«Un uomo è ricco in proporzione del numero di cose delle quali può fare a meno»
Henry David Thoreau, Walden, ovvero vita nei boschi

lunedì 23 aprile 2012

La politica della decrescita imposta e la politica della decrescita felice



È importante in questo momento storico capire bene la differenza tra recessione (o decrescita imposta) e decrescita felice. La recessione infatti è sostanzialmente una decrescita del PIL, una diminuzione imposta, data da un’impossibilità strutturale di crescere, quindi diventa una decrescita forzata, che indistintamente va a colpire ogni aspetto della società e non a caso spesso colpisce le fasce più deboli. Così con la recessione, diminuisce tutto, o meglio quasi tutto, diminuiscono gli stipendi, la produzione, quindi i consumi, diminuiscono i posti di lavoro e l’assistenza pubblica. Aumentano però le tasse, le difficoltà delle famiglie, i disoccupati, i precari, i cassaintegrati, i disagi, le differenze sociali, le insicurezze, le tensioni. Perciò la recessione diminuisce ciò che va diminuito ma anche ciò che non andrebbe diminuito indistintamente, è una decrescita non consapevole, non deliberata, ma imposta dal sistema stesso, che volendo crescere decresce, quindi fallisce il suo stesso motivo di esistere, non funziona e per questo non ha più scopo di essere. 

La decrescita felice (l’aggettivo felice non è casuale e non ha una funzione ornamentale) è una decrescita intelligente, una decrescita per scelta, non ha niente a che fare con la recessione né tanto meno con la rinuncia, piuttosto con la consapevolezza e il buon senso. Come scrive Pallante: “La rinuncia a qualcosa per nobili motivi implica una valutazione positiva di ciò di cui si decide di fare a meno. Si rinuncia a qualcosa che si ritiene utile, o quanto meno piacevole. Ma se si decide di fare a meno di qualcosa che si valuta negativamente si fa una scelta razionale”. Decrescere felicemente significa creare un nuovo modello economico-sociale che non si basi sulla crescita del PIL, che non tenga in considerazione i flussi monetari per valutare la qualità della vita e il benessere di un paese, ma che scelga di aumentare ciò che vale la pena aumentare (i beni che non sono merci) e diminuisca ciò che vale la pena diminuire (le merci che non sono beni, cioè che costano soldi ma non soddisfano nessun bisogno). Oltre a ciò la decrescita felice è strettamente legata a una rivoluzione culturale basata su stili di vita differenti, sulla sobrietà, come profonda consapevolezza di ciò che davvero conta per essere felice e a proprio agio in questa vita. Per questi motivi la politica della decrescita felice investe sulle tecnologie della decrescita che aumentano la produzione e l’uso di beni che non sono merci e diminuiscono quello di merci che non sono beni, aumentando il benessere e la qualità della vita, a differenza del sistema attuale che inseguendo affannosamente la crescita del PIL non può far altro che investire su tecnologie che aumentino la produttività, senza porsi limiti e deregolamentando sempre più il mercato globale, a discapito del benessere, della qualità della vita, dell’ambiente, dell’occupazione, dei diritti umani, della vita stessa in tutti i suoi fenomeni. 

È servita la politica della recessione, cioè la decrescita forzata, per far diminuire l’uso delle automobili e l’aumento dell’uso dei trasporti pubblici. Non potevamo farlo attraverso una consapevole politica di decrescita felice? Lo stesso vale per i rifiuti, gli sprechi, l’inquinamento, il traffico, lo stress, le emissioni di CO2. Possiamo ancora scegliere in che direzione andare. 

Adesso è arrivato il momento ideale per fare un cambiamento, per mettere in discussione la società moderna fin dalle sue fondamenta e costruire un futuro diverso basato sull’essenza profonda della vita e di tutte le sue manifestazioni.


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