«L’attuale
dissesto economico è solo apparentemente un male» Gunter Pauli
Qual è la relazione tra
la Blue Economy e la decrescita?
Sotto il nome di Blue
Economy si racchiude un modello di economia teorizzato dall’economista e
scrittore belga Gunter Pauli a partire dal libro omonimo, mentre sotto il
termine decrescita, angosciante e apertamente criticato soprattutto di recente,
si celano varie correnti di pensiero sia in Italia che all’estero.
Nell’affrontare la mia
analisi alla domanda posta, vorrei qui utilizzare il concetto di decrescita che
appartiene alla mia personale esperienza e visione e che è possibile trovare
raccolta nei miei scritti principali: Decrescita Felice e
Rivoluzione Umana e successivamente Ritorno
all’Origine. Entrambi scaricabili gratuitamente da questo sito.
Una prima osservazione
che si può fare è che la Blue Economy si muove ancora in ambito esclusivamente tecnico,
infatti il testo propone una serie di cento innovazioni che condurranno alla
creazione di cento posti di lavoro, come si evince già dal titolo di copertina.
Le teorie della Blue Economy sono centrate ancora sul pensiero positivo,
emblema della cultura illuminista da cui deriva l’idolo del progresso eterno,
sul “fare” come unico mezzo per costruire un modello economico-sociale
alternativo a quello attuale, e quindi su una fede cieca nella scienza e nella
tecnologia come miglior mezzo per migliorare la vita dell’uomo. Tutti fattori
che aumentano la distanza della Blue Economy dalla proposta di cambiamento
della decrescita.
D’altra parte, il principio
fondamentale della Blue Economy è l’imitazione degli ecosistemi, ovvero l’adattamento
del sistema produttivo industriale al funzionamento degli ecosistemi: quindi la
creazione dei cicli chiusi e la logica a cascata che elimina il concetto stesso
di rifiuto. Questi aspetti, al di là di quanto siano effettivamente
realizzabili su larga scala, sono quelle caratteristiche che distinguono la
Blue Economy dalla Green Economy, tuttora ancorata all’idea di sviluppo
sostenibile, cioè alla logica di compromesso tra “sviluppo” e “sostenibilità”.
In particolare, l’economia blu, bisogna darle atto, mette in discussione il
sistema economico dominante basato sul consumismo e sull’incosciente presupposto
dell’illimitatezza delle risorse naturali. Tuttavia, nello stesso momento da un
lato si parla di cambiare il modello di cui si riconosce un imminente declino,
dall’altro non si riesce a dare argomentazioni che vadano oltre gli aspetti
puramente tecnici, che riguardano
principalmente le innovazioni tecnologiche, e di fatto si continua a inneggiare
all’aumento dei posti di lavoro, alla ricerca del profitto e all’abbondanza,
mentre il sistema produttivistico industriale non è mai messo minimamente in
discussione.
Concetti culturali
fondamentali come l’illimitatezza e l’irreversibilità dei fenomeni non fanno parte
della Blue Economy, mentre sono presenti nella decrescita che invece si
distacca dal pensiero positivo, dal progresso eterno e dalla ricerca del
profitto come unico mezzo per sostenere l’economia: in poche parole demistifica
la fede nella crescita perpetua, fortemente radicata nel nostro subconscio
collettivo.
L’idea di considerare
il capitale naturale, analogamente alla proposta del Capitalismo naturale di Lovins e Hawken, come un fattore
produttivo, prendendo in considerazione quindi anche il suo punto di vista, la
sua limitatezza e la sua fragilità, è senz’altro un aspetto positivo
nell’evoluzione di un modello di sviluppo, ma può essere per certi versi più
spaventosa e preoccupante persino rispetto al sistema tradizionale. Se si
considera di usare l’ecosistema, pur rispettandolo e studiandone a fondo il
funzionamento, come mezzo per raggiungere fini di profitto, che riguardano
sempre la logica dell’inseguire la crescita economica dei capitali, allora forse
andremo verso danni maggiori agli ecosistemi e maggiori squilibri dato che la
natura diventerà palesemente strumento di produzione: legittimando il suo ruolo
nel sistema produttivo, attribuendole i suoi minimi diritti sindacali e la sua
minima retribuzione e nello stesso tempo andremo legittimando anche i suoi
danni irreversibili, come già avviene d’altra parte per i lavoratori. Inoltre, persino
la stessa bioimitazione impiegata nei sistemi industriali, a prescindere da un
cambiamento a livello culturale, potrà forse portare alla razionalizzazione
delle risorse ma contribuirà su larga scala al collasso economico-ambientale e
sociale dell’intero sistema.
Nella Blue Economy, e
nella Green a maggior ragione, siamo ancora a ricercare la chiave di lettura
delle questioni globali di oggi solamente in termini di razionalità, crediamo
ancora che l’unico motivo del nostro comportamento incosciente risieda
solamente nel fatto che ne ignoriamo le conseguenze. Nella visione della
decrescita, che ho tracciato nei miei scritti, invece la causa della triplice
crisi deve essere ricercata prima di tutto nello spirito umano e nella cultura
occidentale, la stessa cultura che sta dominando il mondo intero e lo sta
lentamente conducendo al collasso generale.
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