«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 9 maggio 2011

DFRU: Felicità e benessere, parte 19/30

Dipinto di Ciro D'Alessio

Parliamo di felicità e benessere. Speriamo e lottiamo per conquistarli. Ma almeno sappiamo di cosa si tratta?
Senza ombra di dubbio la rivoluzione tecnico-scientifica ha apportato notevoli migliorie alla qualità della nostra vita, ha sconfitto tante malattie, ci ha permesso di essere più liberi dai lavori di fatica, ci ha dato strumenti e mezzi per raggiungere scopi sempre più difficili, sempre più sofisticati. Ma con tutto questo, ci ha donato maggior benessere? Ci ha reso più felici?
Bè, la risposta casca tra il sì e il no, ma a mio modo di vedere pende decisamente sul no. Con questo sono ben lontano da condannare lo sviluppo scientifico, specie se si parla della conoscenza, anzi il contrario. Il punto è focalizzarsi sulle domande semplici e fornire risposte semplici. Domande come: cosa ho bisogno veramente per stare bene? Per essere felice? Cosa significa stare bene? Cosa vuol dire essere felice?
Spesso su questi punti, quelli più banali, facciamo tanta confusione, certo non solo per colpa nostra, ma soprattutto perché il modello economico e sociale ci impone di credere in certi valori del tutto fuorvianti e inconsistenti. Inutile dirlo, credo. Nella bolgia del consumismo, del denaro, dell’edonismo, del superficiale, del potere, del più forte, l’essere umano si è perso, si è perso quasi del tutto lo spirito umano, l’umanità dell’uomo, la gioia di vivere, le cose più semplici, le basi.
Volendo rispondere alle domande su cosa sia il benessere e la felicità, osserviamo prima le definizioni che troviamo sul dizionario italiano:
Benessere: 1. Buono stato di salute, 2. Agiatezza (Zanichelli). Il dizionario Garzanti aggiunge: florida condizione economica.
Poi, sempre sul Garzanti, troviamo anche una definizione molto curiosa di società del benessere: “quella che si propone di realizzare un elevato tenore di vita collettivo attraverso l'incremento dei consumi pubblici e privati”.
Quindi in sostanza benessere significa avere buona salute (assenza di malattie presumo), e avere buone riserve economiche a disposizione. Inoltre una società che si basa sul benessere collettivo utilizza il consumismo come mezzo per raggiungere tale fine.
Non fa una piega, mi sembra. Piuttosto superficiale comunque come visione del benessere. Vediamo la felicità:
Felicità: Felice = 1. Che è pienamente appagato nei suoi desideri, 2. Che apporta gioia, 3. Favorevole, propizio (Zanichelli). Che è sereno, appagato, completamente soddisfatto (Garzanti).
Queste definizioni descrivono bene la visione di felicità e benessere, secondo i nostri canoni, e riflette a pieno la nostra società: la società del consumo, la società del materialismo superficiale.
Allo scopo di fornire una differente visione di questi concetti fondamentali farò uso, in questo paragrafo come in tutto il resto del capitolo, di principi ed insegnamenti che si rifanno alla filosofia del buddismo di Nichiren Daishonin, un ramo del buddismo che si è sviluppato in Giappone nel XIII secolo a partire dal Sutra del Loto. Senza inoltrarmi in altri aspetti storico-religiosi per approfondimenti rimando i lettori curiosi alla bibliografia di riferimento (riferimenti [9], [12], [13] e [14]).
Semplicemente osservando il termine benessere, si evince subito che la parola è composta da “bene” e da “essere”. Quindi si potrebbe tradurre come “stare bene”. Senza ombra di dubbio la propria situazione economica e di salute sono presupposti essenziali per il nostro “stare bene”, ma rappresentano soltanto la parte materiale del benessere. Nessun riferimento è fatto a ciò che è il lato psichico e spirituale dell’individuo.
La stessa cosa vale per essere felice, visto meramente come appagamento dei propri bisogni e desideri, quindi ancora qualcosa di prettamente materiale, mondano. Credo che chiedendo per strada a persone di vario genere “che cosa è secondo lei la felicità?”, difficilmente si otterrebbero risposte discostanti da questa definizione.
Simone Perotti in “Adesso basta” [24] cita un frase di Richard Layard: «Il sentimento di felicità cresce al crescere del reddito solo fino a una certa soglia (…) al di sopra di tale soglia piuttosto bassa la correlazione tra la ricchezza e la felicità scompare. Ulteriori incrementi di reddito non fanno salire il livello di felicità». Questo è indicativo del fatto che una volta soddisfatti i bisogni primari, con alcune agiatezze che possiamo permetterci, e la nostra vita ha tutto ciò che gli occorre per auto-sostenersi, ecco che saliamo a un livello più elevato o meglio più intimo della nostra esistenza. Quello di cui abbiamo bisogno per realizzare a pieno le nostre vite non risiede più totalmente nella soddisfazione di bisogni materiali ma entra a far parte della sfera spirituale, un’area del tutto sconosciuta alla massa consumatrice e lavoratrice, ma che è talmente vasta e ricca da poter accontentare e compiacere a pieno il nostro essere.
Ed è perciò che parliamo di un significato più profondo della parola felicità e benessere, un significato che va oltre il modo di vedere superficiale che la società ci insegna (o impone?). In questo caso parliamo di un altro concetto di felicità, che si contraddistingue dalla felicità dovuta all’appagamento dei nostri desideri, detta felicità relativa. Si tratta della felicità assoluta in quanto non dipendente da circostanze esterne, favorevoli o contrarie che siano. Questa felicità assoluta non ha similarità con quella relativa, non riguarda il senso di soddisfazione, quanto quello di consapevolezza. La consapevolezza che la nostra vita è pura gioia e che il nostro potenziale interiore è illimitato, come l’Universo.
Uuuh!! L’ho detta grossa! Ma il succo sta tutto qui. Prendendo in considerazione questo tipo di gioia, di purezza e limpidezza d’animo, e ponendola come condizione essenziale (accanto ovviamente alle necessità materiali che abbiamo visto) per lo sviluppo della nostra società, la situazione che ne consegue risulterà completamente ribaltata. Una volta che i bisogni materiali saranno soddisfatti, l’attenzione non potrà che ricadere su quelli spirituali.
Vi è la necessità che l’uomo riscopra e riconosca il vasto potenziale che ha dentro di sé, che soddisfi i propri bisogni spirituali, e non solo quelli materiali. Questo è un punto focale alla base della forte condizione che dobbiamo creare.
E se qualcuno a questo punto ci chiedesse: «qual è lo scopo della vita? Il senso ultimo della nostra vita?»
Lo scopo ultimo della vita è quello di manifestare questa felicità assoluta, senza limiti e indipendente dalle circostanze esterne, in qualsiasi situazione la vita ci metta di fronte. Questo stato di felicità incondizionata e illimitata non è qualcosa di separato dalla nostra quotidianità, tanto meno dai problemi pratici e dalle sofferenze della vita. È uno stato d’animo ampio che include e illumina tutti gli altri, non trascende la nostra condizione di esseri umani imperfetti, esseri comuni.
In seguito vedremo come fare per manifestare questo stato vitale di felicità e libertà assoluta.

1 commento:

  1. la felicità e guardare all'interno di se e scoprirel'universo d'amore che siamo.

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