«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 25 febbraio 2019

Educare all'utopia, un commento al libro di Federico Tabellini




«Una terza via esiste, e la stiamo vivendo. È un’utopia scandalosa con meno lavoro, meno consumi e più benessere»


La crisi globale nella quale siamo immersi è difficile da analizzare e comprendere, non tanto per la sua complessità e la sua interdipendenza con tutti gli aspetti delle nostre vite, ma quanto per il semplice fatto che essendoci immersi, vivendola dall’interno, non siamo capaci di avere la giusta prospettiva che ci permetta di osservarla nella sua interezza e quindi anche nella sua innegabile complessità. Avremmo bisogno perciò di uno sguardo che superi la contingenza, che sia libero di vedere e di andare oltre ciò che abbiamo davanti. 

Federico Tabellini, nel suo saggio “Il secolo decisivo”, ci fornisce una tale visione, in grado di aprire una panoramica chiara e obiettiva sullo stato attuale della società tardo-capitalistica in piena crisi e di prospettare possibili soluzioni. L’espediente che usa è semplice quanto geniale. Tabellini immagina di aver vissuto l’intero ventunesimo secolo e di aver avuto esperienza diretta di tutti i cambiamenti, economici, sociali e culturali, che hanno permesso un’epocale transizione da una società fondata sulla crescita e lo sfruttamento illimitato delle risorse del pianeta a una società basata invece sull’equilibrio e su un benessere diffuso, totalmente differente da quello che conosciamo oggi. 


«Un benessere nuovo, o forse solo dimenticato, liberato dalle mura luccicanti dei centri commerciali, dal grigiore multicolore e ipnotico del consumismo a occhi bassi. Un benessere demercificato e sostanziale, che non nasce e non muore nella differenza, nella comparazione con un altro più povero o più ricco, ma che è al contrario accresciuto nella condivisione»


Le colonne portanti sulle quali si basa la transizione descritta da Tabellini sono tre: il reddito universale, l’educazione libera e autonoma e la politica degli argomenti. 

La transizione dal lavoro come schiavitù, culturale ancora prima che fisica, al lavoro come vocazione e come servizio creativo e migliorativo del benessere collettivo, vede il suo perno centrale nell’istituzione del reddito universale, un reddito di base a cui ogni persona ha diritto, indipendentemente dalla sua provenienza, dalla sua situazione lavorativa, dal suo status sociale. Una semplice riforma che opera a livello culturale ed economico, eliminando ogni altra forma di sussidio o assistenzialismo, liberando i disoccupati e i precari dal ricatto del posto di lavoro da trovare o mantenere a tutti i costi per non rischiare la miseria e l’emarginazione, ma soprattutto dileguando l’etica lavorista che idolatra ogni forma di lavoro, senza considerare se questo è dannoso per la società o quantomeno utile. 

Il cambiamento culturale essenziale per la transizione dal cittadino produttore-consumatore, che associa alla quantità di consumo, non solo dei beni ma anche delle relazioni, un rapporto sempre positivo con il benessere individuale, alla persona creativa e consapevole è stato possibile, secondo le anticipazioni di Tabellini, con una riforma radicale del sistema educativo, non più centrato sul fornire ai giovani gli strumenti per collocarsi nel mercato del lavoro, in una sempre più feroce competizione con i coetanei, piuttosto con la libera espressione e lo sviluppo armonico delle loro passioni e dei loro interessi. 

La terza colonna che regge il cambiamento è quella della transizione da una politica di slogan da palcoscenico, diretta dal mercato del consenso, a quella di dibattito nel merito delle diverse problematiche su cui il cittadino, liberato dalla schiavitù del produrre e del consumare, può informarsi e crearsi una propria opinione. Una politica, chiamata faceless democracy, nella quale non si abbia più alcun interesse ad accaparrare voti e popolarità, quanto a risolvere le questioni più rilevanti per il benessere di tutti. 

“Il secolo decisivo” racconta tutto questo come se fosse già accaduto, e mentre lo leggiamo forse ci persuadiamo un po’ anche noi, o forse ci illudiamo, che qualcosa di simile possa realmente accadere. Ed è questa, credo, la grande forza del saggio di Tabellini: quella di educarci, senza rendercene conto, a una vera e propria utopia, che in tanti e in troppi ci dicono essere irrealizzabile, ma che noi in fondo, non solo speriamo possa realmente avverarsi, ma cominciamo già adesso, dentro noi stessi, a renderla possibile.