«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 30 luglio 2012

Quando a parlare di decrescita sono i giovani



Quando a parlare di decrescita, seppur felice, di uscire dal consumismo, di economia delle relazioni, di sobrietà, di post-industrialismo sono ultrasessantenni, magari professori universitari, magari con pensioni d’oro ho sempre una certa strana sensazione: non è fastidio, né mi sento irritato da ciò, piuttosto una sorta di subdole insoddisfazione che striscia dentro di me, come se qualcosa, dopotutto, dopo tanti bellissimi discorsi condivisibili, non quadrasse. Non per cattiveria, né per invidia o ricerca di conflitto, mi viene da pensare che parlare di decrescita dopo decenni e decenni di intossicazione, di soldi comodi, di scontata e remissiva sottomissione al sistema, forse viene un po’ troppo facile parlare di decrescita, di allontanamento da certi modi di pensare, da certi stili di vita dannosi. Ancor più in un momento così critico di crisi globale, e perciò così favorevole a una presa di posizione diversa e a un cambiamento di prospettiva radicale, in cui si acuiscono tutti i problemi economici, essere il portavoce di una falsa novella, quella della crescita eterna, si addice male a persone che con tale sistema hanno prosperato, pur non volendo, per tutta la loro vita. 

Ma quando a parlare di decrescita sono giovani, magari studenti ancora un po’ inconsapevoli, magari disoccupati con lauree ad alti voti, magari stagisti inesperti, giovani ventenni e trentenni con paghe da “terzo mondo”che hanno capito da qualche anno che il sistema non funziona più e che deve essere cambiato a partire dalle basi culturali che lo hanno generato, che hanno capito bene, perché lo sentono dentro di sé, che il cambiamento sarà profondo, non una rivoluzione verde o biologica, sarà una nuova cultura e partirà dalle singole persone, allora tutto ciò che avevo in mente prima mi si cancella in un attimo e provo una gioia rassicurante. 

Sicuramente la persona che riesce a immaginare e concretizzare un sistema diverso da quello attuale, che sia capace di armonizzare tutti gli aspetti della nostra vita e di renderla sostenibile e serena per tutti, deve ancora nascere. Ad ogni modo, quando incontro giovani, anche molto più giovani di me, che hanno interiorizzato con consapevolezza le grandi questioni che dobbiamo affrontare oggi, sento con fermezza che la fiducia tra le persone e più in generale il potere eterno della vita avrà la meglio su ogni difficoltà.

3 commenti:

  1. Vedi Luca, sono in linea di massima d'accordo con te però stai attento a non farti trarre nella trappola che stanno tendendo a questa società: cioè quella di fomentare l'odio fra le generazioni, figli contro i loro padri e i nonni.
    Il dare la colpa all'indietro, a chi c'è stato prima di noi, perché è tutta colpa sua che non ha fatto niente, è un gioco troppo facile.
    Noi, è oggi che ci troviamo nella situazione in cui siamo e come tale è oggi che iniziamo a ribellarci, oggi quando ci accorgiamo del problema, prima era impossibile. 20 o 30 anni fà nessuno si sarebbe immaginato che saremmo arrivati a tanta situazione. Anche voi giovani, se aveste avuto l'età che avete adesso 30 anni fà (come è successo a me) vi sareste comportati come noi probabilmente, sfido chi dice che "lui avrebbe capito e avrebbe agito diversamente"... la palla di vetro non ce l'ha nessuno, la propaganda di allora ci spingeva da quella parte e nessuno avrebbe immaginato un esplosione di crisi di valori, di risorse e ambientale come questa. Perlomeno nessuno di noi "normali", di ceto medio, figli di operai, cresciuti un po' in strada e un po' alla scuola statale, con un diploma e un impiego onesto. Poi c'erano anche allora i Gandhi e Celentano che cantava "il ragazzo della via Gluck" ma questi sono fenomeni fuori dal normale.
    Tornando ad oggi, l'importante è reagire, presto o tardi che sia, reagire quando ci accorgiamo del problema, prima non sia può(da vero vecchio cito un proverbio "meglio tardi che mai"). La cosa grave invece sarebbe non far nulla oggi dopo essersi accorti del problema, questo sarebbe tragicamente irrimediabile.
    Allora gioite giovani se qualche vecchio prima yuppie e consumista adesso si converte e si unisce a voi. Abbracciatelo e accoglietelo: è una nuova forza della natura che si ribella.
    Uniamoci! al bando quello che è stato prima, non dividiamoci per età, sesso o religione, non diamoci le colpe l'uno con l'altro ma andiamo avanti a testa bassa a cambiare il mondo verso una prospettiva migliore.
    Non sarà facile ma ce la faremo.

    "non posso cambiare il mondo da solo dobbiamo essere almeno in tre..." Bill Mollison.

    Alessio

    RispondiElimina
  2. Ciao Alessio,
    condivido il tuo messaggio. Credo che una delle migliori tecniche di autodifesa del sistema sia creare rotture sociali, come dici tu, e non voglio cascarci. E' altrettanto vero secondo me che la crisi globale che stiamo affrontando è proprio l'occasione perfetta per cambiare ciò che ci siamo accorti non va in questa società. Ora è il momento per reagire, sarà difficile appunto, ma non per questo impossibile.
    Nel nostro gruppo di Firenze ci sono giovani e giovanissimi e adulti e "adultissimi", il bello è proprio vedere questa volontà di cambiare generazionalmente trasversale: addirittura bambini e adulti che imparano o riscoprono qualcosa l'uno da l'altro.
    Resta comunque il fatto che attualmente i giovani sono schiacciati sotto tanti punti di vista. Le prospettive dei giovani sono represse volutamente, e molti di noi, se hanno la fortuna di avere un lavoro, sono sottopagati e precari. Sarebbe dunque bene che gli adulti , piu o meno benestanti economicamente, si rendano conto della situazione e dal loro lato si mettano in discussione per tutelare il futuro dei giovani tra i quali ci sono i loro figli e i loro nipoti.
    un caro saluto
    Luca

    RispondiElimina
  3. Magari.
    D'altra parte è più facile riconoscere un'ingiustizia quando la si vive, molto più complesso e forse costruttivo è una profonda riflessione del disagio che non tocca direttamente l'osservatore.
    Con questo non dico che sono egoiste le vittime che reclamano, assolutamente (non più di quanto ogni uomo non può evitare di essere). Dico invece che il disagio non dovrebbe essere l'unico motivo che spinge gli uomini a cambiare.
    D'altra parte le grandi rivoluzioni, per quanto suicide, hanno lasciato eredità più importanti se hanno visto accompagnato il loro lato emotivo e istintivo di partenza dall'approvazione più razionalistica dei grandi pensatori.
    Al di là del razionale anche la solidarietà.
    È brutto confonderla velocemente con l'ipocrisia. Se così fosse ci sarebbero ben poche speranze per una "decrescita".
    E d'altronde è una certa forma di ipocrisia, molto spesso, ma è allo stesso tempo profondamente necessaria e naturale, istintiva.
    Oltre a questo non trascurerei la nausea che può provocare una prolungata immersione nel "sistema". E magari c'è che l'avverte più tardi.
    Da ultimo mi sembra pretenzioso accettare soltanto alcune forme di protesta, se, come dice Maria Teresa di Calcutta non sono "contro la guerra" ma "per la pace", allora non vi deve essere discriminazione tra l'anziano che racconta dei suoi tempi al nipote distratto e il giovane che si batte per i diritti umani.
    Siamo una specie sostanzialmente debole, dobbiamo incoraggiare le piccole azioni positive, non dare a queste la medesima tinta di violenza di quelle negative.

    RispondiElimina