«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 8 maggio 2013

La Blue Economy e la decrescita


«L’attuale dissesto economico è solo apparentemente un male» Gunter Pauli

Qual è la relazione tra la Blue Economy e la decrescita?

Sotto il nome di Blue Economy si racchiude un modello di economia teorizzato dall’economista e scrittore belga Gunter Pauli a partire dal libro omonimo, mentre sotto il termine decrescita, angosciante e apertamente criticato soprattutto di recente, si celano varie correnti di pensiero sia in Italia che all’estero.

Nell’affrontare la mia analisi alla domanda posta, vorrei qui utilizzare il concetto di decrescita che appartiene alla mia personale esperienza e visione e che è possibile trovare raccolta nei miei scritti principali: Decrescita Felice e Rivoluzione Umana e successivamente Ritorno all’Origine. Entrambi scaricabili gratuitamente da questo sito.

Una prima osservazione che si può fare è che la Blue Economy si muove ancora in ambito esclusivamente tecnico, infatti il testo propone una serie di cento innovazioni che condurranno alla creazione di cento posti di lavoro, come si evince già dal titolo di copertina. Le teorie della Blue Economy sono centrate ancora sul pensiero positivo, emblema della cultura illuminista da cui deriva l’idolo del progresso eterno, sul “fare” come unico mezzo per costruire un modello economico-sociale alternativo a quello attuale, e quindi su una fede cieca nella scienza e nella tecnologia come miglior mezzo per migliorare la vita dell’uomo. Tutti fattori che aumentano la distanza della Blue Economy dalla proposta di cambiamento della decrescita.
D’altra parte, il principio fondamentale della Blue Economy è l’imitazione degli ecosistemi, ovvero l’adattamento del sistema produttivo industriale al funzionamento degli ecosistemi: quindi la creazione dei cicli chiusi e la logica a cascata che elimina il concetto stesso di rifiuto. Questi aspetti, al di là di quanto siano effettivamente realizzabili su larga scala, sono quelle caratteristiche che distinguono la Blue Economy dalla Green Economy, tuttora ancorata all’idea di sviluppo sostenibile, cioè alla logica di compromesso tra “sviluppo” e “sostenibilità”. In particolare, l’economia blu, bisogna darle atto, mette in discussione il sistema economico dominante basato sul consumismo e sull’incosciente presupposto dell’illimitatezza delle risorse naturali. Tuttavia, nello stesso momento da un lato si parla di cambiare il modello di cui si riconosce un imminente declino, dall’altro non si riesce a dare argomentazioni che vadano oltre gli aspetti puramente tecnici,  che riguardano principalmente le innovazioni tecnologiche, e di fatto si continua a inneggiare all’aumento dei posti di lavoro, alla ricerca del profitto e all’abbondanza, mentre il sistema produttivistico industriale non è mai messo minimamente in discussione.

Concetti culturali fondamentali come l’illimitatezza e l’irreversibilità dei fenomeni non fanno parte della Blue Economy, mentre sono presenti nella decrescita che invece si distacca dal pensiero positivo, dal progresso eterno e dalla ricerca del profitto come unico mezzo per sostenere l’economia: in poche parole demistifica la fede nella crescita perpetua, fortemente radicata nel nostro subconscio collettivo.

L’idea di considerare il capitale naturale, analogamente alla proposta del Capitalismo naturale di Lovins e Hawken, come un fattore produttivo, prendendo in considerazione quindi anche il suo punto di vista, la sua limitatezza e la sua fragilità, è senz’altro un aspetto positivo nell’evoluzione di un modello di sviluppo, ma può essere per certi versi più spaventosa e preoccupante persino rispetto al sistema tradizionale. Se si considera di usare l’ecosistema, pur rispettandolo e studiandone a fondo il funzionamento, come mezzo per raggiungere fini di profitto, che riguardano sempre la logica dell’inseguire la crescita economica dei capitali, allora forse andremo verso danni maggiori agli ecosistemi e maggiori squilibri dato che la natura diventerà palesemente strumento di produzione: legittimando il suo ruolo nel sistema produttivo, attribuendole i suoi minimi diritti sindacali e la sua minima retribuzione e nello stesso tempo andremo legittimando anche i suoi danni irreversibili, come già avviene d’altra parte per i lavoratori. Inoltre, persino la stessa bioimitazione impiegata nei sistemi industriali, a prescindere da un cambiamento a livello culturale, potrà forse portare alla razionalizzazione delle risorse ma contribuirà su larga scala al collasso economico-ambientale e sociale dell’intero sistema.

Nella Blue Economy, e nella Green a maggior ragione, siamo ancora a ricercare la chiave di lettura delle questioni globali di oggi solamente in termini di razionalità, crediamo ancora che l’unico motivo del nostro comportamento incosciente risieda solamente nel fatto che ne ignoriamo le conseguenze. Nella visione della decrescita, che ho tracciato nei miei scritti, invece la causa della triplice crisi deve essere ricercata prima di tutto nello spirito umano e nella cultura occidentale, la stessa cultura che sta dominando il mondo intero e lo sta lentamente conducendo al collasso generale. 

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