«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 27 luglio 2015

Il pianeta Terra ai tempi di Kosen rufu - parte 11/13


Progetto Crono.

Giorno cinque.

Stasera siamo andati tutti insieme, Nicholas, i suoi figli più piccoli e altri amici, in un grande prato poco distante a vedere le stelle. 

Le poche e tenui luci della città e l’assenza di inquinamento atmosferico rendono il cielo notturno cristallino, nitido come un vetro ben pulito, perfetto. Sembra quasi che lo si possa toccare, alzando un braccio verso l’alto. 

Le persone si raccolgono in gruppo e cominciano a recitare un mantra, poi cantano, o così pare a me. Cantano con voci vibranti di passione. Nella penombra riesco a vedere comunque l’emozione nei loro volti. Anche io mi emoziono. Non capisco affatto quello che stanno facendo, ma ne rimango travolto. C’è un’energia positiva, un benessere che si respira, di cui tutto l’ambiente è contaminato.

Finito il canto, accendiamo delle candele e cominciamo a fare dei giochi. Tutti si divertono, ridendo e scherzando. Alcuni ragazzi più giovani si allontanano nell’oscurità in gruppo. 

Sembra che non ci siano mai state altre notti prima di questa. Sento che non ci può essere armonia più vasta.



Progetto Crono.

Giorno sei. 

Oggi ho chiesto a Nicholas se può farmi vedere le “fabbriche” dove costruiscono tutto quello di cui hanno bisogno, dai vestiti ai materiali più disparati. 

Domani dovrò rientrare e penso di poter raccogliere ancora delle informazioni utili. In realtà il messaggio che porterò sarà un semplice ma vero messaggio di speranza e determinazione. Adesso sappiamo che possiamo davvero cambiare il mondo. Io sono testimone di questa speranza. 

Iniziamo col visitare il primo laboratorio artigianale.

«Qua costruiscono piatti, vasi, recipienti, ogni cosa in ceramica e terracotta» dice Nicholas mentre entriamo. 

Mi stupisco nel constatare che si tratta semplicemente di botteghe artigiane, come esistevano in passato, dove un maestro insegna e molti apprendisti “accolgono l’arte del fare” come mi dice Nicholas. Se non fosse per qualche accortezza in più dal punto di vista ecologico, direi che si tratta di attività del tutto conosciute, niente di eccezionale, nessuna scoperta scientifica sensazionale o tecnologia avanzata. 

Lo stesso vale per il maglificio e il tessificio dove si producono vestiti e tessuti. Poi passiamo allo strumentificio dove si creano differenti tipi di strumenti, dai coltelli alle zappe, dai secchi alle forbici. Poi in un mobilificio, un calzaturificio e un erbaiolo dove si raccolgono erbe e si creano composti per ogni tipo di disturbo o per diete specifiche. 

«E per i materiali da costruzione come fate? Cemento, acciaio … »

«Tutti gli edifici sono fatti in terra e paglia, e con legno per le strutture più problematiche»

«Quindi non esistono industrie di nessun genere?»

«Qui a Gardenia no, in alcune macroregioni ci sono delle industrie ma sono più che altro dei laboratori tecnologici o chimici dove si creano elementi elettronici oppure composti chimici e dove tutti i materiali impiegati vengono riutilizzati al cento per cento»

Non avrei mai pensato che fosse stato possibile un mondo senza automobili, senza industrie, senza denaro. E tuttora che ci sto vivendo, mi pare ancora impossibile. 

Mentre mi avvio alla fine del mio viaggio nel futuro mi rendo sempre più conto che non esiste nessuna scoperta sensazionale, nessuna tecnologia o innovazione avanzata che potrà risolvere ogni problema. Piuttosto sarà un ripensamento totale della nostra vita e della nostra visione delle cose. 

Sorrido a Nicholas che mi guarda con curiosità, accorgendosi della mia espressione di stupore e incredulità. 


Nel pomeriggio decido di fare una passeggiata tra gli alberi, lungo il fiume. Per riflettere e pensare ancora a cosa posso raccogliere prima del mio ritorno. Mancano poco più di ventiquattro ore. Mi devo preparare. Non ho tempo da perdere. 

Lungo la sponda del fiume, all’ombra di un salice, siede una donna. Porta un fiore azzurro sul vestito e mi guarda con intensità struggente. 

Mi ricordo l’episodio di Faust. Il fiore azzurro indica il proprio desiderio di conoscere persone, di entrare in relazione affettiva con qualcuno. Il solo pensiero mi imbarazza e mi emoziona. Sto per passare oltre e far finta di niente. 

Decido poi, senza vera cognizione, di avvicinarmi alla donna e di rivolgerle un saluto spontaneo. Senza malizie. Lei sorride, e cominciamo a parlare. Mi invita a sedermi accanto a lei. 

Si chiama Creta e ha occhi verdi, di fata. 

C’è un’attrazione, un’elettricità tra di noi, qualcosa che non posso descrivere. Siamo due tipi diversi, anche se non ci conosciamo, questo è evidente. La mia formazione militare e la mia dedizione all’ordine e alle regole non hanno niente a che fare con i suoi sguardi e suoi sorrisi, liberi, espressivi, genuini. 

L’attrazione che provo per Creta non è soltanto fisica, è un affetto, una tenerezza che neanche credevo di possedere. Lei è stata capace in pochi istanti di svelarmi infiniti sentimenti, nascosti. 

Ce ne andiamo per una passeggiata, poi ci fermiamo a casa sua e lì mi invita ad entrare per bere qualcosa insieme e continuare la nostra conversazione. 

Il suono della sua voce è la melodia più dolce che abbia mai sentito. Il suo volto l’espressione di gioia più pura che abbiamo mai visto. Il suo solo contatto il brivido più potente che mi abbia mai colpito. 

Facciamo l’amore per ore. Non so quante. 

Sappiamo pochissimo l’uno dell’altro, ma ci intendiamo alla perfezione. Ciò mi stupisce, e mi rasserena profondamente. Faccio il miglior sesso della mia vita, in una maniera così intensa e così semplice che mi sembra di aver perso oggi la mia verginità. 

Ci salutiamo con baci e carezze. Io le dico che devo partire. Lei mi dice semplicemente che avrebbe piacere di ricontrarmi presto. Non aggiungo altro, non le spiego altro, ci lasciamo come degli amanti sicuri di un loro prossimo incontro d’amore. 

Tornando verso casa di Nicholas per la cena, mi sento come un neonato al suo primo vagito.

Domani è il mio ultimo giorno a Gardenia. Il mio ultimo giorno nell’anno duemilasettanta.

lunedì 20 luglio 2015

Il pianeta Terra ai tempi di Kosen Rufu - parte 10/13



Progetto Crono.

Giorno cinque. 

Nicholas mi è venuto a svegliare presto stamattina. 

Mi ha detto: «Svelto, vestiti che ho prenotato i biglietti del treno»

Andiamo alla stazione e partiamo con un treno, rapido e silenzioso. 

«Tutto a energia solare» mi dice con soddisfazione Nicholas. 

«E di notte come fate?»

«Di notte i consumi sono minimi, sono più che sufficienti le turbine posizionate nelle cascate dei fiumi e i motori a biogas che utilizzano tutti gli scarti organici della città»

Usciamo in breve dalla città. La campagna è totalmente immersa nel verde, ed anche qua le persone si spostano a piedi e in bicicletta o con mezzi a pedali. 

«Dove andiamo?» chiedo con trepidazione.

«È una sorpresa» e non aggiunge altro. 

Il viaggio dura poco più di un’ora. Il paesaggio adesso è totalmente cambiato. Ci sono pochi alberi e si respira un’aria pesante. Attraversiamo un piazzale lastricato e ci troviamo davanti a delle torri e delle mura fortificate. Un grosso portone sta al centro e sopra di esso una scritta rossa: “Parco regionale dell’era pre-transizione”. Rimango sbigottito. 

«Che cos’è?»

«Questo è uno dei pochi feudi rimasti in questa regione. Dopo il collasso ambientale ed economico degli anni venti, sono sorti in tutto il mondo dei veri e propri feudi moderni. Con l’indebolimento dei governi nazionali, le persone più ricche e influenti si sono dotate di armamenti ed eserciti e hanno costruito mura attorno alle loro proprietà. Agglomerati urbani e territori interi sono stati così preservati nel tempo. All’interno di questi feudi le persone lavoravano per il padrone, chi come contadino, chi con altri servigi, proprio come nel Medioevo. Questo feudo in particolare è stato lasciato intatto anche dopo la Grande Transizione perché racchiudeva un’intera città ben conservata, e adesso è adibito a parco protetto, una sorta di museo a cielo aperto. In questo posto potrai vedere come usavano vivere oltre cinquant’anni fa le persone. È molto interessante, tutti i ragazzi vengono portati qua in gita. E notando che sei così interessato alla storia, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere visitarlo»

«Sicuramente»

Varchiamo la soglia di ingresso al parco. Attorno a noi non ci sono molte persone, se non qualche gruppetto di giovani che segue le spiegazioni di quella che pare una guida. 

Su alcuni cartelli è scritto ben in evidenza: “Parco artificiale protetto”, “Entrata libera, si prega di mantenere un comportamento rispettoso e di non toccare niente”, e ancora “Per la vostra sicurezza seguite il tracciato colorato”. 

Mi ritrovo immediatamente nel bel mezzo di una città: strade asfaltate, macchine parcheggiate ovunque, semafori, lampioni, cartelloni pubblicitari, spazzatura ovunque, scritte sui muri di enormi palazzi, poi infondo alla strada principale, a qualche isolato di distanza, si scorgono grattacieli e negozi con grosse insegne al neon. Tutto inerte, tutto spento, tutto silenzioso. 

Ci inoltriamo nella giungla urbana, seguendo una striscia colorata sull’asfalto. 

Nicholas mi spiega che le città non erano pensate per gli esseri umani. 

«Le città erano pensate e progettate per le automobili. Ogni parte della città era ricoperta di materiale grigio impermeabile per permettere il transito delle automobili. Ogni persona ne possedeva una: una macchina ingombrante, inquinante e molto pericolosa, che arrivava a pesare anche oltre dieci volte il peso di una singola persona»

Mi fa vedere un incrocio, dove è simulato un ingorgo di traffico.

«Le automobili erano così tante che occupavano tutto lo spazio e si bloccavano sempre creando dei blocchi. Le persone stavano dentro le auto, ben chiuse. Pochissime erano le persone che andavano a piedi, spesso le persone più povere che non avevano i soldi per comprarsi un auto, che comunque desideravano ardentemente possedere»

Mi spiega il funzionamento dei segnali stradali, dei semafori. Poi entriamo in un enorme piazzale stracolmo di automobili. 

«Venivano chiamati “parcheggi” erano ampie zone piene di macchine ferme. Spesso le persone dovevano pagare per tenere la propria auto ferma in un parcheggio e ci voleva tanto tempo per trovare un posto»

Visitiamo anche l’interno di un’abitazione. Qui, dice Nicholas, la macchina che faceva da padrona era la televisione, poi sostituita in parte dai computer e da apparecchi mobili sempre più avanzati.

«Le persone vivevano in grandi edifici suddivisi in piccole stanze. Si chiamavano “appartamenti”. Tutto era studiato per isolare le persone e metterle in competizione. Era molto difficile entrare in relazione con gli altri e persino nelle mura di casa le conversazioni erano rarissime, dato che ognuno aveva il suo televisore o apparecchio elettronico con il quale interferire»

In alcune stanze sono ricreate le situazioni familiari tipiche di quell’era: ci sono fantocci davanti alla televisione, altri davanti a un computer, altri ancora che giocano con videogiochi di realtà virtuale. 

Il tour del parco prosegue nell’area industriale, dove si possono visitare fabbriche e grandi capannoni. 

«Il mondo pre-transizione era basato sullo sfruttamento indiscriminato di tutte le risorse della Terra. Si era arrivati a produrre sempre più velocemente e si doveva perciò consumare sempre più velocemente, fino a che il sistema è crollato su sé stesso» mi spiega ancora Nicholas.

In conclusione, arriviamo alla ricostruzione di una discarica: una montagna di rifiuti reali si alza per metri e metri sopra di noi. Accanto un edificio con tante ciminiere. Nicholas lo indica e mi dice: «Quello là è un inceneritore, una delle follie più grandi dell’uomo. Dato che produrre e consumare sempre più aveva fatto sì di accumulare grandi quantità di rifiuti, pensarono bene di bruciarli, andando a peggiorare pesantemente la situazione dell’inquinamento già molto grave»

Mentre torniamo verso casa, sul treno Nicholas si accorge che mi sono fatto più cupo e pensieroso e mi dice: «So che vedere tutto questo non è stato bello, perciò per stasera ho pensato a qualcosa per tirarti un po’ su il morale» e sorride.

lunedì 13 luglio 2015

Il pianeta Terra ai tempi di Kosen Rufu - parte 9/13



Progetto Crono. 

Giorno quattro. 

Sono tornato in biblioteca e ho ripreso lo studio dei documenti da dove mi ero interrotto. 

Negli anni successivi, i primi anni trenta, si è andato formando la cosiddetta “rivoluzione invisibile”. Sempre più persone si sono unite spontaneamente condividendo soluzioni, saperi, affetti, espedienti. Sono state buttate rapidamente le basi di una nuova cultura, le persone di ogni parte del pianeta hanno capito che per continuare a vivere in pace e serenità avrebbero dovuto recuperare molto dal passato, ma avrebbero dovuto anche trasformare il loro stato interiore. Una nuova filosofia di vita e una nuova visione del mondo si sono diffuse, prima a macchia di leopardo, poi sempre più efficacemente in una rete di relazioni cuore a cuore, di miriadi di cambiamenti individuali che si sono rispecchiati in un cambiamento globale. 

Questa epoca, gli anni trenta, fu poi battezzata dagli storici “La Grande Transizione”, dove la parola d’ordine era la sostenibilità ambientale, economica e sociale della civiltà umana, in breve la felicità di tutto il genere umano e di tutto il suo ambiente. 

Come manifesto di questa transizione fu scelta la massima gandhiana: “Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo”, e uno dei testi che ha più rappresentato e influenzato questo processo di cambiamento è stato un libro scritto anni e anni prima, attorno al duemilatredici e che sintetizzava con efficacia le basi spirituali, culturali e tecniche del cambiamento. Questi principi sono stati poi raccolti nella Carta del Pianeta Terra che oggi tutti i bambini conosco a memoria. 

È stata poi scelta la data della Conferenza di Budapest del ventisei ottobre duemilatrentasei, dove è stata presentata ufficialmente la Carta a tutto il mondo, come ricorrenza da festeggiare in onore del cambiamento in atto, data che poi ha preso il nome di “Giorno del Risveglio”. 

Gli stili di vita sono stati stravolti, la tesi di fondo era che la felicità e il benessere umano dipendono in minima parte da aspetti materiali e in larghissima parte da aspetti interiori e di relazione. Perciò l’economia è passata dall’essere il semplice scambio di beni e servizi sempre più abbondanti, a riguardare essenzialmente il benessere psico-fisico umano, considerando ogni minimo impatto sull’ambiente. Sono state prese decisioni drastiche e risolute. Sono stati dismessi interi reparti produttivi, lo stesso sistema industriale è stato fortemente ridimensionato, tante tipologie di industrie sono totalmente scomparse. 

Ho trovato un articolo particolarmente curioso sul periodo della Grande Transizione. 

Ne riporto un pezzo: “Comunque la parte più interessante è stato il lavoro svolto dalle centinaia, forse migliaia, di associazioni culturali e ricreative che hanno fornito sempre nuovi spunti di riflessione per cambiare la visione distorta della vita e condurre l’uomo a un’esistenza molto più semplice, molto più genuina, molto più vera”. 

E ancora: “Una delle caratteristiche più importanti della Grande Transizione è stata la totale assenza di personaggi di carisma, di rilievo, nessun tipo di leader, locale o mondiale, ha guidato la transizione degli anni trenta: è stato forse un fenomeno interamente elaborato e gestito dalla coscienza umana collettiva? O forse dalla forza invisibile che permea l’intero cosmo?”. 

Durante gli anni quaranta si sono manifestati i primi effetti positivi della transizione. Il primo febbraio del duemilaquarantuno viene oggi festeggiato come giornata mondiale della pace e della felicità. In tale data si festeggia, infatti, la cessazione dell’ultimo conflitto sul pianeta. Molte foreste sono state recuperate, molti terreni sono tornati fertili, il livello dell’oceano ha smesso di crescere e il quantitativo di anidride carbonica in atmosfera ha cominciato a stabilizzarsi e poi a decrescere rapidamente. 

Solo alcune isole nel Pacifico, dove l’Onu, la Nato e l’OISFU e tutti i principali potenti del mondo si erano rifugiati con enormi scorte di risorse strategiche, non erano state minimamente intaccate dalla Grande Transizione degli anni trenta, un movimento di trasformazione che aveva raggiunto persino i paesini montani più sperduti e le aree più remote. Queste isole, in gran parte artificiali, erano diventate conosciute con il nome di “isole dimenticate”, i luoghi dove ancora si pensava e si viveva come nel secolo precedente, alle dipendenze dei soldi, delle macchine, del petrolio, e con stili di vita nocivi sotto molti punti di vista. 

L’epoca successiva alla Grande Transizione è stata denominata da molti storici l’epoca di “Kosen Rufu”, un termine che è diventato popolare sul finire degli anni quaranta. Kosen Rufu è un termine giapponese che sta per “propagare in modo ampio” e si riferisce alla diffusione su scala mondiale della filosofia del buddismo per il rispetto e la sacralità della vita. In generale, è andato a indicare una nuova fase storica nella quale l’uomo ha abbandonato l’ambizione di un progresso materiale eterno e la cieca fiducia nella scienza e nella tecnologia per dare libera espressione all’illimitata interiorità di ogni essere vivente, possente espressione della “Legge Universale”. 

A quanto pare, lo stesso concetto di Dio, o di una qualsiasi forma divina distaccata dall’uomo è stata superata, e la maggior parte delle religioni e delle filosofie spirituali fanno riferimento a una “legge universale”, detta anche “legge cosmica” o “legge mistica”: il fondamento della vita e di tutto ciò che si manifesta sotto forma di fenomeni, percettibili o impercettibili. 

La Grande Transizione ha visto anche la fine delle forme di governo degli Stati-Nazione, l’umanità è riuscita nell’utopia di darsi un’organizzazione non piramidale, in cui le varie comunità sono largamente indipendenti e strettamente interconnesse tra di loro. L’amministrazione, la politica, l’economia e la vita sociale in genere sono tutte strutturate su base locale. Esistono nel mondo milioni di macroregioni, alcune non formalmente costituite, che rappresentano la base organizzativa dell’intero pianeta. 

C’è un concetto che viene ripetuto in molti dei testi che ho letto. Ovvero che l’unico modello di sviluppo possibile è quello che non prende in considerazione nessun modello come riferimento: perché, riporto le parole esatte del libro, “l’unico discriminante possibile è la felicità di ogni essere umano, e la felicità di un individuo, per essere tale, non può assolutamente essere in contrasto con la felicità di un altro individuo o del suo ambiente, perché tutto è unito, interconnesso. Perciò, solo un mondo in cui tutti possono realizzare i propri sogni senza creare contrasti è un mondo che ha un futuro”. 


Ho fatto tardi in biblioteca. 

La bibliotecaria ha detto allora a me di chiudere la biblioteca una volta che avessi finito, perché lei se ne andava a casa. Io le ho chiesto se non aveva paura che portassi via dei libri o che combinassi qualcosa di male. Lei ha riso, come se fosse un gioco. 

Prima di andare a dormire, ho passeggiato al chiaro di luna per i sentieri della città, tra gli alberi e le case, tra cespugli selvatici e orti condivisi. Come è possibile che il mondo sia stato stravolto in così poco tempo? Allora è davvero possibile un cambiamento inimmaginabile? Forse non c’è alcun bisogno di tecnologie fantascientifiche o di colonizzare altri pianeti per continuare a vivere? 

Tutti gli scenari che avevano previsto gli scienziati non si sono verificati: né l’estinzione dell’essere umano, sicuramente la peggior ipotesi, anche se è stata sfiorata, né la colonizzazione dello spazio, né tantomeno l’affermarsi di supertecnologie salvifiche. 

Forse è stata proprio l’illusione che ci dovesse essere una ragione, la ragione dell’uomo dominante, il progresso lineare e incontrastato dell’uomo, un’unica strada per un mondo migliore, a metterci davanti ai limiti del pianeta e al rischio della nostra fine. E forse è stato proprio grazie a questo che abbiamo deciso di svoltare, di non inseguire più nessuna direzione specifica. 

Non ho risposte per adesso, solo riflessioni. Ma sono certo che quando tornerò indietro nel tempo, e avrò concluso la mia missione, nulla sarà più come prima. 

martedì 7 luglio 2015

Il pianeta Terra ai tempi di Kosen Rufu - parte 8/13



Progetto Crono.

Giorno Tre

Oggi sono andato alla biblioteca, nell’archivio storico, e mi sono dedicato alla lettura di articoli di giornale e almanacchi. 

Queste le informazioni di rilievo che ho potuto ricavare.

Alla metà degli anni venti la situazione mondiale è precipitata. L’episodio emblematico di questo tracollo è stato la carestia dell’estate del duemilaventicinque. Disastri ambientali di vario genere e l’inaridimento dei terreni sovrasfruttati e imbottiti di prodotti chimici hanno causato la più grande tragedia di tutta la storia dell’umanità. In tutto il mondo si contano un miliardo e mezzo di vittime alla fine del decennio. Disordini e guerre civili hanno destabilizzato paesi come la Cina, l’India, il Brasile e il Messico. A Rio de Janeiro nel settembre del duemilaventisei i militari sono intervenuti per sedare una rivolta popolare che reclamava prezzi più bassi per il cibo e l’acqua, oltre mille persone sono state uccise in un solo giorno. Le nazioni unite e l’Onu, assieme agli organi direttivi dell’OISFU sono stati trasferiti nel mezzo dell’Oceano Pacifico in una base militare super fortificata su un arcipelago di isole artificiali indipendenti e autonome. 

Tante sono state le crisi di governo. Molti paesi occidentali sono passati alla dittatura militare o di una ristretta oligarchia finanziaria. L’Unione Europea è stata divisa in tre aree di influenza: la zona nord agli americani, quella est alla Russia, mentre la fascia mediterranea è diventata una colonia delle alleanze arabe. 

Stati Uniti assieme a Canada, Inghilterra e Australia hanno dichiarato guerra al blocco asiatico composto da Cina, Russia e Corea. La terza guerra mondiale era inevitabile. L’alleanza araba composta da Iran, Siria e Egitto è subentrata come terza controparte. Gli ultimi mesi dell’anno duemilaventotto hanno visto bombardamenti diffusi nelle principali città cinesi e russe da parte degli americani. Nel gennaio del duemilaventinove Washington è stata rasa al suolo da una bomba nucleare cinese. L’America ha subito risposto con due bombe nucleari, una ad Hong Kong, l’altra a Shangai. Cinquanta milioni di morti in pochi giorni. 

Qualcosa però è successo alla fine degli anni venti. Qualcosa che non è facile ricostruire dai documenti, perché non si sa, con esattezza, cosa sia accaduto. Proprio quando il crollo della civiltà umana era sembrato ineluttabile, un cambiamento ha cominciato a manifestarsi. Milioni e milioni di persone di tutti i paesi, di tutte le estrazioni sociali, di ogni cultura, sono scesi nelle piazze, accampandosi con tende e mezzi di fortuna, gridando il loro no alla guerra, per giorni e giorni, per mesi, con il freddo con la pioggia, sotto il sole. Giovani, anziani, uomini, donne, malati. Tutti hanno partecipato. Alcuni storici l’hanno chiamato il movimento “Delle mani alzate”, tutte le persone in ogni parte del mondo manifestavano nelle strade e nelle piazze semplicemente sedendosi a terra e levando le braccia in alto, in atto di resa, ma anche come segno di non voler essere considerati complici di tutta la violenza che stava avvenendo.

Questa è la sintesi di quello che ho potuto studiare oggi nei documenti della biblioteca. Domani tornerò per proseguire con questo lavoro di documentazione storica. 



Progetto Crono.

Giorno tre.

La sera sono uscito con Nicholas e la sua famiglia. Mi spiegano che ogni sera ci sono iniziative culturali differenti. Il lunedì solitamente è il giorno della poesia e della letteratura, martedì il giorno della pittura e della scultura, mercoledì il giorno della musica, giovedì del teatro, venerdì del cinema e il sabato la danza, mentre la domenica è dedicato alla spiritualità e alla meditazione.

Perciò oggi tocca al teatro e Nicholas è emozionato come un bimbo per il debutto della sua nuova commedia.

«L’ha scritto il babbo insieme allo zio» mi dice Jeremy sorridendo.

Nel piazzale delle arti tutto è stato sistemato per lo spettacolo e molta gente si scambia saluti e parole cariche di gioia. 

Suellen, la compagna di Nicholas, mi spiega che tutte le attività culturali sono a spese della comunità, che nessuno viene retribuito per il suo impegno, tutti sono invitati a esprimersi attraverso le varie compagnie culturali.

«Ci sono pittori, scultori, cantanti, scrittori di tutte le età e per tutti i gusti. Ognuno si esprime a modo suo. Tutti sono artisti creatori, ma anche spettatori. In passato molte guerre e violenze sono state fatte perché le persone non riuscivano a esprimere il loro lato creativo. Per questo adesso tutti hanno occasione di trovare il loro miglior modo di esprimersi e di farsi ascoltare. Non esistono più le celebrità come una volta, siamo un po’ tutti speciali, ognuno a suo modo» 

Inizia lo spettacolo. 

La scenografia è semplice e l’atmosfera suggestiva. Le scene si susseguono in un crepitio di risate. Le persone si divertono e si scambiano commenti. 

Finito lo spettacolo il pubblico esplode in uno scroscio di applausi e di incitamenti. Gli attori sul palco ringraziano, proprio come fossero delle vere e proprie star di successo. 

Quando rivedo Nicholas, ancora con il trucco sulla faccia, mi chiede spontaneamente:

«Ti è piaciuto?» 

Io sono assolutamente sbalordito e non riesco a dare una risposta completa.

«Tu invece in che tipo di attività creativa ti piace cimentarti?» mi chiede.

«Io non ho mai fatto nessuna attività artistica in vita mia» rispondo, pensando al mio addestramento militare. 

Mentre torniamo a casa a piedi, mi si avvicina e mi dice:

«Domani vorrei mostrarti un posto fuori città, se ti va. Che ne dici?»

Dato che domani voglio tornare in biblioteca, ci accordiamo per il giorno successivo.


giovedì 2 luglio 2015

Il pianeta Terra ai tempi di Kosen Rufu - parte 7/13





Progetto Crono.

Giorno due.

Dopo una colazione a base di frutta, ci rechiamo al posto di lavoro di Nicholas. In bicicletta.

«Ma quando piove come fai ad andare in bicicletta?» gli chiedo curioso.

«Mi copro» risponde sbalordito «abbiamo impermeabili. Anche se molti dei posti di lavoro quando piove molto o c’è mal tempo non aprano neanche, se non è necessario»

Nicholas lavora in un ufficio che si occupa di riparare le case e ogni edificio. Lavora quattro ore al giorno, ma alterna tre giorni di lavoro a tre giorni liberi. Mi dice che nessuno lavora di più. Mi dice anche che il suo stipendio è più che sufficiente per la sua famiglia, perché la maggior parte dei servizi sono gratuiti, compreso le case, il cibo e l’acqua. Ma la cosa che mi sbalordisce di più è che lo stipendio non è fatto di soldi.

«I soldi sono stati superati negli anni trenta. Abbiamo “i punti”, sono come dei buoni, possono essere spesi solo per certe cose, ma nella maggior parte dei casi, non ne abbiamo bisogno, voglio dire nella vita di tutti i giorni non li usiamo perché otteniamo gratuitamente quello di cui abbiamo bisogno e condividiamo e scambiamo quello che abbiamo o produciamo. I punti li usiamo solo per comprare cose che vengono prodotte dagli artigiani, o le tecnologie che vengono dai laboratori»

Entro nel suo ufficio. Sulla scrivania ci sono tanti fogli e una macchina da scrivere.

«Non hai un computer?»

«No, nel mio lavoro non ne ho bisogno. Usiamo la tecnologia dove è necessaria e soprattutto il grado di tecnologia adatto per una determinata applicazione. Io non uso molta carta e mi occupo principalmente di coordinare il lavoro di riparazioni in base alle segnalazioni che abbiamo del mio distretto»

Mi presenta dei colleghi e mi offre un caffè.

«Come vedi non usiamo più bicchieri di plastica. L’usa e getta è sparito da diversi decenni. È stato prima scoraggiato in tanti modi e poi bandito per legge. Tutto viene riusato più volte, e quando è logoro viene riparato o recuperato»

«Nessuno indossa la giacca e la cravatta?»

«Ah, non va più di moda da un pezzo. A dire il vero non esiste più una moda ben precisa, ognuno indossa ciò che gli piace. Pensa ieri ho visto il sindaco di Gardenia tenere un discorso in aula con una maglietta arancione»

Chiedo a Nicholas dove posso trovare delle informazioni dettagliate sulla storia e sulla situazione mondiale attuale. Nicholas mi dice che in biblioteca posso trovare tutte le informazioni che cerco, su libri e filmati. 



Progetto Crono.

Giorno due.

Nel pomeriggio i figli di Nicholas mi invitano ad andare con loro al lago. Io accetto. 

Rimando a domani la visita in biblioteca. Penso che anche i giovani possono essere una fonte di informazioni che possono essere utili al progetto Crono. 

In una piazza prendiamo uno strano mezzo a pedali, composto di più carrozze, come se fosse un treno dove ogni passeggero fa la sua parte pedalando. 

«È la prima volta che prendi un trenociclo?» mi chiede Jeremy, il figlio più piccolo.

«Sì, dalle mie parti non esistono. Ma è divertente mi sembra di tornare bambino»

Ha dei sistemi di trasmissione molto semplici, simili a quelle delle biciclette, il telaio è molto leggero e ciò gli permette di viaggiare velocemente e senza fatica. 

Poco dopo usciamo dalla foresta e si aprono dei campi, dove non mancano però alberi, per lo più da frutta. 

Scendiamo, dopo aver chiamato la fermata con un campanello, al segnale del quale tutti smettono di pedalare e ci salutano, augurandoci buona giornata. 

Ci incamminiamo per un sentiero terroso, tra campi di girasoli. Mi avvicino a Faust, il figlio maggiore, avrà circa diciotto anni o forse meno. 

«Voi ragazzi non andate a scuola?» chiedo.

«Ah, no. Qua scuole non ce ne sono più. L’ultima scuola della zona è stata chiusa quando ero piccolo. Abbiamo i centri di cultura e i laboratori, ma i ragazzi fino a diciotto anni imparano per lo più con le attività organizzate un po’ ovunque. Vedi là?»

Mi indica un gruppetto di ragazzi che giocano assieme a degli adulti con delle palle di varie dimensione e colore.

«Quello è un gruppo culturale, deve essere una lezione di matematica o geometria»

«Perciò i ragazzi non devono andare a scuola, mai?»

«No, imparano molto meglio se non sono obbligati a stare a scuola. Senza alcuno sforzo si imparano tante cose, senza accorgersene, in modo naturale. Mio padre mi ha parlato della scuola e dei compiti a casa, so cosa sono, ma adesso sarebbe impensabile tornare a quei metodi di educazione»

Arriviamo al lago. Una distesa d’acqua pacifica, completamente immersa nella natura. Papere e uccelli di ogni genere popolano la superficie del lago. Alcuni vecchietti pescano sulla riva. 

Prendiamo una piccola barca e ce ne andiamo a fare un giro del lago. Tra i canneti mormora la vita. 

Al ritorno dal lago, sulla strada, Faust si ferma a parlare con una ragazza che non conosce. Sento che le chiede il nome e che si scambiano sorrisi. 

Allora domando a Jeremy che cosa stia facendo suo fratello, perché si trattenga con quella sconosciuta.

«Non hai visto? Aveva un fiore azzurro sul vestito» mi risponde.

«Che significa, un fiore azzurro?»

«Ah, non lo sai? Tutte le persone che desiderano fare l’amore e che vogliono incontrare qualcuno appendono un fiore azzurro sul vestito, così che tutti possano saperlo. Dalle vostre parti non si usa fare così?»

Mi stupisce che un ragazzetto come Jeremy parli del sesso senza alcuna forma di pudore o vergogna.

Mentre continuiamo a camminare verso casa, ne approfitto per passare lo sguardo sulle persone che incontriamo. Molti di loro hanno un fiore azzurro al petto, sia uomini che donne, e nessuna forma di imbarazzo accompagna i loro volti. Ne noto uno con un fiore giallo. 

«E il fiore giallo, che significa?»

«Il fiore giallo lo portano le persone che preferiscono la compagnia dello stesso sesso. Poi ci sono anche quelli che portano fiori bianchi perché sono alla ricerca di nuove amicizie. Mentre quelli con i fiori rossi sono sposati ma comunque desiderano esprimere il loro amore con altre persone»

«Vuoi dire che qua anche chi è sposato può andare con altre persone?»

«Certo, è normale. Da voi non è così?»

«Ma non è tradimento? Le mogli e i mariti poi non sono gelosi?»

«E perché dovrebbero esserlo, se c’è amore. Come fai ad amare solo una persona, scusa? Non sarebbe quello tradimento? Ci sono molti che hanno più mogli o più mariti»

«Quindi non esistono famiglie?»

«Come no, tante, tantissime famiglie. Molte sono intrecciate tra di loro. C’è chi si ama e convive, c’è chi si ama ma non convive insieme. Dalle tue parti non funziona così?»

«Non esattamente» rispondo io volendo troncare la conversazione.