«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

venerdì 26 settembre 2014

Il Sole e la Luna - un romanzo d'amore



“Noi due siamo il sole e la luna, o il mare e la terra. La nostra meta non è di trasformarci l’uno nell’altro, ma di conoscerci l’un l’altro e d’imparare a vedere e a rispettare nell’altro ciò ch’egli è: il nostro opposto e il nostro complemento”

Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro


In questo nuovo romanzo si parla di incontri, di scoperte, di crescita personale. In particolare degli aspetti apparentemente contrastanti della vita, degli opposti che si attraggono, che si uniscono in modo armonico: la razionalità e la fantasia, la mente e il cuore, il maschile e il femminile. 

Leggendolo molti si figureranno, e magari mi chiederanno come è già successo, se sono io effettivamente il protagonista della storia, se si tratta in qualche modo di una storia autobiografica. In un certo senso credo sia così, perché penso di non aver mai scritto nulla che non sia almeno minimamente autobiografico. 

Ad ogni modo, questo romanzo racconta solo in apparenza una storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza. Più in profondità rappresenta il rapporto con noi stessi, o meglio la relazione tra il nostro lato femminile e il nostro lato maschile, tra gli opposti che sono parte di noi e che necessitano di esprimersi. Infatti, solo se questi aspetti, che a prima vista sembrano separati e in contrasto, sono invece in equilibrio e in armonia tra loro, solo se vengono entrambi ascoltati e sviluppati conducono alla felicità e all’amore per sé e per gli altri. 

Perciò il personaggio maschile della storia trasfigura il mio lato maschile, e allo stesso modo il personaggio femminile trasfigura quello femminile, come se l’altro fosse in realtà, non una cosa separata da noi, ma una parte della nostra interiorità.

Vi auguro una buona lettura

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Dimitri, nonostante i suoi venticinque anni, è un ragazzo ancora alle prime armi in fatto di amore. Il suo mondo sono i numeri, la razionalità e il calcolo. Le donne, il suo universo indecifrabile. Ma sul finire del percorso di studi universitari, questa visione viene sconvolta e stravolta grazie a una serie di espedienti e di incontri. Quello che sperimenta è qualcosa che trascende la sua logica e lo introduce in un suo nuovo “io”.

lunedì 22 settembre 2014

La bicicletta, il mezzo di trasporto più efficiente ed efficace - Ivan Illich



«L’uomo, senza l’aiuto di alcuno strumento, è capace di spostarsi con piena efficienza. Per trasportare un grammo del proprio peso per un chilometro in dieci minuti, consuma 0,75 calorie. L’uomo a piedi è una macchina termodinamica più efficiente di qualunque veicolo a motore e della maggioranza degli animali; in rapporto al suo peso, nella locomozione presta più lavoro del topo o del bue, meno lavoro del cavallo o dello storione. Con questo tasso di efficienza l’uomo si è insediato nel mondo e ne ha fatto la storia. Procedendo di questo passo le società contadine e quelle nomadi spendono rispettivamente meno del 5 e dell’8 per cento del loro tempo sociale fuori di casa o dell’accampamento. 

L’uomo in bicicletta può andare tre o quattro volte più svelto del pedone, consumando però un quinto dell’energia: per portare un grammo del proprio peso per un chilometro di strada piana brucia soltanto 0,15 calorie. La bicicletta è il perfetto traduttore per accordare l’energia metabolica dell’uomo all’impedenza della locomozione. Munito di questo strumento, l’uomo supera in efficienza non solo qualunque macchina, ma anche tutti gli altri animali»

[…]

«Le biciclette non sono soltanto termodinamicamente efficienti, costano anche poco. Avendo un salario assai inferiore, il cinese per comprarsi una bicicletta che gli durerà a lungo spende una frazione delle ore di lavoro che un americano dedica all’acquisto di un’auto destinata a invecchiare rapidamente. Il rapporto tra il costo dei servizi pubblici richiesti dal traffico ciclistico e il prezzo di un’infrastruttura adatta alle alte velocità, è proporzionalmente ancora minore della differenza di prezzo tra i veicoli usati nei due sistemi. Nel sistema basato sulla bicicletta, occorrono strade apposite solo in certi punti di traffico denso, e le persone che vivono lontano dalle superfici in piano non sono per questo automaticamente isolate come lo sarebbero se dipendessero dagli automezzi o dai treni. La bicicletta ha ampliato il raggio d’azione dell’uomo senza smistarlo su strade non percorribili a piedi. Dove egli non può inforcare la sua bici, può di solito spingerla. 

Inoltre la bicicletta richiede poco spazio. Se ne possono parcheggiare diciotto al posto di un’auto, se ne possono spostare trenta nello spazio divorato da un’unica vettura. Per portare quarantamila persone al di là da un ponte in un’ora, ci vogliono tre corsie di una determinata larghezza se si usano treni automatizzati, quattro se si ci si serve di autobus, dodici se si ricorre alle automobili, e solo due se le quarantamila persone vanno da un capo all’altro pedalando in bicicletta. Di tutti questi veicoli, soltanto la bicicletta permette realmente alla gente di andare da porta a porta senza camminare. Il ciclista può raggiungere nuove destinazioni di propria scelta senza che il suo strumento crei nuovi posti a lui preclusi.

Le biciclette permettono di spostarsi più velocemente senza assorbire quantità significative di spazio, energia o tempo scarseggianti. Si può impiegare meno tempo a chilometro e tuttavia percorrere più chilometri ogni anno. Si possono godere i vantaggi delle conquiste tecnologiche senza porre indebite ipoteche sopra gli orari, l’energia e lo spazio altrui. Si diventa padroni dei propri movimenti senza impedire quelli dei propri simili. 

Si tratta d’uno strumento che crea soltanto domande che è in grado di soddisfare. Ogni incremento di velocità dei veicoli a motore determina nuove esigenze di spazio e di tempo: l’uso della bicicletta ha invece in sé i propri limiti. Essa permette alla gente di creare un nuovo rapporto tra il proprio spazio e il proprio tempo, tra il proprio territorio e le pulsazioni del proprio essere, senza distruggere l’equilibrio ereditario. I vantaggi del traffico moderno autoalimentato sono evidenti, e tuttavia vengono ignorati. Che il traffico migliore sia quello più veloce lo si afferma, ma non lo si è dimostrato. Prima di chiedere alla gente di pagare, i fautori dell’accelerazione dovrebbero cercare di esibire le prove a sostegno di quanto pretendono»


Da “Elogio della bicicletta” di Ivan Illich

lunedì 8 settembre 2014

La storia del Colibrì



«La storia comincia con un enorme incendio che scoppia e si propaga nella foresta. Tutti gli animali, grandi e piccoli, scappano al limitare del bosco e si fermano a osservare le fiamme, tutti tranne un colibrì. “Farò qualcosa per spegnere l’incendio”, dice il minuscolo uccellino. Vola fino al torrente più vicino e si tuffa nell’acqua. Si risolleva poi nell’aria portando nel becco una perla d’acqua che lascia cadere sulle fiamme. L’incendio divampa, ma il colibrì continua con volare al torrente e a tornare con una goccia d’acqua nel becco, convinto che quell’azione farà la differenza. 

Nel frattempo gli altri animali, alcuni dei quali con lunghe proboscidi e grandi bocche, come l’elefante, la giraffa, il leone e il leopardo, ridono della minuscola creatura. “Ma che cosa credi di fare?” lo scherniscono. “Sei solo un colibrì. Lo vedi quanto è esteso l’incendio. Pensi davvero di poter fare qualcosa di buono?” Senza sprecare tempo e stanco delle loro parole scoraggianti e della loro inazione, il colibrì si volta verso gli altri animali mentre si prepara a tornare al fiume ed esclama: “Sto facendo del mio meglio!”

A prima vista sembra assurdo che un minuscolo colibrì, trasportando poche gocce d’acqua nel becco possa condizionare un enorme incendio in una foresta. Ma, chiaramente, non è quello il senso della storia. Le lezioni che possiamo trarne sono queste: il colibrì sta lavorando al massimo delle sue capacità per il bene più grande di tutti gli altri animali e della foresta. Se gli animali più grandi dessero un contributo ai suoi sforzi, il risultato sarebbe di gran lunga migliore, ma sono troppo occupati a deridere il colibrì per il suo impegno o a piangere per la disperazione. La loro inerzia amplifica solo la fatica dell’uccellino. La morale più ampia della storia è che non si raggiunge nulla senza sforzo. Come recita la massima attribuita al maestro cinese taoista Lao Tzu: “Un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo”.

Magari è vero che la situazione è disperata e che il colibrì da solo non potrebbe mai spegnere un incendio. E probabilmente, anche se tutti gli animali collaborassero con lui, non riuscirebbero comunque a sconfiggere le fiamme. Ma potrebbero spegnere parte dell’incendio e quindi limitare i danni della loro casa. E ciò che è assolutamente certo è che non lo sapranno mai se non proveranno. Anche se il colibrì non è all’altezza del suo obiettivo, può dire di nuovo: “Sto facendo del mio meglio”. 

Molto spesso guardiamo il compito che ci aspetta e pensiamo di non avere le capacità o l’energia sufficiente per portarlo a termine. Soprattutto quando consideriamo gli enormi problemi che ci attendono quando tentiamo di dominare gli effetti potenzialmente catastrofici della povertà, dell’ingiustizia, della deforestazione della desertificazione, della perdita del suolo e del cambiamento climatico, o quando incoraggiamo gli individui provati della libertà a rivendicare i propri diritti e assumersi le responsabilità per il proprio benessere; o quando pretendiamo giustizia ed equità da parte dei nostri leader. Ci sentiamo troppo piccoli, insignificanti e vulnerabili; temiamo che ogni sforzo ci farà apparire ridicoli se cerchiamo di apportare un cambiamento. Ma, come il colibrì, dobbiamo imparare a perseverare, mantenere l’impegno ed essere pazienti. 

Per quanto possiamo sentirci dei colibrì, dobbiamo prendere i nostri piccoli becchi e trasportare quella goccia d’acqua (quella goccia di cambiamento) dove è necessaria, e continuare a farlo, a dispetto di ogni previsione. Magari ci attireremo il disdegno, il dileggio o l’indifferenza di quelli più potenti di noi. O magari incoraggeremo altri a fare un passo avanti e seguirci. Non lo sapremo mai finché non abbandoneremo la nostra inerzia e daremo agli altri l’energia per agire. Alla fine, tutto quello che siamo chiamati a fare è il nostro meglio»

Estratto da: Wangari Muta Maathai, La religione della Terra