«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

mercoledì 26 novembre 2014

L'inesorabile conquista del cosmo



Giorni fa ho visto il film Interstellar di Christopher Nolan. Al centro del film il tema oggi più caldo che mai: il deterioramento e la fine delle risorse naturali del nostro pianeta che inevitabilmente diventa, in un futuro indefinito, non più abitabile. Gli uomini, o sarebbe meglio dire gli americani, lavorano di nascosto a un progetto per salvare la specie umana, e non gli uomini che vivono in quel momento sulla Terra. Il loro piano prende in considerazione l’unica possibilità per continuare a perpetuare lo sviluppo umano senza freni: ovvero la conquista dello spazio interstellare, in particolare l’individuazione di un altro mondo da sfruttare. 

Fa riflettere come la “naturale” tendenza umana alla crescita illimitata e al progresso tecnologico ci conduca inesorabilmente a dover superare i limiti imposti dal pianeta Terra, ma, se ci si pensa bene, è una conseguenza del tutto logica e prevedibile. L’uomo occidentale, da quello che sappiamo sulla sua storia, ha esplorato e di fatto conquistato oramai ogni angolo del pianeta, anche quelli più remoti come le vette più alte, le foreste più impenetrabili e i fondali più profondi, ha sfruttato e soggiogato la natura e le popolazioni a suo piacimento, ed è perciò comprensibile che non si lasci intimidire o scoraggiare dalla finitezza delle risorse a sua disposizione. Anzi, tutto il contrario. I limiti che si stanno presentando, in termini di deperimento di risorse e squilibrio dei fattori ecologici, rappresentano proprio lo slancio ideale per fare quel guizzo energico verso lo spazio interstellare, lanciandosi finalmente in una nuova sfida entusiasmante.

La nostra cultura ci dice che questa è la naturale aspirazione dell’uomo, che nulla può fare, se non estinguersi, per uscirne. Il passaggio dalla conquista del globo alla conquista del cosmo è l’unica soluzione, ed è inoltre in perfetta coerenza e continuità con lo sviluppo degli ultimi secoli. L’uomo grazie al suo coraggio, al suo ottimismo nel progresso e alla sua fede nella scienza riuscirà a risolvere ogni problema semplicemente continuando a fare quello che finora ha fatto con discreto successo. 

La conquista del “lontano ovest” adesso diventa la conquista del cosmo interstellare. Questo è il messaggio di fondo del film, difficilmente può essere interpretato in altro modo. 

Chi ha letto i miei scritti sa che la mia visione si discosta da quella del film, inutile ripetersi. Ma per chi si sta chiedendo quali altre alternative avrebbe l’uomo, oltre a far affidamento alla propria intelligenza e alle proprie tecnologie più avanzate, vorrei consigliare la lettura del breve racconto di fantascienza: Il pianeta Terra ai tempi di kosen rufu, liberamente scaricabile a questa pagina, che forse potrebbe essere la bozza di una prossima sceneggiatura hollywoodiana, chissà. 

La mia intenzione non è mai stata quella di voler convincere qualcuno, tanto meno me stesso, piuttosto quella di condividere una riflessione e stimolare la ricerca di nuove visioni, nuovi pensieri, e perché no, nuovi orizzonti. 

ps: non voglio neanche dare risposte facili a questioni complesse, a questo punto sarebbe il caso di dire: “si apre il dibattito”


giovedì 20 novembre 2014

L'intima, esuberante e sacra vita della natura - Johann Wolfgang Goethe

fonte foto Morguefile


Estratto da "I dolori del giovane Werther", di Johann Wolfgang Goethe


«Tempo fa, quando da una rupe che sporge sul fiume io contemplavo la fertile vallata, fino alle lontane colline, e vedevo intorno a me germogliare e sgorgare ogni cosa; quando vedevo quei monti rivestiti di fitti alberi dalla base alla vetta, quelle valli dalle curve serpeggianti ombreggiate da numerosi boschi, e il calmo fiume che scorreva tra i canneti mormoranti rispecchiando le graziose nubi che il mite vento della sera cullava nel cielo; quando ascoltavo gli uccelli animare le foreste intorno a me, e vedevo sciami di piccoli insetti danzare gioiosamente nell’ardore dell’ultimo raggio di sole, che con la sua luce estrema liberava dal verde rifugio il ronzante scarabeo e il brulichio della vita mi faceva attento al suolo; e il muschio che dalla nuda roccia riesce a trarre il suo nutrimento, e la ginestra che cresce nelle aride colline sabbiose, mi svelavano l’intima, esuberante e sacra vita della natura; come abbracciavo allora tutte queste cose col mio caldo cuore; mi sentivo come deificato in quell’espansione di bellezza, e le splendide forme dell’immenso mondo rinnovavano, vivificando, la mia anima. Mi circondavano i monti enormi, mi si aprivano dinanzi abissi dove si precipitavano impetuosi torrenti, sotto di me scorrevano fiumi, monti e selve risuonavano; ed io sentivo tutte queste forze misteriose operare e creare nella profondità della terra, mentre sulla superficie della terra e sotto il cielo brulicavano le specie delle svariate creature.

Tutto, tutto è popolato di mille forze diverse; e gli uomini si riparano sicuri nelle loro casucce, credendo di dominare il vasto mondo! Povero pazzo, che giudichi finita ogni cosa perché sei così piccolo! Dalle montagne inaccessibili, dalle solitudini che nessun piede umano ha mai calcato agli estremi confini dell’oceano ignoto, abita lo spirito dell’eterno Creatore e si rallegra d’ogni granello di polvere che lo comprende e vive! Oh, quante volte avrei voluto avere le ali della gru che mi volava sul capo per posarmi sulla riva del mare illimitato, e bere alla coppa spumeggiante dell’infinito l’inebriante tripudio della vita, e per un solo istante accogliere nella stretta capacità del mio petto una stilla dell’estasi di quell’essere che crea ogni cosa in sé e da sé »


giovedì 13 novembre 2014

Un cambiamento di prospettiva epocale - Daisaku Ikeda

fonte foto: MorgueFile

Brani estratti dal – La saggezza del Sutra del Loto di Daisaku Ikeda


«Finora, lo sviluppo economico è stato posto al di sopra di ogni altro obiettivo, ma ora avvertiamo la necessità di rivolgere la nostra attenzione a una meta più alta, a qualcosa di più fondamentale, ovvero alla crescita e all'evoluzione dell’essere umano. 
Viviamo in una società che ha compiuto incredibili passi avanti nella comunicazione e nella tecnologia. Abbiamo iniziato a comprendere che per poter gestire e utilizzare in modo appropriato questo flusso di conoscenze, abbiamo bisogno di una crescita altrettanto rivoluzionaria in saggezza e profondità di giudizio. C’è qualcosa che non va in questo stato di cose, percepiamo una mancanza: la scienza non può portarci la felicità, tanto meno possono farlo i sistemi socialisti o capitalisti. Non importa quante conferenze si organizzino, quanto rilievo si dia ai principi morali o quanto si disserti sui fattori psicologici o si ingaggino dibattiti filosofici: manca qualcosa di essenziale»

«La scienza classica, e in particolare la meccanica newtoniana, è basata su una visione materialistica dell’esistenza. Prendiamo come esempio la forza di gravità che opera su due oggetti solidi. Questo sistema è riuscito a spiegare molto bene parecchi fenomeni fisici, tanto da sancire il predominio della visione meccanicistica della vita: niente più che materia, nient’altro che una macchina. Questa tendenza di fissare un aspetto della realtà, applicandolo poi a tutto il resto, è stata definita “riduzionismo”. L’errore del pensiero riduzionista consiste nel voler ridurre l’intero a una delle sue parti per poi estendere il punto di vista parziale al tutto. Questo modo di vedere puramente riduzionista ha gettato un’ombra sulla vita delle persone e ha contribuito a privarle della speranza e ad aumentare il loro senso di impotenza.
Per evitare di cadere nell’errore di venerare la scienza come se fosse una religione, è necessaria una vera filosofia che esprima una visione olistica della vita. Un vero metodo scientifico riconosce una visione parziale per quello che è: una visione parziale. E poiché la ricerca della verità sta alla radice della scienza, quando una visione parziale che un tempo godeva di autorevolezza, raggiunge un punto morto, la scienza cerca di spezzare l’impasse e di scoprire nuove teorie più creative che si avvicinino maggiormente alla realtà. Questo è il modo in cui avvengono le rivoluzioni scientifiche»

«La scienza tende a considerare la vita come una specie di macchina composta da diverse parti. Essa ha cercato di scavare a fondo nella vita e negli esseri umani, scomponendo sempre ogni cosa in elementi in opposizione tra loro, come corpo e spirito, oggetto e soggetto. E ha cercato di capirne il funzionamento riducendo il tutto a un fatto meccanico, materiale. La scienza ha in definitiva incoraggiato una visione materialistica della vita, una prospettiva in cui le relazioni antagoniste dominano non solo tra gli esseri viventi, ma anche tra questi e l’ambiente circostante. 
Più recentemente, tuttavia, abbiamo visto sorgere un nuovo approccio scientifico e una maggiore coscienza ecologica. Questo nuovo approccio incita a trascendere il dualismo, a fondere il pensiero scientifico e quello spirituale. 
Valori dimenticati quali l’armonia con la natura, il senso di unità con gli altri, l’uguaglianza e le diversità vengono gradualmente riscoperti. Si sta riscoprendo quella visione unitaria della natura e dei fenomeni legati alla vita, già immaginata da Goethe: “Verrà inevitabilmente il tempo in cui il pensiero meccanicistico e atomistico sarà accantonato da tutte le persone sagge, e i fenomeni appariranno come determinati dinamicamente e chimicamente; la vita divina della natura si dispiegherà così in modo sempre più ampio”.
Anche in noi c’è un desiderio evidente di cambiare il modo di vedere il mondo e di riuscire finalmente a vederlo come un’entità vivente. Si tratta di un cambiamento di prospettiva epocale»

lunedì 10 novembre 2014

Crescita, decrescita e oltre

fonte foto: Morgue file

Vi invito a notare quanti titoli di giornale si riferiscono alla parola crescita, soprattutto in un periodo come questo nel quale il nostro paese si trova di fatto in uno stato di “crescita negativa”, nel quale si fanno grandi salti di gioia per un aumento dello 0,1% del Pil dopo anni di regressione, e come non si osi mai proferire la parola appositamente coniata “decrescita”, che rievoca invece sofferenze e penurie ancestrali. 

Nell’ultimo mese (febbraio-marzo 2014) il sito dell’ansa ha riportato trenta notizie nel cui titolo è presente la parola “crescita”, vale a dire una media di una al giorno: una vera e propria ossessione. Certo, non c’è peggio di un sistema fondato sulla crescita, invasato di crescita, ma che non riesce a crescere.

Ecco alcuni titoli dell’ansa:

11 marzo: “Padoan, dopo grande crisi Ue guardi più a crescita” 
6 marzo: “Fonti Tesoro, nessuna manovra-bis, si punta a crescita”
6 marzo: “Cina:boom delle spese militari,obiettivo crescita 7.5%” 
5 marzo: “Tesoro:azione governo su lavoro-crescita”
25 febbraio: “Ue rivede al ribasso crescita Italia” 
23 febbraio: “G20: ok a target crescita mondiale” 

Vi invito anche a fare una semplice ricerca su google. Cercando la parola “crescita” si ottengono ben oltre dieci milioni di risultati, mentre con la parola decrescita se ne ottengono poco più di un milione: un ordine di grandezza di differenza. Lo stesso effetto si ottiene ricercando le parole su google trend, uno strumento che permette di capire l’interesse delle persone nella ricerca di parole chiave sul motore di ricerca nell’arco degli anni. La differenza in questo caso sfiora i due ordini di grandezza e si evidenzia come il termine decrescita sia a tutt’oggi un termine di nicchia. Spesso viene mal interpretato dal senso comune, come un ritorno alla pietra e alla scarsità, oppure viene semplicemente ignorato. 

Secondo la stragrande maggioranza dei giornali e dei media, la crescita economica è la risposta per la crisi che stiamo affrontando, non soltanto per risolvere difficoltà economiche ma anche per le questioni ambientali e sociali connesse. Eh sì, perché senza crescita non si creano nuovi posti di lavoro, senza crescita non ci sono investimenti, senza crescita non c’è sviluppo, innovazione, senza crescita non si può investire in tecnologie verdi, senza crescita non si può portare avanti lo sviluppo sostenibile, senza crescita non si posso attuare politiche sociali, e via discorrendo. Insomma senza crescita economica non si fa nulla. 

A dire il vero noi crediamo esattamente l’opposto, ovvero che la crescita non sia la cura di ogni male, bensì la causa della maggior parte dei nostri guai. L’idea della crescita indiscriminata, sempre e comunque positiva e auspicabile, ci ha annebbiato la vista, per questo non riusciamo a vedere altro, e soprattutto non riusciamo a comprendere gli effetti negativi di un sistema che ha perso ogni equilibrio, che non è più sostenibile sotto ogni punto di vista, che sia ambientale, economico o sociale. Un sistema che non ha più ragione di esistere. Infatti, è proprio la visione distorta che considera questi tre ambiti separabili e distinti che ha causato la deriva verso un mondo dove tutti pensano alla stesso modo e dove il sistema economico è in balia della crescita dei profitti e della competizione del mercato: una monocultura che fa da sfondo ad un unico paradigma economico. 

Crediamo che soltanto agendo alla base di questo modello sarà possibile ritornare a una situazione di sostenibilità, e la decrescita vuole essere proprio un tentativo di ritrovare un equilibrio perduto. Non si tratta quindi di una semplice diminuzione indiscriminata della produzione, ma di un superamento del concetto di crescere per crescere, un modo per uscire dal culto della crescita e del progresso. La decrescita vuole essere un termine provocatorio di rottura con un sistema che non ha nessun futuro, proprio perché non ci garantisce un futuro, né a noi, né al pianeta che abitiamo.

Solitamente quando si vuole introdurre il concetto di decrescita si parte dal Pil, ovvero l’indice che considera tutte le transazioni monetarie e che viene preso spesso come riferimento per lo stato di salute dell’economia di un paese. È però ovvio che nel Pil rientrano tutte le transazioni economiche, perciò sono incluse le spese per incidenti stradali, per medicinali, per l’inquinamento, le spese militari, così come i rifiuti, gli sprechi e gli eccessi. Il Pil è un mero indicatore quantitativo di carattere economico e non considera nessun aspetto sociale e ambientale. Non è direttamente legato al benessere psicofisico delle persone, e diversi studi accademici mostrano che oltre una certa soglia la crescita economica non apporta miglioramenti significativi alla qualità della vita, piuttosto si parla di peggioramenti. 

Decrescita significa quindi recuperare un equilibrio tra gli aspetti quantitativi e quelli qualitativi: un equilibrio sostenibile nel tempo. Su questo equilibrio si fonda l’armonia tra l’ambito economico, ambientale e sociale. In pratica la decrescita ci dice che la sostenibilità si ha soltanto quando esiste un equilibrio tra quantità e qualità e quando c’è armonia tra i fattori economici, ecologici e sociali. È sufficiente che soltanto uno di questi sia in sofferenza che inevitabilmente anche gli altri ne subiranno inevitabilmente le conseguenze, poiché tutto è collegato.

La decrescita però non si riduce solamente in un ritorno al buon senso e alla ragionevolezza, di cui pur c’è un disperato bisogno, dato che il culto del profitto ha prevaricato anche sulla razionalità, ma si presenta altresì come ripensamento della visione del mondo, andando a intaccare il pensiero dominante. È centrale, a tal proposito, la consapevolezza dell’interconnessione di tutti i fenomeni così come dell’esistenza di limiti fisici, principi tra l’altro già esistenti nelle filosofie orientali e nella maggior parte delle culture tradizionali, e “scoperti” recentemente dalla fisica moderna.

Da una nuova visione della realtà e da nuove consapevolezze è possibile tracciare dei lineamenti per progettare concretamente un futuro diverso. Il cambiamento è il tassello fondamentale dell’evoluzione e il nostro futuro dipende proprio dalla nostra capacità di cambiare, adattandoci anche ai mutamenti esterni, e non meramente dalla nostra forza fisica e intellettuale di imporci violentemente sugli altri e sulla natura. 

L’evoluzione, non il progresso, è la spinta della vita ad andare avanti, ad andare oltre. La collaborazione e la condivisione, e non l’isolamento e la competizione, sono i principali strumenti di cambiamento. La felicità e il valore, e non l’avidità e il profitto, sono i nostri irrinunciabili obiettivi.

giovedì 6 novembre 2014

I limiti tra noi e la natura - Hermann Hesse

fonte foto: morgueFile

«Già da piccolo ero stato incline a guardare le forme bizzarre della natura, non già osservando ma abbandonandomi al loro fascino e al loro complicato linguaggio. Lunghe radici d’albero affioranti, vene colorate nella pietra, macchie d’olio natanti sull’acqua, crepe nel vetro, tutte queste cose esercitavano su di me una grande attrattiva, soprattutto l’acqua e il fuoco, il fumo, le nubi, la polvere e, in modo particolare, le macchioline giranti che vedevo chiudendo gli occhi. 

Alle poche esperienze raccolte fino allora lungo la via verso lo scopo della mia vita si aggiunse anche questa. La contemplazione di siffatte immagini, l’abbandono a forme irrazionali, strane e complicate della natura, producono in noi un senso di concordanza fra il nostro cuore e la volontà che fece nascere queste forme; tosto abbiamo la tentazione di prenderle per nostri capricci, per nostre creazioni; vediamo tremare e confondersi i limiti fra noi e la natura e veniamo a conoscere l’atmosfera in cui non sappiamo se le immagini sulla retina provengono da impressioni esteriori o da quelle interne. Mai come in questo esercizio facciamo la semplice e facile scoperta di quanto siamo creatori, di quanto la nostra anima sia sempre partecipe della continua creazione del mondo. Anzi, la stessa indivisibile divinità agisce dentro di noi e nella natura, e se il mondo esterno perisse noi saremmo capaci di ricostruirlo poiché monti e fiumi, alberi e foglie, radici e fiori e tutte le cose formate nella natura sono preformate in noi, provengono dall’anima la cui essenza è l’eternità, essenza che non ci è nota, ma si fa sentire per lo più come energia amorosa e creatrice»

Estratto da: Hermann Hesse – Demian

lunedì 3 novembre 2014

L’Italia è una repubblica fondata sul … valore


Dalla creazione di profitto alla creazione di valore

«Vi siete accorti che oggi il saluto abituale non è più buona giornata o buona salute ma buon lavoro? Come dire che il nostro rapporto vitale è passato dai piaceri e dai riposi dell’esistenza alle fatiche e alle ansie. La vita che un tempo andava guadagnata con “il sudore della fronte”, il lavoro come condanna vengono mitizzati come unica ragione di vivere» Giorgio Bocca 

Il primo articolo della Costituzione italiana, come sappiamo tutti, recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

La parola “lavoro” deriva dal latino labor, e significa fatica, ovvero sofferenza. Nelle altre lingue di origine latina, come il francese e lo spagnolo, invece la parola “lavoro” viene dalla parola “travaglio”, termine che si spiega da sé. “Lavoro” è quindi una parola che rievoca immediatamente fatica e dolore, ma la cosa che inquieta ancor di più è che questo termine è oggi associato con un’attività remunerata, ovvero che ha un valore di mercato quantificabile in denaro, mentre ancora nessuna distinzione viene fatta a livello qualitativo: se il lavoro è un lavoro utile, e utile per cosa e per chi, e se il lavoro danneggia qualcosa o qualcuno, o se il lavoro è fatto bene o male. È sufficiente che sia adeguatamente (forse adesso manco più quello) retribuito per essere considerato lavoro.

Sappiamo bene che il Pil, l’indice a cui tutti gli economisti fanno riferimento, tiene in conto le transazioni monetarie, ma nessun aspetto qualitativo. Se il lavoro è utile o dannoso, fatto bene o male, alla fin dei conti non interessa a nessuno, o a pochi. 

Il lavoro, anche se faticoso, che non è associato a una retribuzione in denaro non è considerato lavoro. Farsi da mangiare, fare la spesa, pulire la casa, coltivare il giardino, avere cura della propria persona, fisicamente e intellettualmente, crescere dei figli, andarli a prendere a scuola: tutto questo non fa crescere il Pil perché non è soggetto a transazioni di denaro, perciò non è lavoro. 

Nella deriva dell’economia basata esclusivamente sul profitto, si sta tentando di mercificare qualsiasi cosa: persino la natura, le relazioni, i sentimenti, gli affetti, tutto. A maggior motivo anche le attività che fino ad oggi rientravano tra quelle non remunerate, e che restavano di conseguenza fuori dal profitto economico, stanno per essere pian piano assorbite dal sistema del mercato. 

Studiando il pensiero di Tsunesaburo Makiguchi, riguardo alla filosofia della creazione di valore, si comprende che il profitto è solo uno dei tre elementi che costituiscono il valore, e non è affatto il più importante. Secondo l’educatore giapponese il fondamento del valore è il bene, ovvero la felicità e il benessere della società nel suo insieme, quindi anche dell’ambiente dal quale non può prescindere, seguito dal guadagno, inteso come beneficio che riguarda il singolo, e non soltanto dal punto di vista economico, e dalla bellezza, caratteristica relativa a ciò che concerne l’appagamento dei sensi. Se guadagno e bellezza poggiano sul bene, e non sono perciò in disarmonia tra di loro, è possibile costruire una società equilibrata e sostenibile in cui il beneficio individuale non sia a discapito della società e del suo ambiente. 

Solo recuperando un equilibrio tra un paradigma retto dalla competizione e dal profitto e un paradigma fondato sulla solidarietà e il valore sarà possibile uscire da un sistema votato alla crescita infinita e all’autodistruzione che inevitabilmente conseguirebbe.

Una riforma essenziale sarebbe quella di modificare il primo articolo della Costituzione italiana come segue: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul valore”, inaugurando in tal modo una serie di iniziative atte a costruire un paradigma economico compensativo basato sull’autoproduzione solidale e sulla localizzazione.