«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 14 marzo 2011

DFRU: I tempi cambiano ... la gente pure, parte 11/30

Mio nonno con mio padre nella nostra casa di montagna quando avevano qualcosa da buttar via (vecchi mobili, cucine, lavatrici) la caricavano in macchina la portavano a due curve di distanza dal paese e la gettavano giù per un dirupo, in mezzo al bosco. Quello era il posto dove tutti gettavano la roba ingombrante che avevano in casa, era la discarica del paese e come quella ce n’erano tante sparse per la campagna. Era considerato normale, non esisteva la raccolta, erano i tempi del grande boom, della crescita reale, tutto veniva rimpiazzato da prodotti moderni, nuovi, alla moda. Oggi fare come allora sarebbe impensabile.
I tempi sono cambiati rispetto agli anni sessanta. A quei tempi non ci si poneva problemi di limiti di risorse, impatto ambientale, tutto era lecito perché l’imperativo era crescere, produrre, incrementare gli scambi commerciali, a nessuno veniva in mente di pensare alle conseguenze, nessuno pensava a dove quella strada avrebbe condotto. Il sistema industriale cresceva in continuazione sia nel blocco capitalista che in quello socialista, diversi nei mezzi, ma essenzialmente identici nei fini. Nessuno pensava alle cose più semplici (come le leggi della termodinamica), nessuno pensava agli esseri umani, la fiducia nella scienza e nella tecnologia erano ai massimi livelli, tutto sarebbe stato risolto tramite la conoscenza e lo sviluppo tecnico. Lo sviluppo, inteso come crescita della produzione e della vendita di beni e servizi, era l’unico vero obbiettivo, la creazione di ricchezza monetaria, null’altro.
Caduto il muro di Berlino, sconfitto ideologicamente il socialismo, il mercato e il capitale si è globalizzato, ha preso le redini della politica, dell’economia e delle menti delle persone tramite il controllo diretto dei mass media. Il potere economico ha ideato un sistema infallibile e degenerato per creare bisogni e far indurre le persone a rincorrere il denaro e la ricchezza per poter vivere nella modernità, nell’epoca del “tutto è possibile”, “tutto sarà superato dallo sviluppo”, del “non ci sono limiti invalicabili”.
Ma la mia generazione, la generazione del dopo crollo sovietico, sta cominciando a capire che pagherà pesanti conseguenze per quello che i nostri genitori e i nostri nonni hanno scelto di fare. I giovani di oggi ne sono sempre più consapevoli: consapevoli che i limiti esistono, in primis i limiti del nostro pianeta, in secondo i limiti della scienza e della tecnologia, e quindi i limiti della mente umana. Questi limiti ridimensionano il sistema economico, mettono in discussione il mito dello sviluppo ad oltranza e risvegliano le coscienze giovani alla ricerca di nuovi orizzonti, nuovi principi, nuovi valori, non monetari, e forse neanche materiali.
La mia generazione è quella che è arrivata all’Università con la riforma del sistema educativo, con la creazione del “tre più due”, del Bologna Process, dei crediti universitari: riforme che hanno degradato le lauree e le hanno rese strumenti per incatenare studenti e dilatare i periodi di studio. Tre più due fa raramente cinque. Usciti dalle università dopo tanti anni di lotte contro la burocrazia medioevale dei nostri atenei, siamo entrati nel mondo del lavoro nel pieno splendore della crisi economica globale.
La nostra generazione, quella nata dopo gli anni ottanta, si sta separando sempre più dalle generazioni precedenti. Sta individuando le responsabilità di certe scelte passate e sta cercando di tirar fuori quel coraggio e quella dignità che potrà liberarci dal sentirci sempre denominati bamboccioni, dal sentirci quasi un peso per i nostri genitori (che hanno creato un impero di soldi), dal sentirci eternamente i figli viziati dal sistema stesso, dal sentirci inermi e schiavi di un potere complesso. Sappiamo già che a noi non spetterà mai la pensione, che il mondo andrà in contro a crisi ambientali e climatiche sempre più frequenti, che probabilmente la nostra vita sarà accorciata dal maggior inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, del cibo tramite i pesticidi) e dalle malattie da superlavoro e dallo stress da manager.
L’attuale classe dirigente (composta da ultrasessantenni), che pare ancora in piena forma e in grado di resistere a lungo, sta dicendo ai giovani che il futuro sarà terribile proprio per colpa delle loro passate scelte, ma allo stesso tempo corrompe i giovani con il finto benessere e con finte conquiste. Ce lo sta dicendo pacatamente, quasi ridendo e dandoci una pacca sulla spalla. Hanno sfruttato quasi tutte le risorse non rinnovabili del mondo e prima di morire forse vorranno fare l’ultimo assalto. L’unica cosa certa è che non potranno portarsi la loro roba nell’oltretomba: sarebbe bene ricordarglielo ogni tanto.

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