oggi un treno che viaggia su rigidi binari, dai quali è impossibile muoversi. È vero che possiede scomparti di prima, seconda e terza classe, dove la vita e gli agi sono assai diversificati, ma in ogni modo tutto il convoglio sta viaggiando a una velocità crescente verso un baratro che inesorabilmente si avvicina sempre più. Inutile che sia equipaggiato delle migliori tecnologie, che sia pilotato dai migliori esperti o che sia sostenuto dalle migliori intenzioni: presto il treno deraglierà, sprofondando nell’abisso. Se la società industriale è rappresentata dal treno, i singoli cittadini dei primi mondi e del terzo mondo sono i passeggeri delle diverse classi, i binari rappresentano la folle idea del progresso che da qualche secolo sta decidendo le sorti, non meramente degli umani, ma di tutta l’ecosfera. Allora, ecco che il cambiamento unico e profondo non è solo auspicabile, ma anche maledettamente necessario e impellente. Non può essere che “unico” perché unica è la crisi che lo ha generato, sebbene nel particolare si diversifichi in fenomeni con aspetti ben delineati e caratteristici, in ambiti apparentemente distinti. Unico perché non ci sono compromessi da intraprendere, come molti oggi tentano invano di fare. L’unica scelta che abbiamo è abbandonare al più presto il treno del progresso, non ne esistono altre. Tutto il resto si riconduce al compromesso, che di fatto non fa che rimandare, seppur per poco, il disastro. Quello che si chiama oggi green economy, o economia circolare, o sviluppo sostenibile che sia, e tutte le sue fantasiose varianti, non sono altro che compromessi inconsistenti. Nulla potranno davanti all’imminente baratro. Tuttavia, abbandonare un treno che sta procedendo a una folle velocità non è possibile senza riportare gravi danni. Per questo occorre anzitutto decelerare quanto basta per poi poter fare un salto, quell’unico e coraggioso salto che ci permetterà di salvarci prima che sia troppo tardi. Un salto nell’ignoto, molti diranno a ragione. In ogni caso, abbandonare i binari univoci del progresso significherà ricondursi a una dimensione di vita non più monodirezionale, ma dalle infinite possibilità, dove tutte le direzioni sono contemplabili, dove non esistono direzioni privilegiate, dove l’autocoscienza e l’autogoverno interiore permetteranno agli uomini di intraprendere la migliore strada per essi stessi, senza alcuna imposizione eterodiretta. Questo salto evolutivo dell’uomo dovrà coincidere con la sua riscoperta, a partire dal fondo della sua anima, vale a dire dal suo spirito: per tale motivo il cambiamento dovrà essere “profondo”.
Ecco che qui, molti, anzi tutti, anche tra quelli che troveranno queste parole sagge, non mancheranno di affermare l’impossibilità di questa mia visione, la etichetteranno semplicemente come utopia, puro idealismo, e con questo soggiaceranno alla legge del progresso eterno. Il cambiamento si fa difficile perché noi lo pensiamo così, perché da anni, decine di anni, da sempre per quanto ci ricordiamo, siamo stati abituati a concepire il mondo in un certo modo e solo tale modo per noi è reale, in quanto possibile. La società dei consumi ha compresso al minimo il nostro senso della possibilità, tanto da renderci totalmente incapaci di concepire altro da ciò che viviamo. Proprio come il treno, comprendiamo solo i binari, nient’altro. Per il treno solo i binari sono una realtà, in quanto possibilità di movimento, per il treno le strade, i ponti, i prati, i mari non hanno alcun senso di esistere. Così per noi solo il mito del progresso è reale, il resto non è contemplabile, anzi, piuttosto è inammissibile.
Deriva quindi che il cambiamento dipende da tutti, dai singoli, nessuno escluso, e dal loro senso della possibilità. Prima di concepire un salto nel vuoto, e prima di eseguirlo, occorre concepire la possibilità, e la possibilità la si crea soltanto attraverso una diseducazione civile, basata sulla disobbedienza culturale e sulla costruzione di nuovi modelli di pensiero. In tale costruzione persino la fisica ci verrà in aiuto, così come la religione, nella sua più alta accezione di filosofia più che di dottrina dogmatica. La fisica quantistica e la spiritualità ci riconducono a profondi concetti quali l’interdipendenza e la non dualità, l’impermanenza e la non località dei fenomeni. Queste saranno le fondamenta di un nuovo paradigma culturale per uscire dal conflitto e dall’illusione».
«A sentire queste tue parole» intervenne perplesso l’ospite «pare un’operazione assai complessa questo cambiamento che tu auspichi. Ha con sé sia degli elementi culturali, più superficiali, sia degli elementi invece spirituali più profondi. Potresti, per favore, fare chiarezza su tali principi, e dire, se esiste, qual è il principio ultimo su cui il cambiamento si regge».
«Le tue osservazioni sono molto preziose» riprese il padrone di casa «In effetti, il cambiamento è identificabile in più livelli: spirituale, culturale e tecnico. Sicuramente i primi due livelli sono quelli più importanti, a cui oggi, infatti, non viene prestata alcuna attenzione. Il livello spirituale è del tutto inesistente, mentre quello culturale è totalmente atrofizzato dal pensiero dominante. Dovresti immaginare questi tre livelli come i piani di un edificio: le fondamenta sono il livello spirituale, invisibile ai sensi fisici, quello su cui poggia l’intera struttura, che deve essere solido e profondo, il piano terreno rappresenta il livello culturale, mentre ogni piano superiore rappresenta la tecnica. I principi spirituali e culturali sono i pilastri portanti dell’edificio. Tutti sono fondamentali, ma vi è un principio che sorregge tutti quanti, si potrebbe dire che esso rappresenti la terra stessa su cui le fondamenta poggiano. La terra, il pilastro di tutti i pilastri, è la Legge. L’unica legge fondamentale della vita, che permette ogni fenomeno, che è ogni fenomeno, che è la vita stessa. “È una realtà inafferrabile che trascende sia le parole sia i concetti di esistenza e di non esistenza. Non è né esistenza né non esistenza, e tuttavia manifesta le proprietà di entrambe. È la mistica entità della Via di mezzo che è l’unica vera realtà”[11]. Questa Legge ha un nome, e il nome è la Legge stessa, ovvero Nam myoho renghe kyo. È la vita l’unico fondamento, non ne possono esistere altri. La vita è Una, e Una è la verità, sebbene ogni essere senziente percepisca la propria personale realtà. E proprio sulla concezione spirituale prima, e culturale poi, della vita si edifica una società intera e si decide il suo futuro.
In particolare, la vita è un pulsare ritmico eterno e compassionevole, che muove nell’alternarsi di nascita e morte, come un’onda sinuosa, costante e durevole. La vita umana non fa eccezione, nella sua parte più pura e profonda, lo spirito umano è eterno, assoluto, unico, senza origine, senza meta, senza spazio e senza tempo. Questa è la coscienza umana più profonda. Chiamata anche coscienza Amala[12]. Da ciò, culturalmente, deriva che la morte non è la fine della vita, ma solo di una esistenza, limitata e circoscritta, non è qualcosa da cui rifuggire, non ha alcun connotato negativo di per sé. Lo stesso vale per il dolore. La società progressista rinnega la morte, desidera sconfiggerla, perché riconosce nei limiti fisici un ostacolo da abbattere, in quanto impediscono il progresso eterno. Perciò, anziché rifuggire dal dolore e dalla morte, tentando di eliminarli dalle nostre vite, dovremmo riconoscerli come parte essenziali della vita stessa, non ostacoli, né tanto meno qualcosa da estirpare con violenza. Aprire i nostri cuori a una nuova spiritualità, entrare in vivo contatto con il nostro grande io, l’io più profondo e vero, ci permetterà di riconcepire la nostra esistenza dal punto di vista sia culturale che pratico. Questo dovrebbe essere l’ordine corretto, prima si costruiscono le fondamenta, poi il primo piano e poi i piani superiori, sebbene il cambiamento avvenga di fatto simultaneamente, rendendo impercettibile la sua sequenza».
«Quello di cui mi stai parlando» disse l’ospite non riuscendo a trattenere una certa commozione «è davvero illuminante. Sono parole colme di saggezza e compassione. Non riesco a credere che solo pochi minuti fa la nostra conversazione sia cominciata con un tuo elogio del pessimismo. Ben poco pessimismo riesco a individuare nel tuo pensiero».
«Se ricordi ti avevo avvertito che ti avrei condotto a tutt’altro tipo di ottimismo, non quello incosciente e superficiale, basato sul progressismo materialista, ma a un ottimismo consapevole e profondo, basato sulla Legge eterna della vita. Questo tipo di ottimismo, non esclude la preoccupazione reale e concreta per le sorti dell’umanità e della vita tutta, questo tipo di ottimismo è l’unico in grado di espandere il nostro senso della possibilità e permettere a ognuno di noi di fare quel salto evolutivo di cui abbiamo urgente bisogno. Dobbiamo avere fiducia nel nostro potenziale interiore, infinito ed eterno, per poter cambiare i principi su cui si basa il nostro cuore. Solo allora, dopo che tale cambiamento sarà attuato, nello stesso momento, come se non fosse passato il tempo, vedremo i cambiamenti riflettersi nella società, nell’ambiente, nella politica. Voler invertire tale cambiamento sarebbe come aspettarsi dei fiori dai frutti, o come attendere l’inverno dopo la primavera».
«Ti ringrazio per questa conversazione» disse l’ospite alzandosi dalla poltrona sulla quale era seduto «Adesso devo andare, ma porterò le tue parole con me. Mi auspico davvero che esse si concretizzino in un reale cambiamento della società per la felicità di tutto il pianeta. Da oggi vedrò il mondo e la vita con altri occhi, occhi rinnovati, dileguati dalla nebbia che li avvolgeva. Da oggi muterà anche il mio comportamento: ogni azione sarà il riflesso di una nuova coscienza, consapevole, responsabile, accorta. Mi rendo perfettamente conto che sarà una goccia in un oceano, un granello di sabbia in un deserto, ma per quanto irrilevante al confronto della massa il mio contributo sarà prezioso. Dopotutto anche il più vasto oceano è composto da semplici e identiche gocce d’acqua, lo stesso vale per la sabbia del deserto. La mia parte, perciò, ispirata da principi etici e da un cuore aperto, saprà valorizzare il tutto, diventandone sostanza costituente, da cui un giorno potrà sorgere altro: come da un piccolo e inerte seme, nel silenzio, sorge un germoglio.
Parlerò, come tu hai parlato a me oggi, ad amici e conoscenti. Cercherò di trasmettere loro il seme del cambiamento che tu hai posato in fondo al mio animo e attenderò colmo di fiducia il dischiudersi di tanta energia. Ti ringrazio ancora».
Dopo un breve saluto e un abbraccio, i due amici si lasciarono.
Firenze, 27 maggio 2019
[1] Nichiren Daishonin, Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, 1260
[2] Triplice crisi: la crisi ambientale, la crisi economica e sociale, e la crisi spirituale
[3] Secondo uno studio dell’IPCC abbiamo a disposizione soltanto dodici anni per arrestare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi di aumento.
[4] Si veda: William Stanley Jevons, The Coal Question; An Inquiry Concerning the Progress of the Nation, and the Probable Exhaustion of Our Coal Mines, 1865.
[5] Economia: dal greco οἶκος (oikos), "casa" inteso anche come "beni di famiglia", e νόμος (nomos), "norma" o "legge". Ecologia: dal greco: οἶκος, oikos, "casa" o anche "ambiente"; e λόγος, logos, "discorso" o "studio".
[6] Si veda: Guido Dalla Casa, L’ecologia profonda, Mimesis Edizioni.
[7] “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista”.
[8] Una nozione introdotta nel 1974 da Richard Easterlin, professore di economia all'Università della California meridionale e membro dell'Accademia Nazionale delle Scienze.
[9] Solo a titolo d’esempio ricordiamo “Manifesto per la Felicità” di Stefano Bartolini e “L’economia del Buddha” di Clair Brown.
[10] Si veda altri miei scritti come “Decrescita Felice e Rivoluzione Umana” e “Ritorno all’Origine”.
[11] Nichiren Daishonin, Il conseguimento della Buddità in questa esistenza
[12] Per approfondire sulle nove coscienze si veda: Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, cap.VI e Richard Causton, La meravigliosa legge del Loto, pag. 176.
Foto di Sance
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