«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 10 novembre 2014

Crescita, decrescita e oltre

fonte foto: Morgue file

Vi invito a notare quanti titoli di giornale si riferiscono alla parola crescita, soprattutto in un periodo come questo nel quale il nostro paese si trova di fatto in uno stato di “crescita negativa”, nel quale si fanno grandi salti di gioia per un aumento dello 0,1% del Pil dopo anni di regressione, e come non si osi mai proferire la parola appositamente coniata “decrescita”, che rievoca invece sofferenze e penurie ancestrali. 

Nell’ultimo mese (febbraio-marzo 2014) il sito dell’ansa ha riportato trenta notizie nel cui titolo è presente la parola “crescita”, vale a dire una media di una al giorno: una vera e propria ossessione. Certo, non c’è peggio di un sistema fondato sulla crescita, invasato di crescita, ma che non riesce a crescere.

Ecco alcuni titoli dell’ansa:

11 marzo: “Padoan, dopo grande crisi Ue guardi più a crescita” 
6 marzo: “Fonti Tesoro, nessuna manovra-bis, si punta a crescita”
6 marzo: “Cina:boom delle spese militari,obiettivo crescita 7.5%” 
5 marzo: “Tesoro:azione governo su lavoro-crescita”
25 febbraio: “Ue rivede al ribasso crescita Italia” 
23 febbraio: “G20: ok a target crescita mondiale” 

Vi invito anche a fare una semplice ricerca su google. Cercando la parola “crescita” si ottengono ben oltre dieci milioni di risultati, mentre con la parola decrescita se ne ottengono poco più di un milione: un ordine di grandezza di differenza. Lo stesso effetto si ottiene ricercando le parole su google trend, uno strumento che permette di capire l’interesse delle persone nella ricerca di parole chiave sul motore di ricerca nell’arco degli anni. La differenza in questo caso sfiora i due ordini di grandezza e si evidenzia come il termine decrescita sia a tutt’oggi un termine di nicchia. Spesso viene mal interpretato dal senso comune, come un ritorno alla pietra e alla scarsità, oppure viene semplicemente ignorato. 

Secondo la stragrande maggioranza dei giornali e dei media, la crescita economica è la risposta per la crisi che stiamo affrontando, non soltanto per risolvere difficoltà economiche ma anche per le questioni ambientali e sociali connesse. Eh sì, perché senza crescita non si creano nuovi posti di lavoro, senza crescita non ci sono investimenti, senza crescita non c’è sviluppo, innovazione, senza crescita non si può investire in tecnologie verdi, senza crescita non si può portare avanti lo sviluppo sostenibile, senza crescita non si posso attuare politiche sociali, e via discorrendo. Insomma senza crescita economica non si fa nulla. 

A dire il vero noi crediamo esattamente l’opposto, ovvero che la crescita non sia la cura di ogni male, bensì la causa della maggior parte dei nostri guai. L’idea della crescita indiscriminata, sempre e comunque positiva e auspicabile, ci ha annebbiato la vista, per questo non riusciamo a vedere altro, e soprattutto non riusciamo a comprendere gli effetti negativi di un sistema che ha perso ogni equilibrio, che non è più sostenibile sotto ogni punto di vista, che sia ambientale, economico o sociale. Un sistema che non ha più ragione di esistere. Infatti, è proprio la visione distorta che considera questi tre ambiti separabili e distinti che ha causato la deriva verso un mondo dove tutti pensano alla stesso modo e dove il sistema economico è in balia della crescita dei profitti e della competizione del mercato: una monocultura che fa da sfondo ad un unico paradigma economico. 

Crediamo che soltanto agendo alla base di questo modello sarà possibile ritornare a una situazione di sostenibilità, e la decrescita vuole essere proprio un tentativo di ritrovare un equilibrio perduto. Non si tratta quindi di una semplice diminuzione indiscriminata della produzione, ma di un superamento del concetto di crescere per crescere, un modo per uscire dal culto della crescita e del progresso. La decrescita vuole essere un termine provocatorio di rottura con un sistema che non ha nessun futuro, proprio perché non ci garantisce un futuro, né a noi, né al pianeta che abitiamo.

Solitamente quando si vuole introdurre il concetto di decrescita si parte dal Pil, ovvero l’indice che considera tutte le transazioni monetarie e che viene preso spesso come riferimento per lo stato di salute dell’economia di un paese. È però ovvio che nel Pil rientrano tutte le transazioni economiche, perciò sono incluse le spese per incidenti stradali, per medicinali, per l’inquinamento, le spese militari, così come i rifiuti, gli sprechi e gli eccessi. Il Pil è un mero indicatore quantitativo di carattere economico e non considera nessun aspetto sociale e ambientale. Non è direttamente legato al benessere psicofisico delle persone, e diversi studi accademici mostrano che oltre una certa soglia la crescita economica non apporta miglioramenti significativi alla qualità della vita, piuttosto si parla di peggioramenti. 

Decrescita significa quindi recuperare un equilibrio tra gli aspetti quantitativi e quelli qualitativi: un equilibrio sostenibile nel tempo. Su questo equilibrio si fonda l’armonia tra l’ambito economico, ambientale e sociale. In pratica la decrescita ci dice che la sostenibilità si ha soltanto quando esiste un equilibrio tra quantità e qualità e quando c’è armonia tra i fattori economici, ecologici e sociali. È sufficiente che soltanto uno di questi sia in sofferenza che inevitabilmente anche gli altri ne subiranno inevitabilmente le conseguenze, poiché tutto è collegato.

La decrescita però non si riduce solamente in un ritorno al buon senso e alla ragionevolezza, di cui pur c’è un disperato bisogno, dato che il culto del profitto ha prevaricato anche sulla razionalità, ma si presenta altresì come ripensamento della visione del mondo, andando a intaccare il pensiero dominante. È centrale, a tal proposito, la consapevolezza dell’interconnessione di tutti i fenomeni così come dell’esistenza di limiti fisici, principi tra l’altro già esistenti nelle filosofie orientali e nella maggior parte delle culture tradizionali, e “scoperti” recentemente dalla fisica moderna.

Da una nuova visione della realtà e da nuove consapevolezze è possibile tracciare dei lineamenti per progettare concretamente un futuro diverso. Il cambiamento è il tassello fondamentale dell’evoluzione e il nostro futuro dipende proprio dalla nostra capacità di cambiare, adattandoci anche ai mutamenti esterni, e non meramente dalla nostra forza fisica e intellettuale di imporci violentemente sugli altri e sulla natura. 

L’evoluzione, non il progresso, è la spinta della vita ad andare avanti, ad andare oltre. La collaborazione e la condivisione, e non l’isolamento e la competizione, sono i principali strumenti di cambiamento. La felicità e il valore, e non l’avidità e il profitto, sono i nostri irrinunciabili obiettivi.

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