«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

sabato 20 novembre 2010

Efficienza di conversione energetica

La questione energetica e ambientale a livello mondiale è tema di dibattito oramai da decenni, ma possiamo affermare che negli ultimi anni si è visto una crescita intensa di queste tematiche, sotto vari punti di vista. L’energia è fonte vitale per la vita dell’uomo e per le sue attività. L’uomo trae energia per sostenere la sua vita con gli alimenti di cui si nutre e a sua volta alimenta tutti i processi industriali e i servizi di cui a bisogno tramite diverse fonti di energia disponibili in natura.

Le fonti primarie di energia attualmente utilizzate nel mondo sono quelle fossili (carbone, petrolio e gas), quelle nucleari (uranio) e le fonti rinnovabili (solare, idraulica, eolica, geotermica). L’energia si presenta nelle sue varie forme: chimica, gravitazionale, nucleare, meccanica, elettrica, termica. In molti casi occorre convertire l’energia da una forma ad un ‘altra per permetterne l’utilizzo e il trasporto. Ad esempio l’energia elettrica rappresenta un’ottima forma di energia per il trasporto a lunga distanza ma non permette di immagazzinare grandi quantità di energia.

Le fonti fossili incidono per oltre 70% nei consumi mondiali di energia (manuale Hoepli), seguite a distanza dalle biomasse, dall’idroelettrico e dal nucleare. Esse oltre ad essere fonti non rinnovabili e quindi finite (dato che il processo di formazione dei combustibili fossili impiega ere geologiche) apportano un significativo impatto ambientale, principalmente per le loro emissioni di anidride carbonica in atmosfera che aumentano l’effetto serra e quindi il riscaldamento globale.

Nelle centrali termoelettriche l’energia chimica del combustibile è convertita prima in energia termica nella caldaia, successivamente in energia meccanica nella turbina di espansione e infine in energia elettrica nel generatore che immette una potenza elettrica in rete pronta per essere utilizzata ed eventualmente riconvertita in energia meccanica o termica.

Si evince quindi che ogni conversione energetica avrà un’efficienza di conversione dovuta alla quantità di energia persa durante il processo di conversione.

In particolare nelle centrali termoelettriche a vapore o centrali a turbogas si sfrutta un ciclo termodinamico per la generazione di lavoro meccanico e quindi elettricità. Per caratterizzare l’impiego dell’energia in un impianto di conversione si può definire un rendimento energetico di primo principio per il ciclo termodinamica impiegato. Questo rendimento non è altro che il rapporto tra il lavoro netto prodotto e l’energia complessiva in ingresso.

L’analisi dell’impianto di conversione basata sul primo principio della termodinamica pone l’enfasi sul fatto di poter conservare l’energia, ovvero di evitare al massimo le perdite energetiche nel processo di conversione.

Da ciò risulta che più alto è il rendimento del ciclo e più basse sono le perdite di energia e perciò maggiore è il lavoro utile prodotto a partire dalla stessa quantità di combustibile. Visti quindi la limitatezza delle risorse fossili, il loro impatto ambientale non trascurabile e la crescente domanda energetica mondiale (dovuta soprattutto a paesi con un tasso di crescita industriale elevatissimo come Cina e India) l’impiego razionale e con alta efficienza dei combustibili fossili diventa sotto tanti aspetti una necessità imprescindibile.

Gli impianti a vapore possono al massimo arrivare a sfiorare il 50% di rendimento, i turbogas più spinti si aggirano attorno al 35%, mentre per i cicli combinati si può arrivare al 60%. Per quanto riguarda le centrali nucleari, dove il combustibile in questo caso è l’Uranio arricchito, il rendimento è piuttosto basso difficilmente supera il 35% per impianti BWR e PWR.

Attualmente quindi i sistemi di conversione con le efficienze più alte sono i cicli combinati che consistono nell’unione di un ciclo joule per turbina a gas e un ciclo Hirn a vapore che è alimentato interamente dai gas di scarico caldi della TAG (che hanno temperature che possono superare anche i 500°C). In questo caso il rendimento dell’impianto nel suo complesso è quindi dato dalla somma del lavoro utile netto ricavabile dalla turbina a gas e dalla turbina a vapore, confrontato con l’energia utilizzata sotto forma di combustibile (in questo caso la solo fonte energetica in ingresso è il gas).

Ad oggi il ciclo combinato è la miglior tecnologia per la produzione di energia elettrica, considerando il rendimento, il costo, la densità di potenza. Inoltre il ciclo a turbina a gas può lavorare anche senza il ciclo a vapore di cui si può fermare il funzionamento in caso non ci sia necessità, ovviamente il rendimento crollerebbe a valori attorno al 35%.

Per rispondere al carico della rete elettrica nazionale le centrali di generazione elettrica devono fornire una potenza variabile durante l’arco della giornata, riuscendo a soddisfare il picco di carico (che normalmente si ha a metà giornata) e a diminuire la potenza durante la notte quando il carico è molto più basso. Per questo motivo l’efficienza di conversione energetica diventa un fattore importante (assieme alla flessibilità , la capacità di regolazione, il costo, la continuità) per la scelta di un impianto di generazione piuttosto che un altro, è evidente che a parità di altri fattori le centrali con più alta efficienza hanno la precedenza su tutti.

Il ciclo combinato oltre a un buon rendimento ha il vantaggio di utilizzare soltanto gas naturale e ciò comporta emissioni inquinanti più basse, evitando il problema dello zolfo (che nelle centrali a carbone necessità di grandi impianti di assorbimento, economicamente e energeticamente costosi) e delle polveri, è invece rilevante l’emissione di ossidi di azoto che possono essere limitati o abbattuti con tecniche di combustione avanzate e sistemi catalitici.

I rendimenti più bassi e gli elevati costi di investimento iniziale degli impianti nucleari, in aggiunta alla produzione di scorie radioattive che, se anche di modeste quantità, hanno una pericolosità enorme e di durata praticamente infinita, sono parzialmente compensati dalla totale assenza di emissioni di anidride carbonica nel processo di generazione elettrica da fonte nucleare. Ci sarebbe comunque da obbiettare che nel processo di estrazione e lavorazione dell’Uranio le emissioni di CO2 non sono assolutamente trascurabili, si tratta soltanto di stabilire da che parte pende il bilancio.

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili devono essere fatte differenti considerazioni con riferimento al tipo di fonte energetica che si sfrutta. In generale le energie rinnovabili sono risorse presenti in natura, disponibili a costo zero e che hanno la capacità di auto rigenerarsi nel tempo e di non emettere inquinanti (con alcune eccezioni).

La principale risorsa rinnovabile è quella idraulica che sfrutta l’energia cinetica dell’acqua per muovere turbine idrauliche e quindi generare elettricità. Tale risorsa nei primi anni dello scorso secolo riusciva da solo a soddisfare l’intero fabbisogno elettrico del nostro paese, ma con il crescere dell’industrializzazione e della popolazione la risorsa è arrivata ben presto al suo limite di sfruttamento. Le centrali idroelettriche sfruttano l’acqua di bacini posti a quote elevate che in linea di massima sono realizzati artificialmente, con un impatto ambientale non trascurabile. La risorsa idroelettrica dipende chiaramente dalle condizioni meteorologiche anche se non in modo marcato come nel caso di altro fonti rinnovabili (solare e eolico ad esempio). Data la sua ottima capacità di regolazione e di avvio rapido si presta bene per i carichi di punta e la regolazione del carico durante la giornata. In particolare molte stazioni idroelettriche sono alimentate di notte per pompare l’acqua da valle a monte in modo da poter utilizzare l’energia elettrica prodotta durante le ore di picco, facendo funzionare il sistema anche come accumulo di energia. Il vantaggio sta nel fatto di mantenere le centrali termoelettriche a regime nonostante la diminuzione del carico notturno e nel trasferire tale surplus di energia nei bacini idroelettrici in modo da utilizzare questa energia nel momento di maggior bisogno.

Le risorse rinnovabili come quella solare ed eolica hanno evidenti limiti in quanto sono discontinue nel tempo e variano velocemente anche durante un singolo giorno e la loro presenza non è garantita in ogni luogo. Inoltre queste fonti richiedono l’occupazione di un vasto suolo per la produzione di ingenti quantità di energia, si parla infatti di una bassa densità di potenza, riferita come alla potenza elettrica che è possibile generare riferita all’unità di superficie utilizzata dal sistema. Spesso infatti le energie rinnovabili sono preferibilmente utilizzate per la generazione decentralizzata. Per quanto riguarda il solare fotovoltaico il rendimento difficilmente supera il 20% (normalmente tra 10-15%) mentre per l’eolico il limite teorico massimo del rendimento è del 59% (teoria di Betz).

L’energia geotermica ha il grosso vantaggio di essere una fonte pressoché continua e illimitata ma ha l’evidente limite di essere presente soltanto in determinati siti con caratteristiche geologiche del tutto particolari che spesso si trovano in zone remote e disabitate.

Ad ogni modo in generale le fonti rinnovabili sono disponibili gratuitamente in natura (sole, vento) e quindi piuttosto che porre l’attenzione sull’efficienza di conversione si cerca di massimizzare il lavoro producibile in riferimento a una data configurazione del sistema.

Per fare questo risultata importante perciò un’analisi non più basata sul primo principio della termodinamica, che prende in considerazione soltanto i bilanci di energia, ma utilizzare anche il secondo principio che invece riguarda il deterioramento dell’energia non in quantità ma in qualità. Dal secondo principio della termodinamica infatti deriva l’analisi exergetica e il rendimento di secondo principio, che prende in considerazione il lavoro utile prodotto rispetto a quello massimo producibile (vale a dire di assenza di irreversibilità o di distruzioni di exergia). Da questa analisi possiamo migliorare il nostro sistema complessivo andando ad individuare dove si concentrano le irreversibilità e quindi intervenire di conseguenza.

Al termine di questa trattazione riteniamo opportuno osservare che il crescente fabbisogno energetico, sostanzialmente dovuto alla crescita esponenziale delle economie dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, e la conseguente crisi ambientale e di risorse disponibili a una popolazione mondiale in continua crescita debbano essere affrontati certamente in un’ottica di miglioramento dell’efficienze di conversione che ne miglioramento della tecnologia in generale, ma un contributo sostanziale sarà dato soltanto se verranno prese in considerazione anche politiche di limitazione degli sprechi (materiali ed energetici) e di un’economia maggiormente consapevole degli evidenti limiti fisici del nostro pianeta.

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